Commento al Vangelo del 3 febbraio 2018 – Monastero di Bose

“Io sono il pastore buono” (Gv 10,11): il brano evangelico di oggi è la spiegazione narrativa di questa affermazione cristologica di Gesù, di questo suo definirsi e presentarsi come il buon pastore, immagine già presente nell’Antico Testamento, soprattutto nei Salmi (cf. Sal 23,1) e nei profeti (cf. Ez 34,11-16) per parlare di Dio come di colui che si prende cura del suo popolo e di ogni singolo credente. Il pastore infatti deve avere una dedizione totale per il suo gregge, per ogni sua pecora; deve sapere come e dove condurle, senza affaticarle eccessivamente, senza portarle in aridi pascoli o luoghi pericolosi; deve vegliare sul suo gregge perché non sia preda delle bestie feroci; deve curare la pecora ferita e assistere quella gravida. Il pastore condivide tutto con le sue pecore: la fatica e le intemperie, il cammino e le soste.

Gesù ha incarnato nella sua vita questa immagine rendendola eloquente con il suo agire e parlare, con il suo vivere in mezzo al popolo d’Israele, con il suo passare nel mondo facendo il bene e narrando così la bontà di Dio.

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Il brano di oggi ci mostra alcuni tratti essenziali che caratterizzano il buon pastore.

Innanzitutto egli accoglie chiunque gli si fa vicino, siano questi i suoi discepoli che sono già in una relazione più intima con lui, oppure siano le folle che lo cercano in modo sempre più pressante, insistente.

Poi egli sa discernere il bisogno concreto delle pecore: la stanchezza dei corpi e dei cuori di coloro che sono chiamati ad annunciare l’evangelo; la fame di parole e di pane di coloro che vagano senza guide che diano senso al cammino.

Infine risponde a questo bisogno prendendosene carico: prende con sé i discepoli, trattiene le folle, dà agli uni e agli altri tempo ed energie, ovvero la sostanza della vita.

Ai suoi discepoli poi insegna la stessa dinamica di condivisione, di dono, di fiducia nel Padre che benedice il nostro poco, lo rende non solo sufficiente ma sovrabbondante, icona di quella pienezza che vivremo nel Regno, quando saremo un solo gregge e un solo pastore, quando non conosceremo più privazione e languore perché il Signore sarà il nostro pastore e ci condurrà alle fonti delle acque della vita e asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi (cf. Ap 7,16-17).

Accogliere, discernere, donare: queste le azioni concrete di quel prendersi cura, di quell’amare che è l’agire del Signore verso di noi, agire che nasce dal suo cuore abitato dalla compassione, dalla capacità di sentire e accogliere il bisogno dell’altro, di lasciarsi coinvolgere e toccare dal suo volto. Questo è stato il sentire e l’agire di Gesù, il buon pastore. Questo diventi anche il nostro sentire e agire, come ci esorta Paolo nella sua lettera ai Filippesi: “Fratelli, sorelle, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità … Abbiate in voi lo stesso sentire di Cristo Gesù”.

sorella Ilaria della comunità monastica di Bose

Mc 6, 30-34
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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