I 20 anni di Don Matteo

697

Oltre “Padre Brown”. Nel gennaio del 2000 è andata in onda la prima puntata della serie “Don Matteo”, una produzione Lux Vide con Rai Fiction con protagonista Terence Hill. Il riferimento era il collaudato sceneggiato “I racconti di Padre Brown” (1970) di Vittorio Cottafavi così come la serie di libri di Gilbert Keith Chesterton (sulla Bbc è attualmente in onda una nuova versione, “Father Brown”, con Mark Williams). È il caso di dire però che “Don Matteo” ha superato il suo maestro: vanta una messa in onda da record, 20 anni e 12 stagioni, senza segni di calo o cedimento; la prima puntata dell’ultima stagione, poi, ha fatto registrare un esordio sorprendente con 7milioni di spettatori e oltre il 30% di share. Un successo per la rete ammiraglia Rai, soprattutto in tempi in cui si sottolinea l’erosione della Tv lineare a favore di un consumo mordi e fuggi sulle piattaforme. “Don Matteo” mette tutti d’accordo, famiglie, giovani e anziani.

Comandamenti. La 12a stagione di “Don Matteo” si snoda in dieci puntate, dieci racconti che riflettono sui Comandamenti. Protagonista è sempre lui, don Matteo, parroco di una chiesa di Spoleto. Accanto a lui i consolidati comprimari: c’è il maresciallo Cecchini (strepitoso Nino Frassica), da poco vedovo che riscopre la tenerezza dell’amore con Elisa (Pamela Villoresi), la mamma del suo capitano. E poi proprio il capitano Anna Olivieri (Maria Chiara Giannetta), combattuta tra la dedizione al lavoro e il sentimento per il pm Marco Nardi (Maurizio Lastrico). In canonica puntuali sono le (dis)avventure di Pippo e Natalina (bravi, bravissimi, Francesco Scali e Nathalie Guetta) con l’adolescente Sofia (Maria Sole Polillo) e il giovane ribelle Jordi (Lino Di Nuzzo), promessa della danza.

Pros&Cons. Non si può non lodare la serie “Don Matteo”, che in vent’anni ha raccontato con una gamma di toni e sfumature – c’è il giallo, il dramma sociale, la componete sentimentale, la riflessione religiosa – il Paese e i suoi affanni, senza mai mancare in speranza e garbata ironia. Terence Hill/don Matteo ha riposizionato il ruolo del prete nell’immaginario narrativo, nel racconto televisivo, richiamando anche le radici culturali del nostro Paese: don Matteo rappresenta infatti il prete del nostro oratorio, il confessore in parrocchia, la persona cui ci si rivolge nel momento di difficoltà ma anche di gioia. Gli spettatori, giovani e anziani, lo amano, lo seguono e l’audience regge, anzi cresce. Se proprio si volesse trovare un elemento di debolezza, possiamo dire che la linea narrativa sentimentale che viene sempre associata alla figura del capitano (prima Flavio Insinna, poi Simone Montedoro e ora la Giannetta) è essenzialmente schematica e ripetitiva, a tratti stancante. Per il resto, applausi a tutta la squadra che lavora sulla serie “Don Matteo”, che si rivela appassionante ma soprattutto rassicurante. E di questi tempi serve… e molto!