BOSE: Meditazione di Avvento – 16 dicembre 2015

Mt 23,1-12 (Lezionario feriale di Bose)
1 Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

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Tra la fine del discorso escatologico e l’inizio delle ferie maggiori di Avvento, nelle quali ci si avvicina alla memoria della venuta di Cristo nella carne, ecco il testo evangelico odierno: la requisitoria profetica di Gesù contro gli uomini religiosi, una messa in guardia a cui seguono i sette “Guai a voi!” (cf. Mt 23,13-36). Gesù ci insegna come vivere nell’oggi, dunque come attenderlo.

Innanzitutto occorre comprendere quale sia il bersaglio dell’invettiva di Gesù. “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti scribi e farisei”. Egli mira a colpire quanti in ogni istituzione religiosa si comportano, allora come oggi, quali “letteralisti” (scribi) e duri “rigoristi” (farisei). Ecco perché Girolamo ha scritto: “Guai a noi, miserabili, che abbiamo ereditato i vizi di scribi e farisei!”. Per conoscere il loro, il nostro possibile ritratto, è sufficiente chiosare le parole di Gesù, che nella loro franchezza sono taglienti, dunque fonte di discernimento, di decisione.

“Dicono e non fanno”. Non c’è nulla di peggio ai suoi occhi! È l’esatto contrario dello stile con cui Gesù ha vissuto: era affidabile, credibile perché diceva ciò che pensava e faceva ciò che diceva. Proprio da questa sua integrità/unità nasceva la sua affascinante autorevolezza, così diversa da quella degli scribi (cf. Mt 7,28-29).

“Legano fardelli pesanti e li pongono sulle spalle degli altri, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. Immagine straordinaria, che non abbisogna di commento, ma solo di un esame di coscienza, per evitare questa insopportabile doppiezza. A tale realtà si contrappone ancora una volta la prassi di Gesù, lui l’unico nostro Maestro, il volto visibile del Padre invisibile: “Venite a me, voi tutti affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30).

Infine, Gesù mette in luce il movente profondo dell’agire ipocrita: “Tutte le loro azioni le fanno per essere ammirati dalla gente”. È la triste e comica patologia del voler apparire belli agli occhi altrui, del voler essere riveriti, a prescindere dalla propria reale condizione interiore. Senza rendersi conto che in tal modo “si assomiglia a sepolcri imbiancati, che all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ogni marciume” (Mt 23,27).

Gesù è preciso, scende nel dettaglio. “Si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti”: è il godimento del ricevere onori dai potenti di questo mondo, del sentire che anche noi “contiamo”! Senza invece potersi mai godere un pasto gratuito, in amicizia, che non serva ad alcun secondo fine. “Si compiacciono dei primi seggi nelle sinagoghe”: è il godimento dell’apparire sacrale, che si manifesta nell’esigere i posti eminenti nelle chiese, nel sedere su troni degni dei faraoni e non dei servi della comunione fraterna. “Si compiacciono di ricevere i saluti nelle piazze”: essere salutati, non salutare; ricevere onore al proprio volto, non guardare i volti di chi si incontra, volti che magari hanno bisogno solo di un sorriso, che dica senza parole riconoscimento, possibilità di portare insieme i pesi della vita. “Si compiacciono di essere chiamati ‘rabbi’”, non di essere autorevoli per come vivono!

Chi vuole gloria per sé “ha già ricevuto la ricompensa” (cf. Mt 6,2.5.16), lo sappia o meno. Ma vale la pena vivere così? O non vale forse la pena camminare sulla via opposta, quella percorsa e tracciata da Gesù? “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”, ossia un uomo, una donna che non ama apparire (per sé) ma essere, spesso nel nascondimento, per gli altri.

A ciascuno di noi l’onere della risposta, alla sequela di Gesù, colui che venendo in carne umana “da ricco che era si è fatto povero per noi, per farci ricchi della sua povertà” (cf. 2Cor 8,9).

Fratel Ludwig della comunità monastica di Bose

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