Passione – Paolo Crepet (Recensione di don Gaetano Amore)

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Una delle insidie più pericolose e sottovalutate della nostra epoca, in cui le nuove tecnologie digitali funzionano come un rallentatore cognitivo ed emotivo che rende tutto apparentemente fattibile e fruibile senza sforzo, è il progressivo deperimento – se non addirittura l’estinguersi – della passione, quella sfida lanciata al mondo e a se stessi per continuare a migliorarsi, a sperare, a sognare.

Ma poiché, senza passione, non c’è una vita vera né una visione del futuro, in primo luogo del proprio, l’unico modo per non arrendersi a questa perdita è invocarla, provocarla, inseguirla, raccontarla.

È quello che fa Paolo Crepet componendo un inventario di storie e riflessioni, attinte dalla propria esperienza esistenziale e professionale, che ruotano attorno a questa parola sacra, in tutte le sue accezioni e declinazioni. Perché spiegare ai giovani che cosa significhi la passione, il fuoco interiore necessario per tenere accesi i propri desideri e cercare di soddisfarli, è oggi un compito fondamentale, se si vuole davvero «sostenerli nella scoperta e costruzione di sé, alimentare la loro gioia, coltivare i loro entusiasmi, non anestetizzarli o assopirli».

E siccome gli esempi valgono più delle parole, il libro è impreziosito dalle testimonianze di tre campioni di passione: Paolo Fresu, straordinario jazzista acclamato in tutto il mondo; Alessandro Michele, che ha rivoluzionato il panorama internazionale della moda, e Renzo Piano, tra i più celebrati architetti contemporanei. Tre uomini molto diversi per età, formazione e biografia, ma accomunati da un’inconfondibile caratteristica: l’inossidabile entusiasmo che anima il loro lavoro e l’assoluta fedeltà ai sogni di gioventù, che ne ha reso possibile l’avverarsi.

Le loro storie ci insegnano che la passione è basata su ostinazione, tenacia e un’incontenibile urgenza di libertà, ed è un meraviglioso traghetto che trasporta e preserva la speranza di una vita stupefacente. Non è un viaggio facile, e nemmeno per tutti, ma la meta è così speciale che ognuno ha il dovere di dimostrare se ha il coraggio di affrontarlo.

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La passione spiegata ai giovani

Molti uomini hanno una vita di quieta disperazione: non vi rassegnate a questo, ribellatevi, non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi attorno. Osate cambiare, cercate nuove strade.

JOHN KEATING

Figlia mia, sono felice con te: avere passioni forti, lasciarle crescere e crescere con loro. E se, in seguito, diventerai la loro inflessibile amante, la loro forza sarà la tua forza e la tua grandezza e la tua bellezza.

ANATOLE FRANCE

Senigallia è una cittadina che rivela la propria bellezza se la percorri camminando, specialmente di notte. L’assessore che mi ha invitato si offre di accompagnarmi per le vie del centro, rispettosamente restaurate. Una piccola, straordinaria rivoluzione urbana: dal degrado, dall’incuria, dalla perduta magnificenza al risorgere di luoghi, facciate, decoro, quotidianità creativa, al rinascere di una comunità finalmente più coesa e orgogliosa della propria appartenenza. Un cambiamento che incide non soltanto a livello estetico, ma anche e in modo sensibile su quello etico, mutando relazioni, creando complicità inattese, combattendo solitudini e frustrazioni.

Percepisco questo cambiamento al teatro comunale, dove incontro quei cittadini, perché è proprio qui che si sente «fisicamente» che la partecipazione non è parola vuota, ma pratica gioiosa, disponibilità aperta alla curiosità. Una serata particolarmente felice: tante persone con la voglia di ascoltare e di discutere fino a tardi. Un inaspettato arricchimento reciproco.

Molti sapevano che l’incontro non sarebbe finito quella sera: la mattina dopo era in programma, nello stesso luogo, la seconda parte, che avrebbe coinvolto i loro figli, ragazzi e ragazze delle superiori.

Generalmente con i giovani inizio a parlare in un clima di sospetto. Non sapendo chi hanno di fronte, giustamente non si fidano né danno troppa importanza all’avvenimento, partono con aspettative al minimo: comunque vada, sarà sempre meglio di un paio d’ore di lezione o di interrogazioni, pensano.

Poi, se si parla in maniera semplice e diretta, iniziano a percepire lo sforzo sincero, la voglia di comunicare e non di impartire chissà quali retoriche prescrizioni. E allora si avvicinano, dapprima guardinghi e poi fiduciosi, infine si fanno coinvolgere. Così è trascorsa anche quella mattina di marzo.

Eravamo arrivati quasi alla fine dell’incontro, c’erano state domande (soprattutto da parte di ragazze), il teatro si andava svuotando gradualmente. Smartphone riaccesi, zainetti sollevati da terra e fuori pullman che li aspettavano e di lì a poco li avrebbero portati via. Una mattina diversa, per loro e per me, stava giungendo all’epilogo.

Ed ecco che in alto, sulla mia destra, si alza una mano, il brusio non cessa fino a quando il ragazzo si alza in piedi e, preso finalmente il microfono, mi si rivolge con tono perentorio. Improvvisamente si fa silenzio, come se tutti avessero intuito che c’era un finale da non perdere e che valesse la pena ascoltare quel che aveva da dire il biondino dinoccolato che aveva chiesto la parola.

«Mi chiamo Nicolas, faccio la quinta. Posso farle una domanda anche se diretta? Dato che lei è una persona famosa ed è pieno di cose da fare, chi cazzo glielo fa fare di venire qui?»

Boato tra i compagni, risate e qualche «buuuu». Vedo le facce degli insegnanti sorprese, forse perfino imbarazzate.

Cerco di rispondere, ma le mie parole si confondono tra gli schiamazzi. Forse, però, era giusto che quella bella mattinata di discussione finisse proprio così, con una domanda intelligente e irriverente.

La vicenda non finisce così: qualche tempo dopo, infatti, ricevo un’email. È Nicolas, che mi scrive:

Sono il ragazzo che qualche settimana fa al teatro «La Fenice» a Senigallia, durante l’incontro con gli studenti delle superiori, le ha rivolto l’ultima domanda. Questa domanda ha destato molto scalpore nella mia scuola e negli altri istituti senigalliesi per via della forma, tanto da essere ripreso dal vicepreside della mia scuola per aver, a parer suo, ridicolizzato l’istituto davanti alla comunità senigalliese. Io spero che lei abbia capito dove volevo andare a parare: volevo solamente sapere cosa la spingesse a venire a parlare con noi giovani e cosa la spingesse a spendere così tante energie per andare da una scuola all’altra d’Italia a parlare senza mai fermarsi, cosa che penso non è risultata chiara ai miei professori e anche a molti di noi studenti. Comprendendo il mio comportamento sbagliato, le porgo le mie più sincere scuse, però le volevo porgere alcune domande. Lei si è sentito offeso dalla mia domanda? Secondo lei, tutto questo scalpore che ha generato, ha senso? Fin da bambino mi hanno sempre insegnato ad avere un pizzico di spirito critico e per una volta che finalmente l’ho esternato sono stato gravemente criticato, forse per via del modo e su questo non ho nulla da ridire; io ancora una volta le chiedo scusa qualora lei si sia offeso; vedendo che lei alla mia domanda ha risposto con molta tranquillità, volevo capire meglio il senso della «passione»; io penso che abbia capito quello che volevo sottintendere e le chiedo vivamente di rispondermi per far capire ai miei professori quello che volevo dire, perché per ora io sono una voce nulla. Distinti saluti. Nicolas.

Certo che ho capito, caro Nicolas. Avrei voluto dirtelo di persona, se fossi riuscito a raggiungerti fuori dal teatro. Non ce l’ho fatta, sei sparito, risucchiato dalla folla dei tuoi compagni. Però te lo voglio dire adesso qui, a mente fredda.

Innanzitutto mi dispiace che la scuola, il vicepreside, qualche professore e genitore, e magari anche qualche tuo coetaneo, abbiano badato più alla forma che alla sostanza di ciò che dicevi. È la riprova che spesso si guarda al dito invece che alla luna, all’apparenza e non alla sostanza. Tu ti chiedi cosa mi porti a sobbarcarmi migliaia di chilometri, da tanti anni, per parlare a ragazzi e ragazze della tua età. Si chiama passione ed è una parola difficile da spiegare se non attraverso esempi, bisogna viverla cercando di esserci non a parole (questi incontri si potrebbero fare più comodamente via Skype), ma con il contatto fisico. Il nostro Paese è gremito di intellettuali che preferiscono rimanere seduti in poltrona nelle loro biblioteche, piuttosto che entrare in un’aula scolastica per essere realmente presenti alle assemblee di giovani come te.

Quando vi incontro, provo una strana sensazione fisica: è come se avessi in mano un innaffiatoio colmo d’acqua e la versassi sulla terra prosciugata dalla calura estiva che la beve con voracità, la risucchia come in un vortice. Avete sete, ragazzi, e non trovate facilmente adulti capaci di dissetarvi: troppi «bravi e onesti pensatori» sono altrove, distratti da mille cose, ossequiosi di ogni principe. Cattivi maestri che hanno smesso di amare la vostra sete, forse perché non hanno più molto da darvi, se non critiche e futili generalizzazioni.

La tua domanda è la quintessenza del rapporto che si è instaurato tra noi e voi. È per questa ragione che sono io a ringraziare te per aver trovato la forza di pormela davanti a un teatro gremito di ragazzi e di ragazze, di insegnanti e dirigenti scolastici, di genitori e amministratori.

No, Nicolas, tu non sei una «voce nulla»: anzi, non pensare mai di esserlo. Ci sono voluti la tua forza e il tuo coraggio per pormela, ma ci vuole anche premura, devi sentirne la necessità, ed è questo il punto che qualcuno – quelli che ti hanno criticato – probabilmente non ha saputo né voluto cogliere.

La premura e la necessità: ovvero il bisogno e la curiosità di capire perché una persona come me stava lì a cercare di parlare con voi della vita. Niente meno che della vita.

E se si parla di vita, non puoi che far riferimento alla passione. E per farlo c’è un solo modo: essere appassionati, discutere da appassionati.

Nicolas mi chiede chi me lo fa fare perché, evidentemente, non gli capita così spesso di incontrare persone entusiaste. Anzi, lui, e tanti suoi coetanei, sono così lontani dalle persone appassionate da stentare a credere che esistano veramente.

Probabilmente, pochi giovani credono che nella vita ci sia bisogno di un impeto, di un fuoco dell’anima: agli altri basta forse quello che c’è, o meglio quello che gli adulti gli regalano. E si spaventano quando incontrano sul proprio percorso un alieno acceso da qualche fuoco sacro, qualcuno che fa le cose non tanto per trarne un guadagno, ma per goderne.

Godere: verbo censurato da cascami d’impronta vetero-cattolica, ma che dovrebbe invece essere uno degli obiettivi principali dell’educazione. Anche per una semplice, ovvia ragione: se davvero non vuoi sentire il peso della fatica, devi godere per le cose che fai. Io riesco a macinare ancora, alla mia non più verde età, migliaia di chilometri ogni settimana perché mi piace, godo a incontrare la gente, i giovani, gli educatori, e penso pure che sia una cosa utile a me e a loro.

Essere costretti a fare solo ciò che vogliono gli altri, eseguire ordini per tutta la vita, è la peggior condanna che si può infliggere a un uomo. Eppure è ciò che sceglie, a volte costretta, la maggior parte delle persone.

Se, invece, a scuola si parlasse del diritto a godere della propria vita, forse qualcuno tra quegli studenti troverebbe la forza di farsi illuminare dalla passione. Indurre un giovane a scegliere di fare ciò che altri hanno scelto per lui è un inganno: non gli viene detto che la sua vita sarà una tortura, che anche fare le cose più semplici gli costerà una fatica terribile.

Incontro una ragazza dell’ultimo anno di un liceo psicopedagogico di Firenze. È venuta, assieme alla sua insegnante e ai compagni di classe, ad ascoltare una mia conferenza a Palazzo Strozzi dove ho presentato il mio libro sul coraggio. Alla fine del dibattito mi chiede guardandomi dritto negli occhi: «Ma lei, se fosse un mio professore, premierebbe più la mia passione o la mia preparazione?». Non una domanda banale, anzi.

La mia risposta è scontata, ma non so se lo sarebbe altrettanto quella di altri suoi potenziali professori, anche perché temo che la cultura scolastica, specie quella odierna, sia in gran parte ancora imperniata su un’astratta idea di istruzione che si fonda sull’affastellamento di nozioni, più che sull’educazione emotiva. Suggerisco a quella ragazza intelligente e curiosa di non fare mai nulla nella vita che si collochi al di sotto della linea della passione: è il «minimo comun esistenziale».

Temo che ci sia qualcosa che non è stato spiegato né a Nicolas né alla ragazza di Firenze, voglio credere però che in quelle domande impertinenti vi sia un germe di salvezza. Anzi, sono sicuro che loro hanno già capito, anche se non posso dire altrettanto di quelli che hanno fischiato e deriso Nicolas o di quelli che mirano a raggiungere un minimo di preparazione per superare l’interrogazione e non sono disposti ad andare oltre. E temo anche di chi quelle scuole dirige. Non so se abbiano compreso che il loro compito è cogliere, sollecitare, sviluppare potenzialità e sogni di quei giovani, sostenerli nella scoperta e costruzione di sé, alimentare la loro gioia, coltivare i loro entusiasmi, non anestetizzarli o assopirli.

Invece che redarguire Nicolas, quel vicepreside avrebbe dovuto premiare proprio la sua apparente improntitudine, la prorompente generosità con la quale quel ragazzo si è messo in gioco per un attimo. Così come la ragazza fiorentina ha necessità che qualcuno valuti la sua voglia, la sua curiosità, la sua inquietudine, non una semplice, effimera preparazione dottrinale.

Sono però convinto che voi, caro Nicolas e cara ragazza fiorentina, ce la farete anche perché, come i cuccioli di cane che sanno già come e dove scovare i tartufi, avete fiuto e state imparando a fidarvene, anche se dovrete sopportare ancora qualche adulto cieco e pavido che rifiuta tutto ciò che va oltre al proprio ruolo burocratico. Incontrerete ancora educatori rassegnati che detestano l’improvvisazione, l’uscir dalle regole, l’amore per l’antitesi, il senso dell’ironia, l’eccitazione mentale: non è un destino cinico, ma una palestra dove si rafforza la vostra volontà e determinazione.

Voi, intanto, non perdete tempo con gli ignavi, imparate a fidarvi del vostro istinto per la libertà, cercate di dire sempre ciò che pensate, civilmente, ma senza autocensure. E non pesate parole e scelte per accondiscendenza o opportunismo. Probabilmente state già interfacciandovi con un mondo che non ragiona così, ma sono certo che se farete cose diverse dagli altri le pagherete tutte, senza sconti, come è successo ai migliori tra gli adulti che vi hanno preceduto.

Se mi aveste chiesto un consiglio, vi avrei detto di continuare a rischiare l’impopolarità, i fischi che questa comporta e perfino l’indifferenza al vostro nascente talento; l’entusiasmo, la passione e il coraggio premiano sempre, quando sono dimostrazione della libertà dello spirito.

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