don Marco Pozza, Papa Francesco – Quando pregate dite Padre nostro

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“Ci vuole coraggio per pregare il Padre nostro. Ci vuole coraggio. Dico: mettetevi a dire ‘papà’ e a credere veramente che Dio è il Padre che mi accompagna, mi perdona, mi dà il pane, è attento a tutto ciò che chiedo, mi veste ancora meglio dei fiori di campo. Credere è anche un grande rischio: e se non fosse vero? Osare, osare, ma tutti insieme. Per questo pregare insieme è tanto bello: perché ci aiutiamo l’un l’altro a osare.”

Il Padre nostro è la preghiera che racchiude tutte le altre, quella che Gesù stesso ha donato ai suoi discepoli per rispondere alla loro richiesta: “Insegnaci a pregare”. In questo libro, Papa Francesco la illumina versetto per versetto rispondendo alle domande di don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere di Padova.

Le parole insegnate da Gesù entrano in risonanza con episodi della vita di Jorge Mario Bergoglio, con la sua missione apostolica e con le inquietudini e le speranze delle donne e degli uomini d’oggi, fino a diventare la guida per una vita ricca di senso e di scopo. Ogni capitolo della conversazione si conclude con dei testi di Papa Francesco – pronunciati nelle udienze del mercoledì o negli Angelus – che approfondiscono e sviluppano temi cruciali come la paternità, la grazia, il perdono, il male.

Alla fine, don Marco Pozza porta il Padre nostro dentro il carcere, e lascia che due suoi parrocchiani diano voce al dolore che percorre le loro esistenze e alla loro speranza di misericordia.

Ascolta l’intervista di Radio Vaticana a don Marco Pozza

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Pregare il Padre

«Padre»: senza dire, senza sentire questa parola non si può pregare.

Chi prego? Il Dio Onnipotente? Troppo lontano, non riesco a sentirlo vicino: neppure Gesù lo sentiva. Chi prego? Il Dio cosmico? Va di moda, in questi giorni, pregare il Dio cosmico: è la modalità politeista tipica di una cultura light…

Tu devi pregare il Padre! È una parola forte, «padre». Tu devi pregare quello che ti ha generato, che ti ha dato la vita. L’ha data a tutti, certo; ma «tutti» è troppo anonimo. L’ha data a te, l’ha data a me. Ed è anche colui che ti accompagna nel tuo cammino: conosce tutta la tua vita, ciò che è buono e ciò che non è così buono. Se non incominciamo la preghiera con questa parola, detta non dalle labbra ma dal cuore, non possiamo pregare «in cristiano».

Abbiamo un Padre. Vicinissimo, che ci abbraccia. Tutti questi affanni, tutte le preoccupazioni che possiamo avere, lasciamoli al Padre: Lui sa di cosa abbiamo bisogno. Ma in che senso «Padre»? Padre mio? No: Padre nostro! Perché io non sono figlio unico, nessuno di noi lo è, e se non posso essere fratello, difficilmente potrò diventare figlio di questo Padre, perché è un padre di tutti. Mio, di sicuro, ma anche degli altri, dei miei fratelli. E se io non sono in pace con i miei fratelli, non posso dire «Padre» a Lui.

Non si può pregare con nemici nel cuore, con fratelli e nemici nel cuore. Non è facile, lo so. «“Padre”, io non posso dire “Padre”, non mi viene.» È vero, lo capisco. «Non posso dire “nostro”, perché il mio fratello, il mio nemico mi ha fatto questo, quello e… Devono andare all’inferno, non sono dei miei!» È vero, non è facile. Ma Gesù ci ha promesso lo Spirito Santo: è Lui che ci insegna, da dentro, dal cuore, come dire «Padre» e come dire «nostro». Chiediamo allo Spirito Santo che ci insegni a dire «Padre» e a poter dire «nostro», facendo la pace con tutti i nostri nemici.

Questo libro contiene il mio dialogo con don Marco Pozza sul Padre nostro. Gesù non ci ha consegnato questa preghiera perché fosse semplicemente una formula con cui rivolgersi a Dio: con essa ci invita a rivolgerci al Padre per scoprirci e vivere come veri figli suoi e come fratelli tra di noi. Gesù ci fa vedere cosa vuol dire essere amati dal Padre e ci rivela che il Padre desidera riversare su di noi lo stesso amore che dall’eternità ha per il suo Figlio.

Spero che ognuno di noi, allora, mentre dice «Padre nostro», sempre più si scopra amato, perdonato, bagnato dalla rugiada dello Spirito Santo e sia così capace di amare e perdonare a sua volta ogni altro fratello, ogni altra sorella.

Avremo così un’idea di cosa sia il paradiso.

Padre nostro

Santo Padre, il 13 marzo 2013 per me è stata una serata un po’ strana. Ero davanti alla televisione, avevo appena recitato i vespri, quindi per la liturgia della Chiesa ero già nel cuore del 14 marzo, e il 14 marzo compie gli anni la mia mamma. Il 13 marzo lei è uscito dalla loggia vaticana e noi abbiamo appreso con immenso stupore che si sarebbe fatto chiamare Francesco, Papa Francesco, e il mio papà si chiama Francesco… Quella sera ho avuto la sensazione di avere Dio così vicino come non l’avevo mai avuto prima. Per questo mi piace iniziare chiamandola Santo Padre. Per due motivi: prima di tutto perché c’è il termine Padre che richiama la figliolanza, e poi Santo perché lei è un padre che proclama la santità di Dio. Mi piace partire proprio da qui, dal concetto di «padre», perché nella preghiera che mi ha insegnato papà quando ero bambino, il Padre nostro, c’è quasi lo stupore nel vedere un Dio che si fa dare del tu dalle sue creature. Mi piacerebbe sapere da lei l’emozione di pregare il Padre nostro dando del tu a Dio, anche per il Papa oggi.

A me dà sicurezza. Incomincio da qui: il Padre nostro mi dà sicurezza, non mi sento sradicato, non ho un senso di orfanezza. Ho un padre, un papà che mi porta la storia, mi fa vedere la radice, mi custodisce, mi porta avanti e anche un papà davanti al quale io mi sento sempre bambino, perché Lui è grande, è Dio, e Gesù ha chiesto quello, di sentirsi bambino. Dio offre la sicurezza di un padre, ma un padre che ti accompagna, ti aspetta. Pensiamo alle parabole del capitolo 15 del Vangelo di Luca: la pecorella smarrita, il figlio prodigo… Un padre che, quando ti sei pentito delle strade brutte, delle strade difficili che hai preso e ti prepari il discorso da fare, non ti lascia parlare, ti abbraccia, ti festeggia. Un papà che ammonisce – «Stai attento, tieni conto di questo…» – ma ti lascia libero. Credo che oggi il mondo abbia un po’ perso il senso della paternità. È un mondo malato di orfanezza. Dire e sentire il «nostro» del Padre nostro significa capire che non sono figlio unico. È un pericolo, quello di sentirci figli unici, che corriamo noi cristiani. No, no: tutti, anche quelli disprezzati, sono figli dello stesso Padre. Gesù ci dice: saranno i peccatori, le prostitute, gli scartati a entrare prima di voi nel regno dei cieli, tutti.

Infatti penso che se potessimo noi metteremmo il cartello «Proprietà privata», solo mia: è proprio questa la tentazione. Sarebbe facile pregare un Dio che ha solo un figlio e quel figlio sono io. Invece sapere che il Padre è «nostro» forse ci fa sentire un po’ meno soli, nei momenti difficili ma anche in quelli di spensieratezza.

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