Commento al Vangelo del 18 marzo 2017 – Don Francesco Cristofaro

Sabato della seconda settimana di Quaresima: La più grande grazia è sperimentare il perdono

Nel Vangelo di oggi Gesù  viene accusato dai farisei e dagli scribi di stare con i peccatori e di mangiare con loro. Ancora oggi ce ne sono tanti di scribi e farisei che giudicano dall’alto della loro santità. L’accusa più celebre che ascoltiamo: “io in chiesa non vado perché sono tutti peccatori”.

Allora, ieri come oggi riproponiamo la parabola del Padre misericordioso o del figliol prodigo. Quante volte l’avremo ascoltata e interpretata, soprattutto nell’Anno Santo della Misericordia ma il vangelo è sempre vivo e sempre nuovo e parla ogni giorno al cuore del credente.

Il segreto di questa parabola è tutto nell’amore del Padre verso il figlio. Farisei e scribi non si sentono padri del peccatore, bensì degli estranei.

È questa la differenza tra Dio e loro. È questo anche il principio del diverso comportamento. Finché l’altro non diviene un figlio per noi, come se fosse realmente sangue del nostro sangue e carne della nostra carne, rimarrà sempre un estraneo, un forestiero, uno dalla natura diversa dalla nostra, uno che non ci interessa.

Ma procediamo nella lettura e nella comprensione di quanto Gesù ci vuole insegnare.

È la storia di un Padre che ha due figli e il minore vuole lasciare la casa paterna chiedendo la sua parte di eredità. Andandosene di casa in un primo momento sperimenta la gioia, il benessere, la felicità. Finiti i risparmi sperimenta l’abbandono e la fame. Questo figlio vuole viversi la vita. Non vuole avere alcun limite. Non vuole sentire il respiro del Padre dietro le sue spalle.

La società di oggi, sospinta dai falsi profeti, ha deciso di uscire dalla Casa del Padre. Dio alla moderna società non serve più. Quale sarà il risultato? La creazione di una società di solo vizio e di nessuna virtù.

Cosa arriva a pensare questo giovane? Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.

Vorrei fare qualche piccola ma grave considerazione in merito.

L’immondo porco ( così era considerato a quei tempi) aveva un valore e per questo lo si nutriva. Lui non ha neanche il valore di un immondo porco e per questo l’animale immondo veniva preferito a lui. Nel mondo dell’immondo, nel mondo cioè senza Dio, il valore si misura dal guadagno, dal profitto, da ciò che produce ricchezza materiale. Un immondo porco è un capitale che genera e produce altro capitale.

Solo Dio dona dignità all’uomo e chi ama il Signore. Chi non ama il Signore mai potrà dare dignità alla persona umana. Aborto, eutanasia, soppressione di ogni vita non efficiente, abbandono alla sofferenza, alla malattia, al dolore, alla povertà, trovano il loro fondamento giustificativo solo in questo mondo lontano dalla casa del Padre.

Nella casa del Padre invece l’uomo ha sempre la sua verità e la verità della persona umana è una sola: vale perché è persona umana, indipendentemente dalla sua forma fisica, mentale, spirituale, economica, sociale, politica, scientifica, o altro.

Il valore della persona umana è nella sua stessa natura di essere ad immagine e a somiglianza di Dio. Il valore della persona umana è nell’essersi Cristo Gesù identificato con essa e in modo particolare con essa nella sua condizione estrema di povertà, fame, malattia, solitudine, abbandono, prigionia, ogni altra sofferenza.

Se l’uomo è “Dio” e il povero è “Cristo”, un uomo vale sempre quanto vale Dio, al di là della sua condizione storica, un povero vale quanto vale Cristo, al di là della sua condizione e in modo particolare nella sua condizione particolare.

Se non partiamo da questi principi di fede, la nostra bruta, incivile, selvaggia, malvagia, asservita al peccato razionalità, ci fa trovare sempre delle “ragioni” di volontà (mai di natura o di essenza vera dell’uomo), per cui un immondo porco viene innalzato al di sopra di un uomo e così vale per un cane e per un gatto.

Un cane e un gatto non si può abbandonare (e non è giusto che si abbandonino o si trattino male). Un uomo si può lasciare morire abbandonato in un parco delle nostre città. Ad un cane non si può toccare neanche un pelo. Un uomo invece si può incendiare, bruciare, deturpare per gioco, per divertimento, per sfida.

Questi sono tutti segnali forti di un mondo nel quale non abita il Signore, di un mondo che è fuori della casa di Dio. E ancora non abbiamo visto nulla.

E l’uomo stolto cosa pensa? Che bisogna intensificare la sorveglianza, lasciando però Dio fuori della casa dell’uomo e l’uomo fuori della casa di Dio, negando addirittura l’esistenza di Dio e parlando sempre male della sua casa terrena che è la Chiesa, unico baluardo contro la barbarie dell’uomo.

Questo figlio, però rientra in se stesso e torna indietro.

Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

È questa la differenza tra l’agire dell’uomo e quella di Dio.

Anche se l’altro ha peccato, un uomo non si deve mai uccidere nella sua verità di uomo, di cristiano, di amico, di padre, di fratello, di vicino, di prossimo.

Ogni cristiano è chiamato non solo a perdonare il peccato del fratello, quanto anche ad imitare Cristo: salire in croce al posto del fratello che ha peccato perché il suo peccato venga perdonato e la sua pena espiata.

Il peccato dell’altro non deve uccidere questa verità nel nostro cuore, la deve rafforzare.

La verità del Padre è la sua eterna misericordia. Il suo amore è veramente per sempre e attende il ritorno del peccatore e per terminare il ritorno del peccatore ed è per questo che in Chiesa devono andare i peccatori.

Don Francesco Cristofaro

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Lc 15, 1-3. 11-32
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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