Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?

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Sui social network esistono degli spazi non presidiati da adulti, sui quali i bambini sono liberi di muoversi in completa libertà e i gestori di piattaforme possono ottenere dati e informazioni su di loro senza passare per le leggi a tutela dei minori.

E questo accade perché i bambini sono un target molto facile da colpire in termini di marketing. Per crescere in un contesto del genere è necessario che i bambini imparino a parlare prima che a utilizzare le emoji, che provino a esprimere i propri sentimenti di fronte a un altro essere umano senza utilizzare uno smartphone, che riescano a distinguere un palcoscenico dalla vita reale, e per tutto questo, che piaccia o no, serve la testimonianza vera, e per questo anche imperfetta, di un adulto.

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Prefazione

Sono soprattutto due gli aspetti, e i temi, che mi hanno appassionato nel corso della lettura del libro di Simone Cosimi e Alberto Rossetti: il tentativo, perfettamente riuscito, di illustrare ai genitori – e, in generale, agli adulti – il modo per cercare di sconfiggere quel “vantaggio competitivo” che i più giovani inevitabilmente vantano nell’utilizzo delle tecnologie e dei social network, e la conseguente volontà di spiegare i fenomeni della rete e dei social network in maniera semplice ma approfondita, andando alla radice dei motivi, dei comportamenti e delle reazioni con un approccio rigoroso e documentato.

Il primo punto è sicuramente il più spinoso da affrontare. Quando, nel 1984, mi fu regalato il mio primo computer, avevo 15 anni. Non c’era internet, non c’erano i social network, non c’era il touch screen, non c’era il mouse né le interfacce grafiche. Non c’erano neppure i monitor: il computer si collegava al televisore. Un approccio così rudimentale e “scomodo” presentava, però, un grande vantaggio: si cominciava a conoscere la macchina e il suo sistema operativo sin dalle sue fondamenta, e per far sì che il computer avesse una qualche “reazione” occorreva programmarlo utilizzando il suo linguaggio. Un approccio del genere permetteva, dopo mesi e anni, di conoscere in ogni suo aspetto lo strumento utilizzato: questo fatto non solo aumentava la confidenza dell’utente, ma anche la sua sicurezza. Si era perfettamente in grado di comprendere, sempre, perché potesse succedere un determinato fatto, soprattutto in caso di minacce, errori o malfunzionamenti.

Gli adolescenti oggi si avvicinano a computer che sono completamente diversi. Sono già immediatamente utilizzabili appena estratti dalle scatole, non richiedono periodi di apprendimento (su YouTube si trovano video di iPad o smartphone dati a neonati o, addirittura, a scimmie, che iniziano a usarli senza problemi) e, in un certo senso, “ingannano” l’utente cercando di nascondere la complessità e le reali funzioni nascoste al di sotto per consentire una fruizione immediata, divertente e produttiva. Questo comporta che, non appena succede qualcosa di diverso rispetto al percorso già segnato dal sistema operativo a cui l’utente è stato abituato, vi sia una sensazione di timore e di inadeguatezza. Esiste un solo modo per risolvere questo aspetto: riprendere il controllo del funzionamento delle macchine che si usano quotidianamente, studiare l’architettura e le funzioni di questi strumenti. Un approccio da hacker, proprio di chi non si ferma alla superficie delle cose, ma scava per imparare sempre più dettagliatamente.

Nel libro di Cosimi e Rossetti appare spesso, sullo sfondo, questa “invasione” di strumenti elettronici nella nostra società (soprattutto tra i più giovani) che non ha dato il tempo di conoscere a fondo i dispositivi che si utilizzano, la loro pericolosità, le tracce che lasciano, l’amplificazione del messaggio che offrono, la persistenza dell’informazione che diffondono e le reti sociali che creano.

In questo percorso verso la conoscenza, dicevo, i più giovani sono ancora indietro, anche se si dimostrano scaltri nell’uso quotidiano delle applicazioni e dei servizi web più comuni. Ma i loro genitori sono, per alcuni versi, ancora più indietro; al punto da dare a figli e nipoti un vantaggio competitivo enorme, che si traduce, sovente, in un’impossibilità di controllo sulle attività online dei giovani.

Questo libro andrebbe letto, innanzitutto, per cercare di recuperare ciò che ci manca nella comprensione di come il panorama tecnologico sia cambiato coinvolgendo le nuove generazioni. Modificando tutti gli aspetti della società: giuridici, psicologici, sociali, di mutamento del linguaggio, delle abitudini, delle modalità di intessere relazioni ma anche nel lato più profondo, quello della sessualità, degli affetti, della morte e della celebrazione del lutto.

Conoscere a fondo la tecnologia serve non solo a colmare un gap informatico, ma anche a interpretare correttamente e collocare al giusto posto i nuovi fenomeni comportamentali che ruotano attorno alla vita quotidiana dei minori sui social network, e questo attraverso una visione critica che non sia ostile per principio a tutti questi fenomeni, ma che cerchi di comprendere come molti dei fattori contenuti in essi siano ormai parte della quotidianità dei più giovani, siano il loro modo di “essere” e di “esserci” nella società.

Il secondo punto che appare chiaro nel libro, e che vale sempre la pena ribadire, è che ogni comportamento tecnologico dei più giovani ha sempre una radice, un motivo che va analizzato ancora prima di concentrarsi sulla tecnologia, fondendo considerazioni sulla cultura, sulla società e sull’educazione civica generale col nuovo quadro disegnato dalle reti e dalle tecnologie. Penso, per esempio, a quanto sarebbe importante una reale comprensione, da parte dei genitori, di cosa possa significare, per un adolescente oggi, essere social (ossia essere apprezzato, attraverso like, consensi o visualizzazioni), e quindi apparire, e condividere questo suo apparire, nell’ambiente che frequenta, per ore e ore, tutti i giorni.

Tanti comportamenti sono oggi tenuti dai più giovani semplicemente per “esserci”, per farsi vedere, per dire “io ci sono e condivido questo momento con voi”. Purtroppo tanti comportamenti, anche negativi, è ben noto che possono sfociare in situazioni criminali, come la diffusione di espressioni d’odio o la pubblicazione di video che riprendono azioni di bullismo.

Sono da tempo convinto che prima, e accanto, a un’opera di educazione civica digitale, che da anni si domanda venga introdotta nelle scuole, sia necessaria una nuova opera di educazione civica “tradizionale”, di ritorno alla legalità e al suo insegnamento. I problemi sociali vengono, infatti, prima dei problemi tecnologici, e molte questioni emerse sui social e sulle reti potrebbero essere risolte operando, si diceva, alla base.

Spero che questo libro venga letto da genitori, educatori e adulti curiosi. Tutti sappiamo quanto sia difficile far leggere di questi argomenti ai giovani (che, spesso, non vogliono dialogare sull’argomento e navigano un po’ a vista). Se, però, già i loro genitori e parenti approfondissero i temi trattati, si creerebbe un quadro migliore, di dibattito e confronto aperto e consapevole, che potrebbe certamente portare a un miglioramento diffuso e a un ripensamento, in molti casi, di tanti comportamenti che oggi sono incompresi o male interpretati.

Prof. Giovanni Ziccardi
Cattedra di Informatica giuridica
Università degli Studi di Milano

«Là in alto, mentre prende confidenza col suo
nuovo territorio, il funambolo si sente solo».
Philippe Petit, Trattato di funambolismo