Martini e noi. I ritratti inediti di un grande protagonista del Novecento

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martini e noi“Quale immagine si conserverà di me? Non pretendo che si conservi un ricordo particolare. Mi basta essere stato uno dei tanti che hanno servito il Signore, la Chiesa e l’umanità”. Così rispondeva Carlo Maria Martini, sollecitato dalla domanda di un giornalista. E in questo caleidoscopio di oltre cento ritratti non è soltanto l’immagine pubblica ed esteriore a essere evocata, quanto il ricordo più intimo e privato di coloro che hanno conosciuto e apprezzato uno degli uomini di fede più amati del cattolicesimo e più ascoltati dal mondo laico. Le firme autorevoli, che chiosano i racconti intensi e toccanti di questa raccolta, portano alla luce un tratto del carattere, un insegnamento sapienziale, un episodio emblematico, offrendo uno schizzo inedito di uno dei più grandi protagonisti del Novecento italiano.

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Ecco quanto ha scritto Enzo Bianchi

Il significato fondamentale della nostra vita consiste nella vita di Cristo stesso donataci nel battesimo, nella giustizia e nell’amore di Cristo che operano in noi a servizio dei fratelli e danno un senso diverso, gioioso, a ogni tipo di esperienza o di incontro quotidiano.

Da Messaggio per l’ingresso nell’arcidiocesi di Milano, 10 febbraio 1980 

(in Le ragioni del credere. Scritti e interventi, Mondadori, Milano 2011, p. 6)

È a Gerusalemme che ci siamo incontrati di persona la prima volta: padre Carlo Maria Martini era professore al Pontificio Istituto Biblico e teneva il consueto semestre di insegnamento in Terrasanta; io stavo vivendo alcuni mesi sabbatici in cui approfondivo la conoscenza dell’ebraico biblico. All’epoca già ero familiare con i suoi studi esegetici, che sempre mi impressionavano per la rara capacità di mettere in risalto la “lettera” così da andare con maggior penetrazione allo “spirito” dello “sta scritto”.

Ci trovavamo all’Istituto biblico, in città nuova, per conversare o cenare insieme, anche perché padre Martini era molto interessato al mio Pregare la Parola, il testo che avevo pubblicato sulla pratica della lectio divina. Dagli incontri e dalla frequentazione di quei mesi è nata un’amicizia profonda. Rientrati entrambi in Italia, padre Martini non mancava mai di passare per Bose quando da Roma si recava presso la sua famiglia d’origine a Torino: la preghiera comunitaria, a volte il pasto fraterno, sempre la sollecitudine per la Chiesa di Dio era ciò che amavamo condividere.

La sua nomina ad arcivescovo di Milano ha poi mutato tempi e modalità dei nostri incontri, così come il suo ministero, ma non ha cambiato il cuore del suo essere cristiano e pastore. Durante i lunghi anni di episcopato e poi quelli successivi di progressivo indebolimento, ci vedevamo alcune volte all’anno: non solo per iniziative, come la Cattedra dei non credenti, nelle quali aveva pensato di coinvolgermi, ma ancor più per momenti di confronto in arcivescovado a Milano su quanto stava a cuore a entrambi circa la presenza della chiesa nella società contemporanea, l’impatto del Vangelo nella vita quotidiana odierna, in Italia come nel mondo. Quando poi veniva a trovarmi a Bose, ero sempre stupito dalla sua attenzione e sollecitudine per i fratelli e le sorelle della Comunità, in particolare per quelli provenienti dalla sua diocesi, che avevano compiuto il cammino di cristiani adulti sotto la sua guida pastorale: le sue erano parole di incoraggiamento e fiducia, squarci di visione dilatata, pensieri e parole ricche di parresia evangelica e di macrothymia, capacità di pensare in grande, di offrire un respiro a misura dell’umanità.

Incontrare con il cardinal Martini per me significava sempre riandare all’essenziale di cosa significa essere uomini della Parola: letta, studiata, meditata, pregata, amata, la parola di Dio per Martini era “lampada per i suoi passi, luce per il cammino” ed era anche, e proprio per questo, chiave di lettura dell’agire quotidiano, luogo di ascolto, di discernimento, di visione profetica. Ma l’aspetto ancor più impressionante del suo essere uomo, cristiano, vescovo della Parola, emergeva dalla sua grande capacità di ascolto: dialogare con lui era sperimentare di persona cosa sia un orecchio attento e un cuore accogliente, cosa significhi pensare e pregare prima di formulare una risposta, cogliere il non detto a partire dalle poche parole proferite dall’interlocutore, capirne i silenzi. Era da questo ascolto attento, della Parola e dell’interlocutore, che ho visto nascere nel card. Martini la capacità di gesti profetici, la sollecitudine per la chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti. In lui coglievo una delle rare figure di ecclesiastici senza tattiche, né strategie, né calcoli di governo, ma quella vita di Cristo e in Cristo che aveva posto come chiave di lettura dell’esistenza di ogni battezzato e del suo ministero pastorale, fin dal messaggio alla diocesi nel giorno del suo ingresso a Milano.

Vorrei concludere questo ricordo rievocando l’ultima sua visita a Bose, quando le forze già cominciavano ad abbandonarlo senza minimamente intaccare la sua lucidità e la sua passione per il Vangelo e per la “corsa della Parola” tra gli uomini e le donne del nostro tempo. “Vedo ormai davanti a me la vita eterna – ci disse con grande semplicità e forza – sono venuto per darvi il mio ultimo saluto, il mio grazie al Signore per questa lunga amicizia nel Suo nome: conto sulla vostra preghiera e sul vostro affetto”. E così, come un padre pieno di sollecitudine, ci parlò della morte e del morire, della risurrezione e della vita: “Si muore soli! Tuttavia, come Gesù, chi muore in Dio si sa accolto dalle braccia del Padre che, nello Spirito, colma l’abisso della distanza e fa nascere l’eterna comunione della vita. Nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. L’anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose”.

Per me aver conosciuto e amato il card. Martini, aver avuto il grande dono della sua amicizia è stata occasione di questa letizia e gioia profonda, ha significato comprendere perché i padri della chiesa erano soliti dire che i discepoli autentici del Signore sono sequentiae sancti Evangelii, brani del Vangelo, narrazioni dell’amore di Dio per l’umanità tutta.

(Fonte: Avvenire)