Commento al Vangelo del 15 Agosto 2019 – p. Roberto Mela scj

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Vestita di sole

La donna vestita di sole

La riflessione credente della Chiesa lungo i secoli, la Tradizione vivente di preghiera, studio, martirio, celebrazione della propria fede nella santa liturgia ha portata a far culminare la meditazione sul destino ultimo di Maria nella proclamazione del dogma della sua Assunzione al cielo in corpo e anima (1° novembre 1950). Maria partecipa, come prima dei redenti, all’opera redentrice di Gesù, della quale era stata la madre della sua divinità incarnata.

Nessun testo biblico proclama direttamente il mistero dell’Assunzione di Maria in corpo e anima, ma esso si basa solidamente sull’insieme dei testi che descrivono la missione terrena di Maria, stretta cooperatrice del suo figlio Gesù, Verbo incarnato, di cui è diventata madre per grazia. Madre di Dio. La seconda lettura, da noi non commentata, è quella che maggiormente può illuminare biblicamente la sorte gloriosa di Maria, la Prima Pellegrinante, segno di sicura speranza per tutto il popolo di Dio in cui è inserita.

L’Apocalisse è un libro scritto non per terrorizzare le persone circa la fine del mondo, ma un libro profetico (Ap 1,3; 19,10; 22,7.18.19; cf. 1,19) di consolazione, che “rivela/apokalypsis” (Ap 1,1) la vena profonda della storia: Cristo risorto, “in mezzo al trono” di Dio – pienamente partecipe della sua piena potestà –, agnello come sgozzato ma ritto e vivente (cf. Ap 5,6), ha vinto la guerra nella storia (e nel cielo) contro il nemico di sempre. Battaglie ce ne saranno ancora, i colpi di coda dell’avversario e dei suoi adepti terreni saranno numerosi, ma la vittoria della guerra è certa, già acquisita, contemplata e celebrata dal popolo dei santi nella liturgia nel giorno del Signore. Proprio in quel giorno “domenicale/kyriakē”, il Veggente di Patmos, “fu preso/divenne/egenomēn dallo Spirito” (Ap 1,10) e poté interpretare le profondità vere della storiareeeeeeeeeeeeeee, al di là delle vicende dolorose che la Chiesa/le Chiese stava/no vivendo.

Il segno

Il suono della settima tromba (comunicazione nella storia della vittoria pasquale dell’Agnello sul male inoculato dal Nemico nel mondo e nella Chiesa) dà il via, come una matrioska russa, al manifestarsi del secondo e del terzo dei “guai” (cf. il primo 9,12; il secondo 11,14a; il terzo 11,14b). Il terzo “guai” “contiene”/combacia con il manifestarsi dei tre “segni/sēmeion”, il terzo dei quali (15,1 combacia con lo squillo delle sette trombe…). Un concatenarsi di settenari e segni che manifestano la comunicazione fitta che avviene tra il mondo di Dio e quello degli uomini. Non una comunicazione tremenda intesa a distruggere gli uomini e il creato, ma la comunicazione di una purificazione parziale, temporanea, “esodica”, in vista della conversione degli uomini.

Il primo “segno/sēmeion” (12,1-2) grandioso/megan appare dopo che nel cielo si era aperto il tempio di Dio ed era apparsa l’arca dell’alleanza divina. Folgori, voci, scoppi di tuoni, terremoti e tempesta di grandine (11,19) simboleggiano il fatto che c’è comunicazione tra Dio e gli uomini e la sua alleanza è sempre in atto con loro e non li abbandonerà in balìa completa del Nemico, il Diavolo (2,10; 12,9.12; 20,2.10), l’Avversario/Satanas (20,2), il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato Diavolo e l’Avversario (12,9)…

Una donna vestita di sole

La donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, partecipe della potenza vitale e di risurrezione di Dio, reca sul capo le dodici stelle delle tribù di Israele e insieme dei dodici Apostoli. È incinta e grida per le doglie e il travaglio del parto. Essa porta in sé la figura della comunità dell’Antica Alleanza e di quella rinnovata/nuova. Il popolo dell’Antica Alleanza sta per partorire la gloria di Israele, il Messia, il Verbo di Dio incarnato.

Il simboli sono stracarichi di riferimenti antico- e neotestamentari, letti e applicati a loro volta nella storia dalla Tradizione viva alla Chiesa dei propri tempi, a Maria Vergine e a ciascuna “anima” dei discepoli di Gesù. Appare nel cielo anche “un altro segno /allo sēmeion”. Esso non è definito un “grande” segno, ma la sua potenza è grande lo stesso: esso è “nel cielo”, il mondo della potenza sovrumana, lì dove avverrà però anche la sua sconfitta definitiva.

La donna, il nemico, il Figlio

Lo schema apocalittico di pensiero dell’Apocalisse è proprio imperniato sul fatto che le battaglie “spirituali” che si svolgono sulla terra fra agenti “umani/mondani” sono intese come espressione terrena di una lotta ben più tremenda che si svolge a livello di potenze celesti. Lo scontro è immane nel cielo, straziante sulla terra, ma la vittoria è certa e già acquisita.

Il nemico, qui descritto come un grande drago rosso – potenza bestiale mortifera e sanguinaria –, è simbolo, al momento della scrizione di Apocalisse, del potere imperiale romano, che porta la pax romana con la guerra e inizia la sua persecuzione anche nell’Asia Minore contro coloro che non si sottomettono al culto imperiale. La potenza del drago è bestiale ed enorme, ma parziale nel tempo, nello spazio e nel contenuto della vittoria (“un terzo”). Esso si pone di fronte alla donna partoriente, per divorare il Messia che da lei nascerà per governare con scettro di ferro (cf Ap 2,27; Sal 2,8-9, salmo sul Messia) tutte le nazioni. Lo scettro frantumerà il male che non si sottomette al bene, ma si rivelerà imporsi dolcemente col legno della croce abbracciata da Gesù nella potenza d’amore dello Spirito Santo.

Il figlio-Messia sarà tutto partecipe della vita di Dio e della sua potenza sovrana (“trono”). La donna comunità AT/comunità ecclesiale NT/la vergine Maria/il singolo credente riceve l’aiuto divino della fuga nel deserto protettivo e luogo di rifugio e di liberazione dal nemico oppressore lungo i tempi dell’AT (cf. Es 2,15; 1Re 19,3ss; 1Mac 2,29-30), di cui il faraone era uno dei pallidi esempi.

La comunità credente/Maria/il credente riceverà un rifugio già approntato da Dio e il nutrimento vitale per un tempo “parziale” (1260 gg = tre anni e mezzo), parzialità tipica dei tempi e degli elementi appartenenti alla storia degli uomini. Il destino ultimo della donna/Chiesa/credente infatti non è di tipo terreno, ma lo sposalizio con Kyrios nel cielo (cf. Ap 2).

Il grido di vittoria che si alza potente nel cielo (12,10) e che proclama la vittoria salvifica e sovrana di Dio e del suo Messia/Cristo presuppone la battaglia celeste descritta nei vv. 7-9, conclusa con la sconfitta del serpente antico/diavolo/satana, /seduttore della terra abitata.

Si è compiuta la salvezza

Dio salva la donna che ha partorito il Messia e la prende con sé nella sua salvezza desertica, puro preludio, temporalmente parziale, dell’esito pienamente felice della celebrazione delle nozze della sposa col suo sposo/Signore risorto.

La fidanzata verrà preparata lungo i secoli ad agghindarsi sulla terra per il suo sposo, ma nello stesso tempo scenderà dal cielo, già preparata da Dio, come suo puro dono di grazia (cf. Ap 22,2). Cammino di fede provata sulla terra, destino di gloria dono della pura grazia di Dio.

È il destino glorioso della comunità dell’Antico Testamento fusa (12 x 12) divinamente (x 1000, il tempo di Dio) con quella apostolica del Nuovo Testamento (Ap 7,4, ma anche 7,9, la moltitudine immensa). È il destino glorioso di Maria Vergine che celebriamo assunta in cielo in anima e corpo, prima di una lunga schiera di credenti, per la sua stretta collaborazione – unica – alla redenzione attuata dal figlio suo Gesù Cristo.

È il destino glorioso di ogni credente che persevera fino alla fine nella fede (cf. Mt 10,22 e par.; Ap 2,26). Egli parteciperà pienamente, anche col suo “corpo pneumatizzato/sōma pneumatikon” (1Cor 15,44), alla gloria di Cristo risorto. Per ora non vediamo che tutte le cose siano sottomesse a lui, ammette un po’ amareggiato l’autore della Lettera agli Ebrei (cf. Eb 2,8), ma la fede e la contemplazione della beata vergine Maria assunta in cielo sono segni di sicura speranza e incoraggiamento nel cammino.

Beata colei che creduto!

Secondo il “vangelo in miniatura” nella versione lucana, la giovanissima Maria “si alza/risorge/anastasa” (1,39) e corre ad aiutare l’anziana parente incinta, ma anche a confidarle il segreto, ricevuto dall’arcangelo Gabriele, della sua vocazione a diventare madre, la madre del Messia, la madre del Figlio dell’Altissimo. Una confidenza fatta per partecipare una gioia immensa, ma anche per ricevere aiuto, sostegno, complicità femminile. Maria incinta diventa arca dell’alleanza che evangelizza portando gioia. Portatrice sana di gioia cristologica.

L’arca dell’alleanza aveva già benedetto la casa di Obed-Edom che l’aveva ospitata per tre mesi, e Davide decide che ormai è tempo di trasportarla a Gerusalemme: «L’arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa. Ma poi fu detto al re Davide: “Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio”. Allora Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gioia» (2Sam 6,11-12).

 Per pura rivelazione divina (essendo rimasta “misteriosamente” nascosta per cinque mesi…) Elisabetta intravede nella giovane cugina la madre del proprio Signore e loda il suo essere benedetta fra le donne per un privilegio così grande. Ma ancor più la loda per il frutto del suo grembo e per la sua fede nel “compimento perfetto /teleiōsis” (compiuto attivamente, –is greco!) attuato da Dio delle sue stesse parole.

È tutta una lode che sale a Dio, nella gioia, per la sua opera di grazia compiuta in Maria. La radice di tutta la vita umano-divina di Maria sta in quel “kecharitomenē/tutta trasformata dalla grazia” con la quale Gabriele l’aveva salutata (cf. Lc 1,28), rivelandole il suo vero e nuovo nome…

Magnificat

Tutta coltivata e trasformata da tempo dalla grazia di Dio che perdura tutt’ora nel presente nei suoi effetti (questo è il senso del participio perfetto passivo greco), Maria può corrispondere alla e nella grazia con la sua fede – non preservata da un cammino con momenti notturni e dolorosi –, alle parole rivoltele “nel passato, con valore duraturo, a partire da presso il Signore Dio ma scendendo in giù/lelalēmenois para tou theou” (prep. para col genitivo).

Maria è resa partecipe intimamente della persona, della missione e del destino salvifico del suo figlio, il Figlio dell’Altissimo. Egli la “riempie” di se stesso fin dall’inizio della sua vita, anzi, ancor prima che essa iniziasse sulla terra. Anche in questo caso, quel che è detto della Vergine Maria si può dire dell’umanità da sempre sognata da Dio, della comunità della prima alleanza, della Chiesa e di ogni credente (si veda il bel libro di Gisbert Greshake, Maria – Ecclesia. Prospettive di una teologia e una prassi ecclesiale fondata in senso mariano, Brescia 2017).

Si può ben comprendere allora come la Chiesa primitiva abbia recuperato la tradizione riguardante le parole espresse da Maria in quell’occasione e le abbia mirabilmente elaborate alla luce della preghiera della sterile Anna, graziata da YHWH con la nascita del figlio, il profeta Samuele (cf. 1Sam 2,1-10).

Maria/la Chiesa/il discepolo credente loda e “rende grandi” i criteri rivoluzionari delle scelte e delle azioni di YHWH/Dio Padre nella sua storia personale e in quella di Israele. Dio capovolge i criteri dell’onnipotenza “greca” con quelli dell’onnipotenza “ebraica”. Una onnipotenza potentemente “debole”, che sceglie persone/strumenti umanamente fragili, deboli, “inesistenti”, negletti e insignificanti (cf. 1Cor 1), “vasi di creta” (cf. 2Cor 4,7), per attuare i suoi disegni di salvezza.

Ancora una volta la lode e la venerazione per la Vergine Maria, celebrata oggi nella sua Assunzione al cielo in corpo e anima, si trasfigura in una lode alla “magnificenza” di Dio Padre, che ha voluto associare in modo unico la semplice figlia di Sion all’opera di salvezza realizzata dal suo Figlio, il Verbo di Dio incarnato.

Lode a Dio, venerazione a Maria, gloria a lode a Dio per la grandezza della dignità del nostro corpo umano, destinato anch’esso alla gloria che ci attende nei cieli.

Gloria di pellegrini che arrivano là dove ci hanno preceduti il Figlio e la Madre.

Commento a cura di padre Roberto Mela scj
Fonte del commento: Settimana News

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Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18, 1-5.10.12-14

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».

Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:

«In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.

Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.

Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.

Parola del Signore.