Commento al Vangelo del 25 settembre 2018 – Monastero di Bose

In questa pagina evangelica stupisce anzitutto la libertà di Gesù nei confronti di sua madre e degli altri suoi famigliari i quali, semplicemente e anche con discrezione (“stando fuori”), si sono recati da lui per incontrarlo. La sua risposta a chi gli riferisce di quella visita, suona dura ed eccessiva alle nostre orecchie. Nessun sentimento di pietà filiale o di affezione fraterna sembra abitarlo. Quasi a dire una durezza che Gesù impone anche a se stesso: mettere ordine nell’amore significa anche darsi ordini a cui obbedire. È come se questa indicazione evangelica contenesse in filigrana il lavoro di ascesi, cioè di lotta con se stesso che Gesù compie e che lo porta a volere e a vivere dell’essenziale, cioè del primato della parola e della volontà di Dio. Per Gesù l’ascolto fattivo, l’ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio attua una rinascita, una rigenerazione: lo rende appartenente a Colui di cui ascolta e fa la parola, il Dio Padre, abbà. La volontà di Dio espressa dalla parola di Dio diviene la volontà di Gesù stesso.

Ed ecco che Gesù estende tutto questo ai discepoli: con durezza e chiarezza egli afferma che “mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. Nella comunità dei credenti il criterio di appartenenza e prossimità non è dato dai legami di sangue, ma dal fare la volontà di Dio, dall’ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio che è presente nelle parole stesse di Gesù. Viene qui posto un criterio ecclesiologico decisivo: il superamento del legame di sangue, del vincolo familiare, ma anche etnico. L’appartenenza alla comunità di Gesù non ha altro criterio che quello dinamico dell’ascolto e della pratica della parola di Dio: non vi sono appartenenze di diritto o acquisite una volta per tutte come quelle che discendono dai vincoli di sangue o connesse al legame etnico o clanico o nazionale. Nella comunità eucaristica “non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina” (Gal 3,28). Se il legame familiare pone in uno stato e stabilisce in un destino, invece la prossimità e la relazione fondata sull’ascolto della parola di Dio situano la persona in una vocazione e la proiettano nella libertà, ovvero, nella regione rischiosa della responsabilità, della scelta, delle priorità da custodire, dei “no” da dire per salvaguardare il “sì” grande e decisivo.

Come ha ben compreso Dietrich Bonhoeffer, la centralità della parola di Dio è decisiva per costruire una comunione spirituale e non psichica, non fusionale. Egli scrive: “Nella comunione spirituale regna solo la Parola di Dio; nella comunione psichica accanto alla Parola domina ancora l’uomo dotato di particolari forze, di esperienza, di disposizioni suggestivo-magiche. Là il legame è dato solo dalla Parola di Dio, qui il legame è anche un tentativo di vincolare l’altro a sé. Là ogni potenza, gloria e signoria è data allo Spirito santo; qui si cercano e si coltivano sfere di potere e di influsso personali”.

fratel Luciano della comunità monastica di Bose

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Lc 8, 19-21
Dal Vangelo secondo Luca

‡ In quel tempo, andarono a trovare Gesù la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.
Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti».
Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» .

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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