Commento al Vangelo del 27 marzo 2017 – don Antonello Iapicca

L’OROLOGIO DELLA FEDE SEMPRE IN ORARIO ALL’APPUNTAMENTO DELL’AMORE

Essendo un allenamento a vivere bene, la Quaresima ci insegna l’atteggiamento adeguato da assumere dinanzi agli eventi che odorano di morte, come quello in cui si è imbattuto il “funzionario del re”. Abbiamo anche noi un “figlio” che “sta per morire”. E’ a “Cafarnao”, la Patria di Gesù che lo aveva rifiutato. Per questo sta per morire. Come “il figlio” di Dio che è in noi, in agonia perché non abbiamo accolto il Signore nella nostra vita, che non abbiamo voluto lasciare che fosse, sino in fondo, la sua. Forse siamo nella Chiesa, eppure proprio la prossimità con Gesù ci ha fatto scivolare in un rapporto superficiale con Lui. Ci siamo abituati al suo amore, non ci stupiamo più per le Grazie con le quali ci accompagna istante dopo istante. Le liturgie, la Parola di Dio, lo straordinario miracolo della luce di Pasqua che illumina la vita, la possibilità di essere perdonati e ricominciare, tutto è divenuto scontato, come un rumore di sottofondo della vita. Per questo non abbiamo saputo discernere i sintomi della malattia che aggrediva il “figlio” somigliante a Dio, capace di amare e donarsi: disattenzioni ai bisogni della moglie, piccoli egoismi nei confronti del marito, insofferenza crescente agli atteggiamenti lunatici dei figli, giudizi che covano da tempo, chiacchiere alle spalle dei fratelli, “constatazioni” per carità, mica pregiudizi; e poi accidia nella preghiera, attaccamento al denaro, e quel sottile e pernicioso senso di frustrazione accolto e coccolato, sino a farci sentire incompresi dal mondo intero. Il demonio, subdolamente, si è infilato nei pertugi lasciati incustoditi dalla superficialità della routine con cui viviamo la relazione con Cristo, e così ci ha chiusi lentamente nella prigione dell’orgoglio. E ora è ira travolgente a ogni inconveniente, parole pesanti in risposta alle incomprensioni del coniuge, chiusura netta a ogni richiesta dei figli, avarizia nevrotica, rancori verso chiunque. Il “figlio” ha perso le sembianze del Padre, no possiamo amare salendo sulla Croce che la storia ci presenta. Sì, guarda bene, e vedrai che stai morendo anche tu in quel giudizio. Ma Gesù, in questo tempo di Grazia, torna “di nuovo” a “Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino”, scende cioè ancora nella nostra vita per riaccendere la memoria degli inizi, dei primi “segni” che hanno cambiato la nostra vita grigia in gioia; quando abbiamo ascoltato e accolto la sua Parola sperimentandone il potere rigenerante. Torna per guarirci, compiendo in noi “quello che ha fatto a Gerusalemme”, ovvero purificarci scacciando venditori e cambiavalute dal nostro cuore, per ricostruire in noi il suo Tempio e fare Pasqua con noi.

Accorriamo allora, a “chiedergli” di “scendere” nei nostri peccati. E’ vero, siamo ancora molto capricciosi, la nostra fede è infantile e per “credere” abbiamo ancora bisogno di “vedere segni e prodigi”. Ma Gesù ci conosce, e, come già alle nozze, si lascia di nuovo strappare il suo potere, per condurci alla fede adulta. Per questo, con misericordia infinita, ci annuncia ancora la sua Parola, offrendoci un “secondo segno” per convertirci e credere: Lui oggi resuscita in noi l’amore del Figlio di Dio! Confessati, vai all’eucarestia, mettiti in ginocchio e prega e supplica. “Ascolta” la Parola di Gesù che la Chiesa ti predica; e “obbedisci”, “mettiti in cammino” come il “funzionario del re”, per andare a sperimentare che è vera e compie ciò che annuncia. Scendi in questa Quaresima la scala dell’umiltà che conduce alle acque del battesimo. Ci attende una notte da attraversare, e in essa trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento, per incontrare finalmente la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. Ci è dato un tempo, come quello nel quale il Signore aveva inviato quel padre: ogni giorno della nostra vita, sulla cui soglia Gesù ci accoglie per inviarci nella vita a crescere nella fede sperimentando il potere della sua Parola: “Và, tuo figlio vive”. Vive e saprà perdonare. Vive e si offrirà sul letto della malattia. Vive e si aprirà alla vita. Vive e si umilierà accettando i limiti della vecchiaia. Vive e amerà, passando con Cristo dalla morte alla vita. Ogni giorno è un appuntamento al quale siamo invitati per riconoscere che, “proprio nell’istante” in cui ci è stata annunciata e abbiamo obbedito, la Parola aveva “già” operato il prodigio. La fede adulta che vince il mondo e accompagna ad essa anche la nostra “famiglia” è quella che spera contro ogni speranza. “Andiamo” allora appoggiati alla Parola di Gesù, per guarire il “figlio” che è in noi, ma anche i nostri “figli” nella carne, perché la loro fede dipende dalla nostra conversione. Prega per loro e vedrai con gli occhi soprannaturali che proprio mentre ti stavi rivolgendo a Cristo, tuo figlio ha cominciato a tornare in sé, anche se esteriormente stava conducendo la solita vita. Questa è la fede adulta, che è come un trapano che perfora la carne i suoi criteri, illuminando la ragione. La fede che si sperimenta empiricamente, “orologio alla mano”, perché Dio è puntuale offrendoci i “segni” di vita nella morte che solo la fede sa discernere, per schiudere al mondo la speranza del Cielo.

don Antonello Iapicca

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Gv 4, 43-54
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.

Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.

Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.

Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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