don Federico Tartaglia – È ora di leggere la Bibbia (e ti spiego come fare)

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«Questo libro ha una sola ragion d’essere: spingerti a leggere la Bibbia! Nella mia esperienza di sacerdote arrivo a dire che il 95 per cento dei cattolici non la legge. La maggior parte non la trova né utile né interessante, per molti è noiosa e complicata, per alcuni è solo una sorta di riparo dove trovare di tanto in tanto parole di conforto. E non se la passano bene nemmeno preti, frati e suore, che leggono la Bibbia “a pezzettoni”, seguendo la liturgia, e non provano quasi mai a leggere per intero i libri dell’Antico Testamento».

Parola di don Federico Tartaglia. Eppure, lo si ripete da molti secoli, «ignorare le Scritture è ignorare Cristo». Come fare, allora? Si può provare con questo manuale di “auto-aiuto biblico”, in cui l’autore presenta uno per uno i 73 libri della Bibbia, mostrando – con linguaggio informale e brillante – perché non possiamo non leggere la Bibbia, e tutta la Bibbia, se vogliamo dirci cristiani.

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PREFAZIONE

di Bruno Maggioni

Ho passato tutta la vita a studiare e a spiegare la Bibbia, rivolgendomi a chiunque fosse interessato ad ascoltarmi o a leggere i miei articoli e i miei libri.

Una volta la Bibbia non era di moda, anzi per molti bravi cristiani era possibile vivere la propria fede senza sentire il bisogno di leggerla: bastava quella che si sentiva a Messa. Poi, per fortuna, le cose sono cambiate e sono nate tante iniziative – libri divulgativi di esegesi, corsi biblici, «scuole della Parola» eccetera – che avevano come obiettivo quello di rendere «popolare» la lettura della Bibbia, da soli o in gruppo.

Però mi sembra di notare che, nonostante tutti gli sforzi, sono ancora troppo poche le persone che decidono di uscire dal guscio dei brani che tutti conoscono (che sono poi una percentuale piccolissima del testo biblico) e affrontare con coraggio una lettura integrale della Bibbia. Che è anche l’unico modo per imparare a capirla davvero, perché – come già dicevano gli antichi maestri di Israele – «la Scrittura si interpreta e si spiega con la Scrittura».

Forse non siamo stati capaci di far capire che leggere la Bibbia non è un esercizio di devozione riservato a pochi (preti, frati e suore più qualche «laico impegnato»), ma è anzitutto una scuola di vita, per tutti. Anzi, oso dire che è la più straordinaria scuola di vita a nostra disposizione, prima ancora che un «deposito di verità», da usare per attaccare chi non la pensa come noi.

Forse di solito la Bibbia viene letta in modo troppo spiritualista: è invece un libro umano, per i nostri problemi veri, non solo religiosi. Non esiste una religione astratta. La Bibbia deve essere presa sul serio, nella sua corposità, senza allegorie, senza spiritualizzazioni, perché il senso letterario è intelligente. Mi ribello a certe letture sempre edificanti, in realtà ci sono racconti biblici che terminano con dubbi e domande. Sono perplesso di fronte a interpretazioni che spiritualizzano come se i suggerimenti della Parola di Dio non fossero per la vita terrena. Letture che sembrano una fuga dal mondo o una sua consolazione. Vorrei una lettura attenta alle domande e alle narrazioni, spesso problematiche, ai paradossi che cambiano la mentalità e il modo di vivere. Il cristiano è del mondo e nel mondo deve vivere, nel suo quotidiano, senza astrazioni e senza troppe pretese di eroismo.

E poi: la Bibbia è un libro che dà voce non soltanto alla Parola di Dio rivolta all’uomo, ma anche alle domande dell’uomo qualunque, dell’uomo che pensa, sulla vita, sulle relazioni fra di noi, sul non senso che molte cose sembrano avere. Anche l’ateo in questo può specchiarsi. Diversa può essere la sua risposta, ma avere le stesse domande è già una grande fraternità.

Quali consigli dare allora a chi vuole accostarsi alla Bibbia per una prima lettura? Il mio primo consiglio, frutto di anni di lavoro, è che bisogna affidarsi a una guida sicura, e questo libro di don Federico Tartaglia è particolarmente adatto, per la sua capacità di mostrare la «posta in gioco» di ogni libro biblico e della Bibbia tutta intera. Poi si può partire da qualche libro che ci sembra più familiare, direi un Vangelo (e già leggerlo tutto d’un fiato è molto diverso dal sentirlo leggere a pezzi, come a Messa), passare a una Lettera di Paolo e dopo a qualche libro dell’Antico Testamento che ci faccia comprendere la bellezza anche letteraria della Scrittura, come Giobbe o il Cantico dei Cantici.

Fatto questo, si può affrontare qualsiasi testo. L’importante è capire che siamo davanti a un libro complesso che non si comprende tutto. Ci sono parti che non ho capito io stesso. La Bibbia parla di Dio e dell’uomo, argomenti non semplici. Bisogna avere costanza e pazienza, ma – lo posso garantire – è un libro che vale più di altri, anche culturalmente. I racconti biblici sono pari a quelli della letteratura greca. Durante un corso post-laurea per allievi che venivano da letture classiche mi sono sentito dire: «Abbiamo letto Qoelet, è più straordinario dei Dialoghi di Platone».

In teoria si è capito che senza frequentare con assiduità la Bibbia non possiamo dirci davvero cristiani. Anzi, umani. Ma dobbiamo renderla pane quotidiano per la gente. E mi auguro che questo libro – con il suo accorato invito a leggere la Bibbia, a leggerla tutta, a innamorarsi della Parola di Dio – diventi uno strumento diffuso nelle parrocchie, nei gruppi di catechesi, nelle scuole bibliche, ma sia preso sul serio anche da tutte le persone che semplicemente si sono dette: «Quel librone è da anni sullo scaffale, ora voglio provare a leggerlo…».

Ricordandoci di una cosa importante: Gesù ha detto che «beati», cioè «felici» (ed essere felici non il vero desiderio del cuore umano?) sono quelli che ascoltano la Parola di Dio… e che la mettono in pratica! Tradurre in pratica non significa però osservare il Vangelo in tutto e per tutto, non ne siamo capaci. Il difetto di molte persone è abbassare il Vangelo al nostro livello di osservanza, per il gusto di dire: io sono un uomo del Vangelo. Meglio dire: sono un peccatore e il Vangelo è quella cosa bella a cui cerco di arrivare.

Con questo spirito, non posso che ripetere quello che don Federico Tartaglia augura al termine di ogni capitolo di questo libro: buona lettura!

PROLOGO

È ora di leggere la Bibbia!

Guarda il video!

Questo libro ha una sola ragion d’essere: spingerti a leggere la Bibbia. Sono sicuro infatti che se ognuno di noi si alzasse una mattina, sulla metropolitana affollata delle 8, e chiedesse agli attoniti passeggeri se qualcuno di loro legge abitualmente la Bibbia, la risposta sarebbe la medesima per tutti: «No!».

Le statistiche ci dicono che la maggior parte degli italiani possiede una Bibbia. Ma la mia esperienza di sacerdote mi fa dire che il 95% dei cattolici non la legge! La maggior parte non la trova né utile né interessante, per molti è noiosa e complicata, mentre per alcuni è una sorta di riparo dove trovare di tanto in tanto parole di conforto.

Pensateci bene: delle persone che conoscete quasi nessuno legge la Bibbia, forse qualche catechista o qualche fervente cristiano, anche se in realtà nel mondo cattolico vanno di moda così tanti libri di devozione che la Bibbia è quasi un optional.

E non se la passano bene nemmeno preti, frati e suore, che leggono la Bibbia «a pezzettoni», seguendo la liturgia, e nella maggior parte dei casi non provano quasi mai a leggere per intero i libri dell’Antico Testamento.

Tra questi ci sono anch’io, che lo lessi in seminario e poi ritenni la pratica conclusa, dedicandomi soprattutto al Vangelo e al Nuovo Testamento, mantenendo un interesse solo per alcuni brani, per lo più dei profeti. Gli altri libri rimanevano lì, utili per alcuni capitoli che si sanno a memoria e che parlano di personaggi celebri come Adamo, Abramo, Mosè, Davide e Golia…

Ci fu un Papa, precisamente Leone XIII, che parlando di Bibbia la definì «un arsenale»! Una simile espressione di fine Ottocento, dal sapore chiaramente apologetico, è sintomatico di un metodo teso a cercare nel testo biblico solo brani utili per la dottrina e il magistero. È un metodo che rimane invariato ancora oggi nella tradizione cattolica, che usa la Bibbia per ricercare i fondamenti della propria dottrina, come un arsenale nel quale trovare le parole giuste per confutare i nemici e convincere gli amici.

Il guaio di questo metodo è che non ha mai prodotto una vera devozione nei confronti delle Sacre Scritture. Uso volutamente questa espressione, perché il popolo cattolico ha sviluppato un’infinità di riti, pratiche e devozioni, ma non è mai riuscito o forse non è mai stato messo nelle condizioni di sviluppare conoscenza e attaccamento per la Bibbia. Come non dare ragione a Paul Claudel, che disse: «Il rispetto dei cattolici per la Bibbia è enorme e si manifesta soprattutto nel tenersene a rispettosa distanza»?

<p-EVIDENZA”>Fra l’altro, l’ignoranza enciclopedica della Bibbia dovrebbe essere un problema anche per chi non è (più) cattolico. Una formula felice dice che la Bibbia è il Grande Codice della cultura occidentale. E in effetti le sue parole e i suoi 73 libri hanno ispirato un po’ tutti, da Michelangelo Buonarroti a Homer Simpson.

I suoi proverbi per esempio: chi di noi non conosce «chi trova un amico trova un tesoro», che è proprio una frase del libro dei Proverbi, e così i personaggi biblici più leggendari, come Mosè che divide le acque o Davide che con la sua fionda uccide Golia?

Io comunque non mi rassegno al fatto che i cattolici si avvicinino alla lettura del libro sacro poche volte e con scarsi risultati. E mi parrebbe che possa essere questa una delle poche cose per cui vale la pena spendersi nel nostro ministero di sacerdoti. Ritengo infatti che ogni cristiano possa avere un rapporto personale con la Bibbia, e l’unico modo, per quanto all’apparenza sembri proibitivo, è la lettura continua del testo biblico, evitando sia la lettura occasionale che quella parziale.

In alcuni casi è molto difficile, ma prendiamo un libro di soli quattro capitoli come quello di Giona: come è possibile che siano così pochi quelli che hanno letto un libricino che richiede una quindicina di minuti? E tutti ampiamente meritati!

Da dove cominciare, allora? Per prima cosa devi avere una Bibbia. Se non ce l’hai, comprala immediatamente1, tienila a portata di lettura e preparati per un grande viaggio. Non si sta parlando di una passeggiata o di una piccola gita, ma di una vera impresa che richiede volontà, tempo e cuore.

Un viaggio che ruberai ad altre cose e ad altri impegni, che conoscerà stanchezze e sconfitte, ma nel quale si avvererà la parola del grande profeta Isaia (55,10-11)2:

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.

È vero, ricordatelo, ogni volta che riuscirai ad aprire quel libro, ci sarà sempre un effetto, un desiderio di Dio che si realizzerà nella tua vita. Devi solo provarci!

Questo folle viaggio è nato da un’idea dell’amico don Giovanni Di Michele, che mi ha rivolto l’invito di realizzare un video di introduzione per ognuno dei 73 libri della Bibbia riconosciuti come ispirati dalla Chiesa cattolica3. Nasce così la serie di video visibili sul canale Youtube Federico Tartaglia – Bibbia 73 e sulla pagina Facebook di Àncora Editrice. In questo libro sono contenute le note da me scritte per la registrazione, con l’aiuto di don Giovanni. Le due versioni sono leggermente diverse, ma si sostengono a vicenda e formano un vero e proprio metodo di accompagnamento a quanti vogliono iniziare a leggere la Bibbia ogni giorno: prima uno mi vede in video e poi, sulla spinta di quello che ha visto, rilegge le mie note, o magari viceversa. A questo servono anche i codici QR che trovi all’inizio di ogni capitolo di questo libro e che rinviano al video corrispondente.

Lo stile dei video e anche di questo libro è informale. Ho cercato di offrire le informazioni essenziali per inquadrare la lettura del testo biblico e l’ho fatta alla mia maniera, cercando di portare esempi comprensibili e attuali, e di trasmettere l’emozione di chi, inoltrandosi nella Bibbia, scopriva un libro che grondava umanità in ogni pagina e proprio per questo manifestava tracce sorprendenti della divina ispirazione.

Io sono a disposizione per accompagnarti nella lettura, e, se lo desideri, puoi rendermi parte del tuo viaggio. Puoi scrivermi all’indirizzo aiuto.bibbia73@gmail.com oppure venire a visitare il mio profilo su Facebook e il mio sito www.paroledifede.it.

Buon (folle) viaggio e buona lettura!

Don Federico Tartaglia

Note
1 Ti consiglio la Bibbia TOB, ricca di introduzioni e note molto utili, oppure, più semplice e «popolare», la Bibbia Àncora. Queste due Bibbie presentano la versione della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), quella usata durante la liturgia. Io ho usato spesso la traduzione CEI, sia quella «vecchia» del 1974 sia quella «nuova» del 2008, ma ho attinto anche ad altre traduzioni quando mi sembravano migliori.
2 È l’unica volta in cui riporto il capitolo e il versetto di una citazione biblica. Nel libro non sono indicate numericamente per non invitare alla lettura «a pezzettoni» e per poterle incontrare liberamente nella lettura continua del testo biblico.

3 L’ordine in cui ho letto i libri e li racconto è quello della Bibbia TOB, che rispecchia la sequenza della Bibbia ebraica per quanto riguarda l’Antico Testamento, con qualche piccola licenza che mi sono preso per rispettare la cronologia degli eventi narrati (come per il libro di Rut) o per sviluppare meglio il filo del discorso (come nel finale, quando ho avvicinato le tre Lettere di Giovanni all’Apocalisse).

Bollettino dei naviganti

Tempo fa un’amica mi mostrò la Bibbia che le avevo regalato dicendomi che aveva provato diverse volte ad aprirla, ma alla fine aveva sempre rinunciato: si era persa durante la lettura e la Bibbia era rimasta lì, sopra il suo comodino, misteriosa e penosa.

Questo libro vuole provare ad aiutare tutti coloro che, come la mia amica, non ce l’hanno fatta ad aprire la Bibbia o a continuare la lettura volonterosamente iniziata, per invogliarli a intraprendere questo folle viaggio! Sì, perché di questo si tratta: compiere la traversata di 73 libri, scritti lungo un arco temporale che sfiora i duemila anni!

Il folle viaggio ha molte insidie e, per prima cosa, serve un bollettino dei naviganti, per non insabbiarsi in certe secche o incagliarsi su certi scogli. Eccolo!

1. La Bibbia non va letta, ma ascoltata. C’è bisogno per prima cosa di fidarsi del testo, di coloro che l’hanno scritto e dello Spirito che l’avvolge. Non si tratta di un libro antico, ma di un testo vivo che parla.

2. Non va letta per cercare un messaggio morale. Non si tratta di un libro che vuole offrirci regole morali, bastano i Dieci comandamenti per questo. Al centro di questo libro c’è l’uomo alla ricerca di Dio. Ogni pagina cerca di capire e di svelare il mistero dell’uomo alle prese con il mistero di Dio. E le sue conseguenze.

3. Va letta per capire se davvero Gesù è il Signore. Per noi cristiani è questa la prospettiva principale che ci spinge a ricercare come tutte le parole di questo testo trovino compimento e significato nella persona di Gesù.

4. Va compresa come un libro umano. È un libro scritto da uomini, che parla di uomini e delle loro vicende, cercando di capire l’umanità alla luce della fede in Dio. Ed è un’umanità sorprendente, quella di Gesù, il suo momento culminante.

5. Va giustificata per i suoi limiti. Non è un libro perfetto. Vi si trovano non solo peccati e nefandezze, ma anche errori, incongruenze e soprattutto visioni limitate dell’uomo e di Dio. È un libro in costante evoluzione, che svela progressivamente il volto di Dio, con grandi balzi in avanti e qualche arretramento.

6. Va letta ogni giorno. Bisogna entrare in un regime di ascolto quotidiano, nel quale la costanza ceda poi il passo alla curiosità e alla passione.

7. Va letta in piccole porzioni, per facilitare l’assimilazione di quanto letto. E non c’è necessità di capire ogni singola parola del testo, ma di cogliere quell’aspetto che più attrae la nostra attenzione e che può essere utile al nostro percorso.

8. Va letta senza timori. Non c’è ragione di aver paura di sbagliare nell’interpretazione, bisogna semplicemente avere un ascolto attento e sincero. Lo Spirito è nel testo, ma anche nel nostro cuore.

9. Va letta insieme ad alcuni strumenti. È importante avere una buona edizione della Bibbia che ci accompagni nella lettura con i suoi commenti e le note al testo. Del resto sia in rete che in libreria è possibile oggi trovare una gran quantità di commentari biblici.

10. Va letta anche insieme. La lettura personale è importante tanto quanto quella comunitaria. Il confronto e la condivisione con chi legge abitualmente la Bibbia ci aiuta e ci sostiene nel viaggio, e la sapienza di chi è più avanti non deve scoraggiarci ma solo ispirarci.

11. Va letta e anche scritta. L’uso di un quaderno nel quale riportare le frasi che ci colpiscono e le riflessioni che scaturiscono dalla lettura è molto utile, soprattutto all’inizio.

12. Va pregata. Prima, durante e dopo la lettura, la preghiera è il segno e lo strumento di chi vuole ascoltare Dio. Iniziare a usare la preghiera dei Salmi, all’inizio anche solo di quelli che più ci piacciono, è molto importante.

13. Va richiamata nel silenzio. Accade che nel silenzio della mente la frase che ci ha colpito si riaffacci nel corso delle nostre giornate, provocando conforto e sorpresa.

14. Va goduta nelle scoperte. Quando si inizia a scoprire cose sorprendenti e significati che ci meravigliano, si è pronti per capire che i semi che Dio ha seminato nell’autunno di una lettura faticosa cominciano a portare i frutti di una primavera rigogliosa.

Issa le vele, timone a dritta e inizia il folle viaggio! Se esci dal porto, non spaventarti delle forti correnti e non voltarti mai indietro: segui il vento, segui lo Spirito! Non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.

ANTICO TESTAMENTO

Una sorpresa dopo l’altra

GENESI

In principio…

Guarda il video!

Il primo libro della Bibbia è la Genesi. È uno dei libri più famosi e ci introduce in un lungo viaggio. Molti, questo viaggio, non sono più disposti a farlo; eppure, se si ha la pazienza di iniziarlo, si ritorna in quella terra dove tutti siamo nati.

Provate a pensare alla scena che Michelangelo affresca sulla volta della Cappella Sistina: è una delle tante immagini, forse quella più straordinaria, che cerca di ritrarre il momento della creazione nel libro della Genesi.

I primi undici capitoli di questo libro sono densi di immagini: alcune mitologiche, alcune delle quali diventano concetti filosofici, e per molti secoli si è creduto anche scientifici. E non possiamo sottrarci al fascino straordinario di queste immagini. Di un Dio possente e di un inerme Adamo, poi di Adamo e di Eva, di Caino e Abele: tutti noi là siamo nati e quella domanda, la domanda di Dio all’uomo impaurito, Dove sei?, è la prima grande domanda che troviamo all’interno della Bibbia.

Leggere questo libro deve essere come un gesto di riconciliazione con la Bibbia. L’interpretazione letteralista del racconto di Adamo ed Eva, e più in generale del racconto della creazione, non ha resistito al procedere delle conoscenze scientifiche e a una rilettura più rispettosa della natura dei testi biblici. Molti però hanno imparato la storia narrata dalla Genesi a catechismo, poi sono arrivati a scuola e alla prima lezione di scienze o di filosofia si sono sentiti come traditi da un libro che all’improvviso sembra raccontare storielle per bambini o tutt’al più racconti di popoli primitivi e rozzi.

La Genesi allora è il libro giusto per sconfiggere questo pregiudizio e scoprire che si tratta di un libro straordinario, che non pretende però di essere un trattato di cosmologia.

Che cos’è allora la Genesi?

Il libro può essere letto in un’infinità di maniere e per un’infinità di motivi. Ne consiglio uno. Genesi ci rivela la natura del nostro essere come relazione: Adamo ed Eva, la prima grande relazione umana, ma prima ancora la relazione che Dio intraprende con il mondo e con l’uomo, una relazione libera e dunque problematica. In cui compaiono parole moderne come libertà, responsabilità e scelta. In cui l’umanità è compresa come Adamo ed Eva, come maschio e femmina, e in questo è immagine e somiglianza del divino.

Partendo da Adamo ed Eva, passando per Caino ed Abele e poi per Noè, la relazione diventa subito dramma e conosciamo il peso della tentazione e del peccato. La difficoltà di un mondo sempre in pericolo e di un Dio che inizia la sua storia di salvezza. Genesi è il modo nel quale vediamo il mondo ancora oggi!

Nel dodicesimo capitolo poi incontriamo Abramo, il primo dei patriarchi, il padre di ogni credente, di ogni ebreo, di ogni cristiano e di ogni musulmano. Troviamo la prima parola che Dio rivolge a un uomo nel suo viaggio, ed è una parola che è il programma di questo libro: «Vattene dalla casa di tuo padre».

Con Abramo ogni uomo, leggendo questo libro, può intraprendere un viaggio che lo porta in esodo da se stesso, dalla sua terra, dalla sua storia, per intraprendere nuove relazioni. Abramo deve lasciare la propria terra, deve lasciare la propria famiglia, deve lasciare la propria religione.

Grazie ad Abramo nascono nuove relazioni, ma tutte queste relazioni saranno vittime del peccato e della colpa, e nessuno dei patriarchi potrà esimersi dal combattere con se stesso e con Dio.

Chi legge questi testi incontrerà l’umanità di Abramo e di Sara, che cercano a loro modo di rispondere alla grande promessa di un figlio. Il ritardo della promessa, la nascita di Ismaele e poi di Isacco, e la pagina sconvolgente del suo sacrificio, nella quale si rimane senza fiato e si sente palpitare feroce la voglia di vita che fa i conti con il mistero di Dio e la relazione che l’uomo cerca di instaurare con Lui. Così come fa poi anche Giacobbe.

Quest’ultimo occupa una parte centrale nel libro, sia perché è il padre del popolo di Israele con i suoi dodici figli, sia perché ci lascia un’immagine straordinaria ed emblematica per capire la natura del testo biblico: la lotta con l’angelo del Signore sul fiume Iabbok. È l’immagine della relazione con Dio, una relazione che è un combattimento, quasi mortale. Uno scontro notturno nel quale Giacobbe si misura con le sue paure, le angosce e i rimorsi verso suo fratello Esaù e verso un Dio che vuole farlo morire.

Bisogna aver vissuto molto, avere un cuore grande e una mente attenta per capire testi che sembrano, a una prima lettura, incomprensibili.

Ma proprio mentre fatichiamo a capire questi racconti, ci accorgiamo che il testo aiuta a capire noi stessi. Il testo si svela e ci rivela a noi stessi. E in quell’oscura battaglia impariamo a riconoscere e a ricordare momenti che forse avevamo dimenticato nella nostra vita.

Il libro si conclude con la storia di dodici fratelli, i figli di Giacobbe, e di un fratello un po’ diverso, anche qui una relazione problematica: Giuseppe, l’uomo dei sogni, e gli altri fratelli che prima lo gettano per invidia in una cisterna e poi lo vendono a dei commercianti di Madian. Giuseppe arriverà in Egitto, diventerà principe e lì sarà pronto per iniziare una storia che ci porterà al libro dell’Epopea: il libro dell’Esodo. Non prima di aver riabbracciato i suoi fratelli e il vecchio padre Giacobbe, in una scena colma di lacrime e commozione.

Perché leggere questo libro? Per incontrare le prime parole pronunciate dalla voce divina, parole che hanno un potere unico, quello di parlare a noi, ancora oggi:

  • Dio che parla al primo uomo: Dove sei? Adamo, dove sei? Uomo, dove sei?
  • Dio che parla al primo omicida: Caino, dov’è tuo fratello?
  • Dio che parla al primo credente: Abramo, vattene!

Sono tante le domande che il testo suscita, quando si legge la creazione in sette giorni, i peccati di Adamo e di Caino, la torre di Babele e poi le gesta dei patriarchi. Bisogna però ammettere che questa lettura è diversa da tutte le altre e ci dona un privilegio unico: quello di riflettere sulle domande irrinunciabili della nostra vicenda umana: sul perché del mondo, sul perché dell’uomo, sul perché del dolore. Le risposte che leggiamo aprono squarci più che chiuderli e la lettura non serve a trovare risposte, ma a custodire le domande e a migliorare le risposte. Come scriveva Frida Kahlo: «Non far caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini».

Le risposte sono confini, le dottrine sono il filo spinato, ma l’uomo è fatto per camminare e per immaginare sempre nuovi orizzonti. Gli uomini di fede non dovrebbero mai avere qualcosa da difendere ma tutto da perdere, e la Bibbia nel suo rivelarsi ci ricorda che solo chi è in cammino ha voglia di interrogarsi ancora.

È qui tutto il mistero della Genesi: la fede come esodo da sé, che porta dalle aspirazioni umane alle ispirazioni divine; dalle proprie paure al timore della verità divina. E ci fa intendere che ogni cosa avrà senso nella fedeltà alla relazione.

Canta e cammina, diceva Agostino. Sì, canta, ma prima leggi e cammina.

Buona lettura!

ESODO

Storia di una liberazione

Guarda il video!

Dio gridò a Mosè dal roveto: «Mosè… Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe… Ho osservato la miseria del mio popolo… Sono sceso per liberarlo».

In queste poche parole del terzo capitolo dell’Esodo è racchiusa tutta la forza di questo libro della Bibbia: un roveto che arde e non brucia, un Dio che «ha famiglia», che osserva dal suo cielo e che scende, un Dio che sente la vita dell’uomo, ne prova compassione e cambia la storia di chi è oppresso.

Senza il libro dell’Esodo non esisteremmo come credenti; non ci sarebbe Pasqua, non ci sarebbe Pentecoste, niente Legge, nessuna Alleanza, soprattutto non ci sarebbe questa storia, la storia di Mosè, che diventa la storia di un popolo e la storia di un Dio che discende, che viene a liberare chi era in schiavitù.

Il libro dell’Esodo è suddiviso in tre grandi sezioni, corrispondenti ai tre momenti della narrazione:

  • La prima (1,1-15,21) comprende il racconto dell’oppressione degli ebrei in Egitto, la nascita di Mosè e la sua educazione come principe d’Egitto, la fuga del patriarca a Madian e la chiamata divina, il suo ritorno in Egitto, le dieci piaghe e l’uscita dal paese.
  • La seconda sezione (15,22-18,27) narra del viaggio lungo la costa del Mar Rosso e nel deserto del Sinai.
  • La parte conclusiva (19,1-40,38) riguarda l’incontro tra Dio e il popolo eletto, mediante le tappe fondamentali del Decalogo (20,2-17) e del Codice dell’alleanza (20,22-23,19), seguito dall’episodio del Vitello d’oro e dalla costruzione del Tabernacolo, una sorta di tempio mobile.

Nella Bibbia ci sono dei nomi, delle vite, dei percorsi, degli incontri; nel libro dell’Esodo il protagonista indiscusso è proprio Mosè, l’amico di Dio che attraversa questo libro e al cui nome sono legati gli altri quattro libri che compongono il Pentateuco o, come dicono gli ebrei, la Torah. La prima ragione per cui conviene leggere questo libro è proprio la storia di quest’uomo.

Perché chi legge la Bibbia deve avere passione, pazienza e attesa nello scrutare tutte le sue storie e i suoi simboli. Così lontani e così profondi che rimangono come impenetrabili.

Nella Genesi si legge di un serpente che parla, di un uomo fatto d’argilla, dell’arca, dell’arcobaleno.

Qui nell’Esodo leggiamo di piaghe a non finire, poi un mare che si divide, una colonna di fuoco e di nube, le tavole di pietra, il deserto, il monte, vicende narrate e simboli trasmessi da un popolo che ha sperimentato la salvezza e annuncia agli uomini che Dio è capace di cambiare la storia, grazie alla fede di uomini come Mosè.

Alla fine sono sempre gli uomini, gli uomini di fede, la passione di cui brucia il testo biblico.

Uomini come Mosè, appena nato e già salvato dalle acque, gettato nel mondo e già in cerca di salvezza. Mosè che questa salvezza la cercherà con le sue mani, arrivando fino a uccidere, e che poi sconterà quaranta lunghi anni di solitudine nel deserto come pastore. Un uomo con tre vite: il principe di Egitto, il mandriano e infine il condottiero di un popolo.

E in tutto questo la storia di un popolo che viene liberato, la storia di una sconfitta e di un’umiliazione che viene riscattata.

Leggere l’Esodo è come attraversare tutti i simboli di questa incredibile epopea che da Mosè passa per il faraone, per l’Egitto, le piaghe, il mare diviso, la Pasqua, l’alleanza e le tavole. Si scrive Esodo, si legge Liberazione!

E non ci si può sottrarre al fascino dei dialoghi tra il faraone e Mosè, alla bellezza del racconto della notte di Pasqua, al passaggio del Mar Rosso, al maestoso spettacolo del Sinai. Si legge Esodo, si celebra Pasqua!

Davvero in questo libro c’è la radice della nostra identità religiosa: l’Esodo non è un libro da leggere, è un libro da vivere.

Leggere per far memoria, per ricordare, ma soprattutto per scoprire se questo libro è la storia di un sogno, la chimera di un Dio che mai scenderà e di un passaggio che mai farò, o invece per scoprire che nella propria vita ognuno di noi può fare la strada di Mosè e conoscere peccato, solitudine, perfino schiavitù… e poi conoscere redenzione.

Ti invito a prendere in mano questo libro e scoprire tra le sue righe le pieghe della tua storia, della tua storia con Dio, e lo faccio consegnandoti alcune sue parole.

La prima appartiene a Mosè, che in ogni modo prova ad allontanare da sé la chiamata del Signore:

Chi sono io per andare dal faraone?

In questo continuo dialogo, che è come l’ordito della trama del libro, tutti fanno fatica a rimanere nella relazione!

Fa fatica Mosè con Dio e con una missione troppo grande che gli ha affidato, farà fatica il popolo che si ribellerà a Mosè e al suo Dio ogni qual volta si imbatterà in ostacoli che appaiono insormontabili. Ma farà fatica anche Dio, che si stancherà di un popolo «dalla dura cervice» e sarà tentato di punirlo.

Ci scandalizza tutto ciò? Certamente. Ma ancora una volta il testo biblico non inventa niente. Noi siamo così. Noi vediamo e viviamo il mondo, e anche Dio, in questo modo.

La seconda parola che ti consegno è la risposta stessa che Dio dona a Mosè:

Io sarò con te.

È il protocollo fondamentale della fede che inizia a mostrarsi. In ogni relazione siamo misurati nel nostro limite e soltanto la fedeltà dell’altro unita alla nostra potrà salvarci.

La terza parola è quella che ci hanno insegnato a catechismo, che chiamiamo i Dieci comandamenti, il Decalogo. È giunta l’ora che tu prenda in mano il ventesimo capitolo dell’Esodo e cominci a leggere un testo che inizia così:

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù.

I comandamenti vanno letti all’interno di una relazione, di una fedeltà, di un’alleanza, per poter essere capiti nella loro vera natura. La lettura del libro dell’Esodo ci aiuta a superare la visione ristretta dei comandamenti come semplici norme morali e ci mostra come l’obbedienza e la fedeltà alla volontà divina siano il fine di questa alleanza.

La quarta parola è quella che Dio pronuncia vedendo Israele adorare il Vitello d’oro, un Dio acceso d’ira che vuole divorare questo popolo dalla dura cervice; un simbolo potentissimo da sciogliere, perché questa volta è Mosè che consiglia il suo Dio:

Desisti dall’ardore della tua ira, ricordati di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, tuoi servi.

Eh sì, l’ira, più presente nella nostra vita di quanto siamo disposti a credere. Possiamo scegliere di essere ancora scandalizzati dal suo apparire nel testo sacro; possiamo scegliere di essere accompagnati fin sul precipizio di questo abisso. Perché solo così riusciremo a venirne a capo.

L’Esodo è un libro violento che narra di piaghe e dello sterminio dei primogeniti di Egitto, ma si inserisce all’interno di una storia di violenza e schiavitù universale, prospettando una via d’uscita. Agli oppressi come agli oppressori.

Certo si rimane sconvolti a leggere alcuni brani, ma il libro è in movimento e apre squarci nella comprensione umana. L’oppresso ha la sua dignità e la sua speranza, l’oppressore la sua pena e Dio non ha altro problema che combattere con la malvagità degli uomini e custodire la sua ira.

Una visione totalmente nuova che alla fine rimane negli occhi e nel cuore grazie ai due protagonisti indiscussi di questo capolavoro: Dio e Mosè, uniti nel loro destino.

Non è più sorto nessuno come Mosè, dice il testo biblico, ed è vero. Nessun uomo che potesse parlare con Dio e che dovesse ogni giorno portare avanti la sua amicizia con Lui. È Mosè che ci ha mostrato come la vita sia essenzialmente una continua rincorsa di Dio!

Buona lettura!

LEVITICO

La legge e la libertà

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La conquista della libertà dalla schiavitù è solo il primo passo di un lungo cammino: dal capitolo 19 di Esodo fino al capitolo 10 di Numeri, passando per tutto il libro del Levitico, Israele è fermo sotto il monte Sinai. In questo interminabile viaggio che durerà quaranta anni, per raggiungere la terra della promessa, Mosè e il suo Dio sono intenti a scrivere i termini della loro Alleanza.

Dio parla, così come si parla a un amico, e Mosè scrive; così nasce l’intero libro del Levitico, che in ebraico è semplicemente Il libro della Chiamata. Così inizia infatti il terzo libro della Bibbia, con Mosè che viene chiamato e arriva dinanzi alla tenda del convegno, quella in cui i due amici si incontrano per stipulare il loro patto.

Questo libro, così apparentemente lontano da noi uomini moderni, si compone di due parti. La prima parte, corrispondente ai capitoli 1-16, descrive in modo dettagliato i rituali del Culto, mentre la seconda parte, che va dal capitolo 17 al capitolo 26, è nota come Codice di santità, per l’esortazione così ricorrente rivolta al popolo a essere santi come Dio è santo.

Appartengono a questo libro le leggi sulla proibizione di mangiare il sangue, sulla condotta sessuale, sulla magia e il malocchio, le norme sulla condotta dei sacerdoti, sul calendario e sulle feste, così come sulle offerte e sull’anno sabbatico e su quello giubilare.

Sì, lo possiamo dire tranquillamente, non un libro semplice, abbastanza pesante diremmo noi oggi, e se Genesi ed Esodo sono un vortice di nomi, immagini, storie e simboli, qui siamo come storditi da leggi e comandi.

A dire il vero, molte di queste leggi non sono più osservate nemmeno da noi cristiani e si può avvertire una certa distanza, perfino una sana inquietudine per la serie così minuziosa di regole e comandi.

Sarà però bene non dimenticare chi siamo, noi che ci sentiamo quasi tutti figli un po’ inebriati di una libertà mai fino in fondo compresa, e ogni comando, ogni autorità, ogni norma provoca un immediato sospetto, una malcelata insofferenza.

Il Dio della Bibbia diventa a prima vista ingombrante, un occhio che sempre ci pedina, un comando che ci condanna, e preferiamo così far perdere le nostre tracce!

In questo libro ci sono norme discutibili sul cibo, sul sangue, sull’impurità e sulla purità, sulle incisioni e perfino sui tatuaggi, eppure questo strano libro merita la pena e l’attenzione di esser letto, e vi spiego perché.

A noi, che siamo innamorati della libertà, questo libro propone una legge, una regola di vita, comandi per il culto. Questa è la prima ragione per cui leggere e per come leggere: farsi irretire dalla selva di verbi imperativi che comandano di fare o non fare una cosa, vedere l’effetto che fa sentirsi dire cosa è giusto fare o non fare.

<p-EVIDENZA”>Ecco, se vuoi la libertà devi fare i conti con i divieti, o perlomeno con il limite. Questo è molto duro per noi, sembra la casa da cui siamo fuggiti, la casa dei divieti e dei sensi di colpa, dei delitti e delle pene.

L’uomo moderno sembra essere proprio quello che non è più disposto a sentirsi dire fin dove arriva la propria libertà e il libro del Levitico sembra essere a prima vista una legge che stabilisce un limite doloroso alla nostra libertà di potenza.

Leggere i brani di questa legge può stimolare la riflessione e confortare il naturale percorso della nostra coscienza, che è alla fine la vera tavola dove Dio vuole scrivere la sua alleanza con ognuno di noi. Leggere per capire a che punto siamo del nostro cammino e se la mia libertà sia il potere di fare ciò che è bene o semplicemente ciò che piace.

La seconda ragione per cui vale la pena leggere il libro è contenuta in quel Codice di santità che ancora oggi sorregge la fede del popolo ebraico.

Molte volte, quando chiedo all’improvviso a qualcuno di dirmi una frase di Gesù, molti mi rispondono: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Per molti, l’insegnamento stesso di Gesù può essere racchiuso in questo singolo versetto. Ecco, si tratta in realtà del diciottesimo versetto del capitolo 19 del Levitico, che recita così:

Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.

In effetti, si tratta di un capitolo straordinario, un manifesto di compassione e civiltà che Israele ha consegnato alla storia e nel quale il genitore, il prossimo, il povero, il fratello, il forestiero, il vecchio, il condannato, il corpo, il cibo devono essere oggetto di attenzione e di amore, perché Dio è santo e l’uomo dovrà essere santo come lui.

Nel libro del Levitico, il libro del culto e delle offerte, c’è dunque rivelato il comando che regola ogni devozione verso il divino, ovvero l’amore per il prossimo. E perfino l’antica legge del taglione, che qui compare al capitolo 24, se letta nell’orizzonte dell’amore e del rispetto per il prossimo, assume un significato modernissimo:

Chi farà qualche lesione al suo prossimo, sia trattato con egual misura: piaga per piaga, occhio per occhio, dente per dente; si faccia a lui quanto egli ha fatto agli altri.

L’orizzonte del prossimo è la vera regola di ogni giustizia. Molto tempo prima di Gesù, in questo libro c’è scritto che la santità e l’amore per il prossimo sono la stessa cosa!

Buona lettura!

NUMERI

Un viaggio che è anche nostro

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Il quarto libro che troviamo nella Bibbia è il libro del Numeri. Questo strano titolo nasce dalla presenza di ben due censimenti degli israeliti al tempo della loro peregrinazione nel deserto. In realtà il vero titolo ebraico – derivato dalle prime parole del testo – è proprio: Nel deserto.

Ecco, per questo libro potrebbe sembrare giustificata la scusa di molti che dicono di non avere alcuna voglia di leggere un testo pieno di nomi, numeri, leggi riguardanti il culto, per non parlare anche di alcuni testi di guerra e di maledizione non proprio semplici da digerire.

Sentite che cosa scrive, già nel III secolo, Origene, uno dei più grandi commentatori del testo sacro del primo millennio, all’inizio del suo commento a questo libro: «Quando si leggono i Vangeli, o l’Apostolo, o i Salmi, li accoglie lieto, li abbraccia volentieri […]. Però, se si legge il libro dei Numeri qualcuno penserà che non gli giovano a nulla, non valgono come medicina della sua infermità e per la salute dell’anima; ma subito li rifiuterà e respingerà come cibi gravi e pesanti».

Origene scriverà una lunga serie di sermoni per dimostrare che questa opinione, già diffusa allora, è falsa. Ma dopo così tanti secoli le cose non sono migliorate.

Eppure, se è giusto non minimizzare le parti, come direbbe Origene, gravi e pesanti del testo, mi sento di dire che è un libro la cui lettura riserva sorprese molto particolari e qualche chicca davvero inaspettata.

La struttura del libro è molto semplice, così come l’ambientazione: 36 capitoli che descrivono il percorso di quaranta anni nel deserto del popolo di Israele. I primi 25 capitoli che descrivono il tragitto della generazione che uscì dal paese d’Egitto e gli ultimi 11 capitoli che narrano le vicende e l’avvicinamento alla terra di Canaan dei discendenti di quella generazione, che per il proprio peccato non entrò nella terra della promessa.

In mezzo, a fare da spartiacque, il terribile capitolo 25, nel quale si legge del tradimento dell’alleanza da parte di Israele, che aderisce ai culti pagani delle divinità cananee e che per questo subirà un vero sterminio.

Quelli che morirono per il flagello furono ventiquattromila.

Sì, preparatevi a leggere di guerra, di conquista, di ira e di flagello. Preparatevi a leggere di cose che oggi razionalmente rifiutiamo. Mi piacerebbe dire anche istintivamente, ma il punto è proprio qui.

La nostra mentalità moderna e la nostra fede cristiana hanno acquisito valori, ideali, pensieri che rifiutano ogni violenza in nome della religione e ogni idea di Dio violento, e sentire queste parole pronunciate da Dio al suo servo Mosè ci lascia dubbiosi:

Io colpirò questo popolo con la peste e lo escluderò dall’eredità.

E sentire Mosè intervenire a favore del suo popolo per far desistere Dio dall’ardore della sua ira ci confonde ancora di più e ci fa pensare a un testo sanguinario, a un testo antico e brutale.

Non è così e cerchiamo di capire perché.

Certo, se prendi in mano il libro ti trovi subito di fronte a liste interminabili di nomi e numeri, ma qui puoi procedere velocemente, superare anche le prescrizioni sul culto e sui leviti, magari fermarti un po’ sbalordito sulla legge davvero iniqua della gelosia del marito, puoi leggere il capitolo 6 per capire qualcosa del nazireato e soprattutto la bellissima benedizione che lo chiude, così pure le altre leggi sul culto e sulla Dimora (l’antenato del tempio di Gerusalemme), ma già al decimo capitolo ecco apparire il vero motivo del libro: Israele in cammino.

Un periodo di quaranta anni, due generazioni di israeliti, Mosè e suo fratello Aronne come guide, e un libro che diventa sorprendente quando comincia a raccontare il dramma di questo popolo in cammino e del suo Dio così umano. Un Dio che libera e si pente, si adira e si pente, punisce e non si pente. Un popolo che mormora a ogni passo del suo vagare, che esulta dopo ogni miracolo e che vuole ritornare indietro di fronte a ogni pericolo. Un popolo che si volgerà ad altri dei e per il quale Mosè continua a invocare il perdono.

Qua e là il testo mostra la sua vera natura: si tratta di un libro scritto molti secoli dopo, all’indomani dell’esilio del VI secolo a.C., in cui si sognava del tempo in cui Israele era un semplice popolo condotto dal Signore e dal suo profeta più grande.

Si capisce che le tribù rimaste in quel deserto per chissà quanti anni hanno cercato la voce di Dio e che Mosè è stato il profeta che li ha condotti. Che hanno cercato in ogni modo di entrare in una terra dove scorre latte e miele. Loro, popoli nomadi, dimenticati dagli uomini, hanno scritto il libro della loro memoria.

Non l’epopea di un popolo perfetto, non le gesta di un condottiero senza macchia, non le glorie di un Dio perfetto. Qui siamo nel deserto e tutto è così imperfetto, così precario, così umano…

Il popolo è un popolo dalla dura cervice, il povero Mosè pecca con il suo popolo e non entrerà nella terra della promessa, e questo Dio liberatore è una passione infinita, un ardore mai sentito, una gelosia che è piena di ira.

In quel benedetto vagare e in quel terribile deserto, Israele scrive di un Dio mai visto, di una storia mai raccontata, di un viaggio che più tortuoso non si può immaginare.

E allora leggere delle ribellioni del popolo, così come delle sue paure, dei dialoghi quasi surreali tra Mosè e Dio è un’esperienza che vale la pena di essere fatta, perché alla fine questo viaggio nel deserto può arrivare ad assomigliare alle curve più tortuose e impervie del tuo vagare e i peccati di Israele li potrai rivedere nei tuoi, e i dialoghi tra Dio e Mosè ti ricorderanno di quando anche tu hai litigato con il tuo Dio, lo hai tradito e ti sei perfino sentito tradito da Lui.

In fondo si tratta solo di ascoltare il testo, senza pensare a tanta teologia che ci ha come indottrinato e comprendere che il nostro rapporto con Dio assomiglia incredibilmente alla storia di quel popolo perso nel deserto con il proprio Dio.

Vi lascio con quello che è il brano più sorprendente del libro: gli oracoli di Balaam. Diremmo oggi che il libro vale il biglietto se non altro per questi tre capitoli, dal 22 al 24, nei quali compare perfino un’asina parlante e in cui colui che era stato chiamato a maledire il popolo di Israele dal re Balak, il profeta Balaam, pronuncia invece una delle più belle benedizioni di tutta la Bibbia:

Così dice Balaam figlio di Beor, così dice l’uomo i cui occhi sono stati aperti, lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non vicino: una stella sorgerà da Giacobbe e uno scettro si alzerà da Israele, che schiaccerà Moab da un capo all’altro e abbatterà tutti i figli di Set.

Buona lettura!

DEUTERONOMIO

Parole per imparare ad amare

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Con il libro che conclude la Torah, la legge del Signore consegnata a Israele, possiamo cominciare proprio dalla fine, l’ultimo capitolo, il 34, che ci consegna uno dei momenti più alti di tutta la Bibbia: la morte di Mosè.

La guida indomita dell’Esodo è ritto sul monte e contempla la terra della promessa, senza potervi entrare. Come ci ricorda un famoso midrash ebraico, Mosè chiede in ogni modo il perdono per il suo peccato e la possibilità di andare oltre il Giordano. Ma il perdono non gli verrà accordato, come per tutta la generazione uscita dall’Egitto, anche se non si capisce bene che cosa lui abbia fatto di male… Una cosa scandalosa? Forse, ma dice la straordinaria solidarietà di Mosè con chi gli è stato affidato, anche nel male.

Questa è però solo la scena culminante di un libro fondamentale, che in greco si intitola Seconda Legge (questa la traduzione di Deuteronomio), ma che in ebraico ha per titolo semplicemente Le parole, ovvero la collezione delle parole che Mosè pronunciò a Israele prima di salire sul monte e morire.

Anche per questo è insieme al Levitico il testo meno dinamico e movimentato del Pentateuco. In pratica non succede nulla, a parte l’ultimo capitolo, eppure le parole di Mosè che abbiamo già ascoltato negli altri libri qui si infilano in maniera diversa tra le orecchie e il cuore.

Qui ci troviamo di fronte a una vera tradizione teologica che attraversa tutto il testo biblico, appunto quella che viene chiamata la Tradizione (o Scuola) deuteronomista; ora, a parte il fatto che la pronuncia di questo nome è un po’ il terrore di tutti coloro che studiano la Bibbia, qui ci troviamo di fronte a un vero movimento teologico che ha cercato di rifondare la fede del popolo israelita.

Già nel libro dei Numeri il peccato dell’infedeltà e del culto degli idoli pagani assumeva un’importanza centrale, qui però Israele trova nella sua riflessione le ragioni per avviare una vera riforma.

Nel Secondo Libro dei Re infatti, al capitolo 22, si legge del re Giosia e del ritrovamento nel tempio di Gerusalemme di un misterioso «Libro della Legge». Siamo nel 622 a.C., anche se alcuni sostengono che il libro ritrovato provenga dalla riforma avviata più di un secolo prima dal re Ezechia.

È difficile sapere come siano andate le cose, ma è interessante e plausibile in fondo pensare che in questo libro, redatto nella sua forma finale e attuale alcuni secoli dopo, convergono i due maggiori tentativi di riforma del culto e dell’alleanza nella storia di Israele.

È per questo che in questo libro possiamo trovare alcuni dei testi che ancora oggi sono fondamentali nella fede del popolo ebraico.

Shemah Israel, «Ascolta Israele»… è il famoso inizio del capitolo 6, che è l’inizio della preghiera quotidiana di Israele ancora oggi. Il Decalogo viene riletto al capitolo 5, ma è nel capitolo 6 e nei successivi che quella legge viene come rispiegata, rimotivata e rifondata.

Quello che è bello in Deuteronomio è proprio la rivelazione dell’opera di Dio, è come se Israele avesse provato a comprendere a un livello più profondo ciò che era stato raccontato, e in questo livello più profondo Israele scopre il cuore, scopre l’amore:

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

Chi vuole capire Israele oggi, chi vuole capire ciò che noi chiamiamo «Antico Testamento», deve sostare su questo testo e su questo libro… deve ricordare tutto il cammino che il Signore ti ha fatto percorrere… per umiliarti e per metterti alla prova… per sapere quello che avevi nel cuore…

La «seconda legge» è quella del cuore, non una legge nuova, ma una coscienza rinnovata, un culto non più finto o interessato.

Ama il Signore e osserva le sue leggi, dice il Deuteronomio, osserva i precetti amando il tuo Signore, osserva le leggi solo se ami il Signore.

È questo il contributo di un libro che merita di essere letto e studiato anche nelle sue leggi che a noi sembrano così lontane proprio perché la legge di Israele non è un codice da tribunale, ma un vero patto di amore che richiede di circoncidere il proprio cuore indurito.

Prova ne è il gran finale, la morte così amorosa e tragica di Mosè. Con un Dio che pronuncia parole del genere:

Sali sul monte… contempla la terra di Canaan… muori sul monte…

A leggerlo con attenzione fa venire i brividi, e ancora:

Tu vedrai la terra davanti a te, ma non vi entrerai!

Sembra vendetta, divina cattiveria, che non si addicono alla misericordia del Dio dell’Esodo.

In un commento ebraico si legge che Mosè morì in quel luogo per la bocca del Signore, con un suo bacio. E il testo biblico si affretta a dire che:

Gli occhi non gli si erano spenti, e il vigore non gli era venuto meno…

No, Mosè non muore di stanchezza o di vecchiaia. Che tragica bellezza immaginare Mosè salire da solo sul monte e lì nella tristezza rimirare il miraggio di quella terra così a lungo inseguita, e infine essere baciati dall’abbraccio mortale del proprio Dio.

C’è un uomo straordinario che ha descritto questo attimo con parole sublimi:

Sulla vetta del monte sta Mosè, l’uomo di Dio, il profeta. I suoi occhi guardano fissi verso la santa terra promessa. «Così mantieni, Signore, quel che hai promesso, mai hai mancato con me alla tua parola. Per me hai fatto cose mirabili, l’amarezza hai trasformato in dolcezza, attraverso il velo della morte fammi vedere il mio popolo che si reca alla solenne festa. Tu che punisci i peccati e perdoni volentieri, Dio, oh, io l’ho amato questo popolo mio. Che io abbia portato i suoi pesi e la sua vergogna e vista la sua salvezza – di più non mi bisogna. Tienimi, afferrami! Il bastone mio sprofonda; Dio fedele, preparami la tomba» (Dietrich Bonhoeffer, La morte di Mosè).

Buona lettura!

GIOSUÈ

Un Dio violento?

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Il primo libro che troviamo dopo il Pentateuco è quello di Giosuè. Nella Bibbia ebraica tutti i libri che vanno da Giosuè a Malachia sono considerati «profetici», mentre per noi cristiani i libri che troviamo dopo il Pentateuco fino a Isaia vengono più semplicemente chiamati «libri storici».

Mosè è ormai morto e tocca a Giosuè il compito di condurre il popolo nella terra della promessa. Egli è, insieme a Caleb, l’unico della generazione uscita dall’Egitto a entrare nella terra di Canaan. Giosuè è un grande condottiero militare, ma non possiede certamente la statura morale e spirituale di Mosè. Sarà però lui a introdurre il popolo e l’arca dell’alleanza oltre il fiume Giordano, nella terra dove scorrono latte e miele.

Ci troviamo di fronte a un libro che narra di una guerra di conquista o, se volete, di un libro nel quale si parla di guerra santa. Da una parte Giosuè, il suo popolo e il suo esercito, dall’altra i regni e le città che devono essere conquistati, ma soprattutto parole come queste:

Il Signore lanciò dal cielo su di essi come grosse pietre e molti morirono. Coloro che morirono per le pietre della grandine furono più di quanti ne uccidessero gli israeliti con la spada.

Quasi ogni giorno vediamo immagini di guerra, spesso lo facciamo al cinema o in tv, molti si divertono con videogiochi di guerra… non siamo in realtà così pacifici come diciamo di essere, ma ciò che davvero ci disturba è sentire di un Dio che scende in guerra e combatte a fianco di Israele. Ecco, se volete affrontare il tema, questo libro fa per voi e come sempre nel testo sacro, anche nella sua parte più oscura, riesce a emergere un’ispirazione che rimane sorprendente e merita la fatica della lettura.

L’episodio più famoso è senza dubbio quello della conquista dell’importante città di Gerico, il cui racconto può essere diviso in tre grandi momenti.

All’inizio Giosuè invia due spie a Gerico che trovano rifugio nella casa di una prostituta. Prima sorpresa: sarà lei, Raab, a nasconderli e sarà solo lei a essere salvata nell’assedio della città.

Il secondo momento è un evento leggendario, il passaggio del Giordano, dove protagonista è l’arca dell’alleanza che divide il fiume così come era accaduto nel Mar Rosso.

Infine, il famoso episodio delle mura di Gerico, crollate interamente al suono delle trombe dei sacerdoti. Alla conquista segue lo sterminio di tutto quanto si trova nella città: uomini e donne, giovani e vecchi, buoi, pecore e asini… Tutto viene passato a filo di spada.

Facciamo un passo indietro: nel 1868 un missionario tedesco trova nel deserto della Giordania una stele che diventerà famosa, la Stele di Mesha, con incisioni che risalgono al IX secolo a.C., nella quale il re di Moab si esprime così: «E Camos [dio del luogo] mi disse: “Va’, prendi Nebo (combattendo) contro Israele!”. E andai nottetempo e combattei contro di essa dallo spuntare dell’alba fino a mezzogiorno. E la presi; e tutti vi trucidai: settemila uomini e ragazzi, donne, giovinette e schiave, poiché ad Astar-Camos feci khérem di tutti essi».

La teologia è la stessa. Il re afferma di combattere per volere del suo Dio e vota allo sterminio tutto il popolo di Israele. Sentire che settemila persone vengono uccise per volere divino ci fa molta impressione sicuramente. Nel libro di Giosuè si dice che le persone uccise per mano di Israele sono dodicimila.

Diciamo allora innanzitutto che il concetto di guerra santa è presente nel testo biblico, così come nei documenti storici delle popolazioni pagane, in altri libri sacri come il Corano e in fondo…in tutte le guerre nelle quali si cerca di trovare la «giusta causa» per ciò che è visto come un crimine naturale. Detto questo, però, è giusto fare delle domande al testo in questione, anzi facciamo proprio la domanda senza giri di parole: ma è poi vero che Dio diede tali ordini? Oppure furono Mosè e Giosuè che supposero tali ordini in armonia con il costume bellico del tempo?

Rispondere a questa domanda è anche affare di ogni lettore e io ti consiglio di leggere il libro di Giosuè, sia per arrivare personalmente a questa risposta, sia per fare un necessario viaggio nella violenza che da sempre emerge nella storia.

 

Sembra un percorso orientato, quasi diretto, preferisco dire ispirato, dove l’ispirazione non è rivelazione dall’alto di parole celesti, ma una luce impercettibile e più profonda che si fa largo in mezzo a convinzioni teologiche e consuetudini sociali, talvolta per noi oscure, ma che riesce a liberare la coscienza dei singoli e dei popoli e a proiettarli verso verità non più preda del dominio della mentalità «umana». È come se lo Spirito si facesse largo a fatica nella carne e nei sensi della storia!

Ecco, allora io ritengo che Dio non abbia direttamente ordinato alcuno sterminio. Mai!

Tale ordine divino era una formula fatta e consacrata per dare autorità alle leggi che regolano la vita di una nazione teocratica. E dunque si può affermare che molte leggi israelitiche non sono altro che espressioni di usi, costumi e leggi già esistenti e codificate anteriormente presso gli altri popoli.

Penso sia giusto dire che non è Dio che comanda lo sterminio, ma è il popolo, l’uomo, che pensando di compiere un comando divino, vota allo sterminio i propri nemici; sarà questa la fede di Davide e di tutti i re di Israele, è inutile nasconderlo, ma è bene non scandalizzarsi, perché questo concetto di «guerra santa» e di una «violenza sacra» arriva a sottolineare la fede in Dio piuttosto che la forza dei propri mezzi:

  • è l’arca che fa passare Israele nel fiume Giordano…
  • sono le trombe a far crollare le mura di Gerico…
  • nulla delle cose conquistate può essere usato perché tutto appartiene al Signore e la guerra non è fatta per avidità…
  • è solo l’indegna prostituta che viene salvata dallo sterminio…

Israele sente la propria debolezza e continuamente ne fa esperienza, e sente nella fede nel proprio Dio l’unica forza. Sarà questa fede, che vagando tra deserti, guerre, infedeltà e violenza porterà a scoprire lentamente che Dio non è Dio degli eserciti ma Dio di misericordia, non solo perché fa vincere le guerre ma perché radunerà ogni popolo sul suo santo monte.

Allora il libro di Giosuè va letto perché nel popolo che combatte «per Dio» è scritta la storia dell’umanità che cerca di fuggire al suo destino di violenza e di trovare una visione di Dio e degli uomini illuminata dalla pace.

C’è infine un’altra, famosa ragione per cui è necessario leggere il libro di Giosuè, ed è la famosissima battaglia di Gabaon, quella in cui Giosuè pronuncia queste parole:

Fermati, o sole, in Gabaon e tu, o luna, sulla valle di Aialon.

Il testo così prosegue:

Si fermò il sole e la luna rimase immobile, finché il popolo non si vendicò dei nemici.

Questo testo, lo hai forse riconosciuto, è stato la base della controversia con Galileo Galilei, il quale aveva semplicemente ragione quando affermava che «lo scopo della Bibbia è di insegnare agli uomini le cose necessarie per la salute loro e non quelle che riguardano le scienze della natura».

E Dio solo sa quanti guai ci saremmo risparmiati se la Bibbia fosse stata letta in questo modo!

Buona lettura!

GIUDICI

I testimoni fedeli dell’alleanza

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Quando sentiamo parlare di «giudici» ci viene in mente un’aula di tribunale, un imputato, degli avvocati. C’è anche un libro nella Bibbia che porta questo nome, il libro dei Giudici. Lo definirei un libro di passaggio, in quel tempo molto lungo che dall’entrata nella terra di Canaan con Giosuè porterà alla nascita della monarchia e all’avvento del grande re Davide.

Il libro copre questo lasso di tempo molto lungo, di più di duecento anni, e più che parlare di giudici come li intendiamo noi ci racconta di veri e propri eroi. Scherzando un po’ mi verrebbe da dire che si tratta del libro dei supereroi di Israele. Basti pensare a Gedeone e Sansone, due grandi condottieri, uno dotato di una straordinaria abilità militare, uno addirittura di una forza sovrumana.

Il libro affronta un periodo abbastanza oscuro della storia del popolo eletto. Le tribù si sono inoltrate nella terra della promessa, ma chiaramente non sono una nazione; è facile immaginare piuttosto alla presenza di molte città stato e a una sorta di confederazione tra tribù ormai seminomadi. Nel libro riecheggia la mancanza e il sogno di una nazione forte, di una monarchia, di un re… eppure in questa assenza Dio non tarda a suscitare uomini forti e saggi che mantengono viva la fede di Israele.

È giusto del resto ricordare che in questa sorta di galleria di personaggi valorosi, manca un personaggio che rubi un po’ la scena e che sia in grado di cambiare il corso della storia. È accaduto con Mosè, accadrà di nuovo con Davide, e ricordare questo significa ricordare che la storia è fatta da uomini, soprattutto da uomini straordinari. Ma anche se nel libro dei Giudici non si incontrano figure grandiose come nel Pentateuco, alcuni di loro diventeranno veri e propri eroi.

Il primo giudice è sorprendentemente una donna, Debora, che nel capitolo 4 del libro invita il capo della tribù di Neftali a muovere guerra contro l’esercito di Iabin. Sarà un’altra donna, Giaele, che ucciderà il capo dell’esercito avversario attirandolo con inganno nella sua stessa tenda e che permetterà a Israele di avere la meglio in battaglia. Ecco allora che il canto di Debora a seguito della vittoria, nel capitolo 5, è forse la prima composizione poetica di tutta la Bibbia. Una ragione in più per leggere questo libro.

Il secondo giudice si chiama Gedeone, il quale sconfiggerà le tribù dei madianiti. Leggendo la sua storia, nei capitoli dal 6 all’8, cominciamo a incontrare la teologia che viene sviluppata in questo libro e che poi accompagnerà tutti i libri storici:

  • Israele fece ciò che è male agli occhi del Signore e abbandonò il Signore per servire altri dei…
  • Il Signore allora mise Israele nelle mani dei suoi nemici…
  • Israele gridò al Signore…
  • Il Signore suscitò di mezzo al popolo un giudice…
  • Il nemico venne umiliato e il paese rimase nella pace.

È appunto il caso di Gedeone che sconfigge i madianiti, che sono accampati nella terra di Canaan presso il fiume Giordano. Gedeone convoca i migliori combattenti delle tribù di Israele. Con un esercito composto di trentaduemila uomini, Gedeone si accampa e si prepara all’attacco. Mentre l’esercito d’Israele attende il segnale della battaglia, Dio così parla a Gedeone:

La gente che è con te è troppo numerosa. Israele potrebbe vantarsi dinanzi a me e dire: «La mia mano mi ha salvato». Ora tu annunzia davanti a tutti: «Chiunque ha paura e trema, torni indietro».

Alla fine Gedeone con solo trecento uomini, di notte, si avventurerà contro le tende dei madianiti, che, atterriti da quel frastuono e dalle torce vaganti nel buio, fuggiranno e si disperderanno impauriti.

Ancora più famosa, quasi cinematografica, è la lunga storia di Sansone (capitoli 13-16). Israele trascorre periodi di relativa tranquillità finché il popolo eletto si lascia sedurre dalle divinità straniere. Compare allora l’ultimo dei grandi giudici di Israele, Sansone, il cui nome significa «uomo del sole». Sansone deve affrontare nemici molto valorosi e formidabilmente armati: i filistei. Sansone fin da fanciullo si è consacrato al Signore con il voto del nazireato, che consiste nel non radersi barba e capelli e nell’astenersi da bevande inebrianti. Sansone, che è dotato di muscoli possenti, in molte circostanze sconfigge e beffa i filistei.

Un giorno però il giudice consacrato a Dio si innamora di una donna filistea, Dalila, che riesce a carpire il segreto della forza di Sansone. Una forza che deriva dalla sua consacrazione a Dio. Una notte, mentre Sansone è immerso nel sonno, Dalila gli fa radere i capelli e lo lega saldamente.

La forza di Sansone svanisce all’istante. Non perché sia legata alla sua chioma, ma perché egli, rivelando a Dalila il suo segreto, ha tradito il voto e Dio, che quindi lo abbandona a se stesso.

I filistei catturano facilmente Sansone, gli cavano gli occhi e lo incatenano a una macina da mulino. Dopo qualche tempo però Sansone si ravvede del suo peccato. Capisce che non può fidarsi dei propri muscoli, ma soltanto dell’aiuto del Signore. Rinnova il suo voto e, mentre i suoi capelli ricrescono, il Signore gli ridona forza e coraggio.

Un giorno i filistei conducono il prigioniero al loro tempio per divertirsi alle sue spalle. Nel tempio sono radunati tutti i capi dei filistei. Sansone dice al fanciullo che lo tiene per mano: «Fammi toccare le colonne su cui poggia la casa, così che possa appoggiarmi ad esse». Sansone palpa le due colonne di mezzo; poi, dopo aver invocato il Signore, si curva con tutta la forza spingendo una colonna con la destra e l’altra con la sinistra. La casa rovina addosso ai capi e a tutto il popolo che vi è dentro. Con la sua morte Sansone fa perire più nemici di quanti ne abbia ucciso durante la sua vita. Ancora una volta Israele è salvo perché Dio lo ha soccorso «con mano potente e braccio disteso».

Il libro ci tramanda scene altrettanto forti e per certi versi sconvolgenti, come l’uccisione per mano di Eud del re dei moabiti, o l’assassinio del re Sisara, per non parlare del sacrificio umano della figlia di Iefte.

So che molti a motivo di questa violenza non si avvicinano all’Antico Testamento. Questo è comprensibile, ma chi di noi può dire di non dover fare i conti con la violenza, sia quella che subisce e sia quella che vorrebbe fare? La Bibbia a mio avviso va letta anche per questo, per capire questo faticoso percorso per liberare la vita, la società, la fede e infine Dio dalla violenza… dal lato oscuro della forza.

Ormai lo sappiamo: la Bibbia è un libro ingombrante, ma sicuramente non è un libro falso che mistifica la realtà e idealizza comportamenti.

Nelle sue pagine si respira la storia di un popolo che giudica se stesso alla luce dell’alleanza stipulata con Dio. Così come nel Pentateuco anche qui tutto gira attorno a quella triangolazione nella quale la forza di un profeta permetterà alla misericordia di Dio di soccorrere e perdonare l’infedeltà di un popolo.

Buona lettura!

RUT

Una fiaba sovversiva

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Quello di Rut è uno dei libri più brevi dell’Antico Testamento (appena quattro capitoli), eppure brilla per la sua prosa agile ed efficace, e soprattutto per il messaggio di tolleranza e speranza che consegna all’antico Israele. Non a caso Rut è stato inserito dagli ebrei tra le Meghillot, i cinque «rotoli» particolarmente cari alla liturgia della Sinagoga, che vengono letti per intero in occasione di particolari feste: oltre a Rut sono il Cantico dei Cantici, le Lamentazioni, Ester e il Qoelet. Rut è letto nella festa di Pentecoste.

Soprattutto Rut è il primo libro che è incentrato sulla figura di una donna, per di più straniera, che abbraccerà la fede di Israele. Un midrash ebraico arriva a dire che ella è più grande del padre Abramo perché senza essere chiamata è andata e si è posta sotto le ali di Dio.

Nel capitolo 1 si narra di Elimelec di Efrata che, durante una carestia, emigra nel vicino paese di Moab insieme alla moglie Noemi e ai due figli. Questi ultimi sposano due moabite, Orpa e Noemi. Poi la disgrazia si abbatte sulla loro casa: sia Elimelec che i due figli muoiono nel giro di pochi anni. Noemi decide di fare rientro in Giudea e si congeda dalle nuore; ma, mentre Orpa rimane nel paese di Moab, Rut decide di seguirla e rientra con lei a Betlemme, proprio all’inizio della mietitura dell’orzo.

Nel capitolo 2 Rut va a spigolare nei campi di Booz, parente di suo marito, che non solo la lascia fare, ma anzi le offre da mangiare e ordina ai suoi servi di lasciar cadere apposta delle spighe dai manipoli, perché ella possa raccoglierli. Booz infatti è stato colpito dalla fedeltà che Rut ha dimostrato nei confronti di Noemi, accettando di venire ad abitare in una terra per lei straniera. Quando Rut riferisce la cosa a Noemi, questa esulta perché sa che Booz è parente di Elimelec, e dunque può essere loro goèl, «riscattatore», cioè il membro del clan con l’obbligo di aiutare parenti in difficoltà.

Nel capitolo 3, l’astuta Noemi prepara l’incontro decisivo tra Rut e Booz, consigliando alla nuora un comportamento simile a quello di una sposa: una volta che Booz si è coricato sull’aia, ella si sdraia accanto ai suoi piedi. Quando il padrone del campo si desta, Rut si rivolge a lui come al suo riscattatore. L’uomo accetterebbe, ma afferma che c’è un parente di Elimelec più prossimo di lui che potrebbe ambire a quel ruolo a buon diritto.

Allora nel capitolo 4 Booz va dal pretendente e utilizza un abile stratagemma per dissuaderlo. Alla presenza di ben dieci testimoni, trattandosi di un atto giuridico ufficiale, propone all’altro il riscatto delle proprietà di Elimelec, il defunto marito di Noemi. Il suo rivale sarebbe disposto al riscatto ma, quando viene a sapere da Booz che ciò comporta anche il matrimonio con la sua nuora vedova, non se la sente di assumersi quest’onere (forse perché sa che Rut non è ebrea), e rifiuta in favore di Booz. Booz prende allora Rut come moglie, e tutti vissero felici e contenti. Proprio come in una favola.

Il libro di Rut è un libro pervaso da un’atmosfera da festa paesana e da uno scenario da Albero degli zoccoli.

La raccolta dell’orzo è vissuta come una festa corale e in questo scenario la bella e giovane spigolatrice sembra proprio Cenerentola. Ma dentro questa atmosfera da fiaba c’è molto di più, perché il libro termina con la nascita del piccolo Obed, che è il padre di Iesse, il nonno di Davide, il progenitore di Gesù, secondo la genealogia del Vangelo di Matteo.

Strano libro la Bibbia, che nel Salmo 60 mette in bocca a Dio queste parole: «Moab è il bacino per lavarmi». Quante guerre, quanto odio, con i popoli, i re e gli dei di Moab, poi, senza alcun preavviso, ecco apparire una bellissima moabita, Rut, che abbraccia la fede di Israele e che diviene la progenitrice del santo re Davide.

Anche per questo i commentatori si sono dati molto da fare. Si tratta di una storia d’amore dal sapore quasi fiabesco inserita nella Bibbia o di un vero fatto storico? In molti propendono per l’ipotesi del racconto. E lo farò anche io, perché mi sembra evidente che il modo nel quale viene descritta la bella Rut abbia toni fiabeschi.

Se però chiediamo ad alcuni commentatori di spiegarci le ragioni che hanno portato a pensare questo racconto, le cose si fanno ancora più interessanti.

Da una parte c’è chi sostiene che la discendenza moabitica del grande re Davide non poteva essere negata ma doveva essere come nobilitata da una figura così esemplare, insomma si tratterebbe di un racconto di corte per non sminuire la gloria del grande sovrano.

Più interessante un’altra ipotesi che vede il libro composto in un’epoca molto difficile della storia del regno, il periodo che segue all’esilio e al ritorno da Babilonia, al tempo di Esdra e Neemia. Costoro avevano dovuto affrontare i problemi della ricostruzione di Gerusalemme e del tempio, si erano scontrati con coloro che erano rimasti nella terra d’Israele e nell’arco di cinquant’anni avevano occupato case e proprietà degli esuli, vivendo però in situazioni di povertà e di ristrettezze economiche.

Tra le soluzioni proposte per uscire da questa difficile situazione c’era quella di chiudersi agli stranieri, di proibire i matrimoni misti, dunque di rimandare a casa le mogli «illegittimamente» sposate, per ritrovare una sorta di purità etnica attorno alla quale ricostruire la propria identità.

In questo clima di chiusura dovuta alla paura e anche a un’interpretazione restrittiva di alcuni testi biblici fondamentali, nasce, per reazione, il libro di Rut.

Letta così, quella che sembra una fiaba diventa un racconto quasi sovversivo che anticipa, così come farà il libro di Giona, la visione di una fede di Israele aperta al mondo pagano. Rut, nella realtà e anche nella esaltazione letteraria, diventa la prima e forse più grande immagine femminile dell’umanità credente della Bibbia.

La parola che affido alla nostra lettura è la più bella del libro, quella che Rut indirizza a Noemi che vorrebbe rimandarla a casa sua:

Dove andrai tu, andrò anch’io; dove ti fermerai, mi fermerò. Il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Solo la morte mi separerà da te.

Un’immigrata, una straniera, un’infedele cui la Bibbia dedica un libro. Meglio non dimenticarlo mai.

Buona lettura!

PRIMO LIBRO DI SAMUELE

Il santo, il folle e l’eroe

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C’è un nome che ricorre spesso nella Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento: il Messia, ovvero l’unto, il consacrato, l’eletto. Ecco, se vuoi conoscere come ha inizio la storia di questa felice ossessione di Israele, devi provare a leggere i due libri della Bibbia che portano il nome di Samuele.

A ben vedere nella Bibbia non c’è una figura che si avvicini così tanto a Mosè quanto appunto il profeta e giudice Samuele. È lui che unisce la stagione dei Giudici all’inizio della monarchia davidica. Il suo prestigio e il suo carisma sono assoluti e la scena dell’unzione del primo re d’Israele, Saul, e soprattutto quella del giovane pastorello Davide assumeranno un valore fondamentale nella storia del popolo eletto. Il Messia è il consacrato dal Signore ed è proprio Samuele a instaurare questa tradizione, che giungerà fino a noi con l’unzione battesimale, sacerdotale ed episcopale.

Nelle nostre Bibbie troviamo due libri distinti che portano il nome di Samuele, ma in realtà potremmo parlare di un solo libro che è stato diviso in due parti. Il Primo Libro inizia con la nascita miracolosa dello stesso Samuele e termina con la morte del re Saul, mentre il Secondo Libro inizia con l’avvento del re Davide e termina con la fine del suo regno, anche se la sua morte è raccontata nel secondo capitolo del Primo Libro dei Re.

Un po’ complicato, vero? Non potrei dire il contrario, soprattutto se poi si va a leggere quello che dicono gli esegeti, i quali affermano che un simile ciclo letterario nasce da un materiale primitivo più vicino cronologicamente ai fatti narrati e poi da una serie di aggiunte e raccolte successive che vengono ultimate solo dalla grande Tradizione deuteronomista. Per intenderci meglio, se con Samuele e Davide noi ci troviamo grosso modo intorno all’anno 1000 a.C., l’opera redazionale (così è chiamata) deuteronomista viene collocata intorno al 500 a.C. Parliamo dunque non di libri, ma di vere tradizioni che attraversano i secoli e subiscono notevoli redazioni.

È per questo che nei racconti biblici troviamo spesso ripetizioni e perfino contraddizioni, ma ciò che è davvero miracoloso è che in questo processo di scrittura così tortuoso i personaggi umani così come la parola divina non ne escono diminuiti e confezionati ad arte. Sono invece vivi, traspirano umanità e verità e ci appaiono per questo ispirati.

Con i due Libri di Samuele noi ci troviamo di fronte a veri e propri capolavori sia letterari che spirituali. Credetemi, vale davvero la pena di leggerli. Gli avvenimenti sono straordinari e sono come dei quadri sapientemente dipinti.

Che dire altrimenti della nascita di Samuele e del Cantico di Anna, guarita miracolosamente nella sua sterilità, che ha ispirato il Magnificat di Maria?

Non lascia indifferenti nemmeno la chiamata notturna di Samuele per bocca del Signore, che pronuncia nell’oscurità della notte il suo nome per ben tre volte.

La profezia di Samuele sul re che gli israeliti chiedono è impressionante, così come alcune scene tra le più famose della Bibbia, come il duello tra Davide e Golia o la follia di Saul o la morte dello stesso Saul, che meritò una famosa tragedia di Vittorio Alfieri.

Riappropriarsi di questi racconti è un’esperienza affascinante, ma lo ripeto, quello che è davvero miracoloso è cominciare a leggere e appassionarsi, come in questo caso, a storie di re, di corti, di battaglie e di concubine, e alla fine scoprire che c’è Dio e solo Dio di mezzo, che ha fatto e ispirato questi racconti e questa storia.

Ecco, la bellezza del Primo Libro di Samuele la sintetizzerei così: da una parte la forza morale di Samuele, che impressiona dall’inizio alla fine del racconto, dall’altra, proprio davanti a lui, invece la debolezza morale, spirituale e psichica del primo re di Israele, quel Saul che verrà ripudiato da Dio e sarà vittima dell’invidia e della propria follia.

In mezzo e oltre queste due figure il giovane Davide e la sua ascesa: grazie a lui Israele avrà un vero re e un vero regno, e dopo di lui nessun altro uguaglierà la sua potenza militare e al tempo stesso la sua forza spirituale.

Dunque un vero gioiello letterario e spirituale con tre personaggi: il santo, il folle e l’eroe.

Ed è avvincente anche seguire Samuele che istruisce Israele nella prima parte del libro, quella nella quale il popolo subisce una vera disfatta e la perdita dell’arca dell’alleanza per mano dei filistei. Da qui la richiesta di avere un re, e da qui il modo direi altrettanto avvincente con il quale il tema è affrontato nel libro: il vero e unico re di Israele sarà il Signore e il destino di ogni re sarà quello di combattere con gli stessi peccati che furono di Saul e anche di Davide.

È come se il libro volesse allo stesso tempo glorificare la monarchia, ma sottolinearne tutta l’ambiguità e pericolosità. Il re, in una parola, o sarà fedele a Dio o diventerà una vera sciagura per il suo popolo.

E Saul sembra incarnare proprio questa immagine. Eppure il testo non lo condanna per intero. La spirale di superbia e di gelosia che lo perseguita lungo tutto il racconto viene in qualche modo onorata dalla sua morte, che segue una notte disperata nella quale egli, con l’aiuto di una negromante, cercherà di evocare lo spirito di Samuele. Una morte che egli stesso si procura, gettandosi sulla spada del suo scudiero che si rifiuta di ucciderlo sul campo di battaglia.

Se il santo è ammirato e il folle è per certi versi compreso, l’eroe viene innalzato perché rimanga un esempio di generazione in generazione, e causa di un futuro nel quale risplenderà di nuovo la gloria del regno di Davide.

Nel Primo Libro di Samuele assistiamo alle imprese di un Davide fuggiasco, che per ben due volte ha la possibilità di uccidere Saul e lo risparmia affinché il re comprenda le sue vere intenzioni.

Ed è proprio su questo intreccio emotivo tra Saul e Davide che la seconda parte del libro attira tutta l’attenzione. In questo senso la Bibbia è un libro umano, direi un libro umanista, che va a cercare Dio nelle vicende e nelle relazioni degli uomini. E il Dio che si incontra in queste pagine è come sempre molto umano, un Dio che parla a Samuele e dice:

Mi pento di aver fatto regnare Saul, perché si è allontanato da me e non ha rispettato la mia parola.

L’ira divina che incombe su Saul e che Samuele gli manifesta è terribile e verrebbe quasi voglia di implorare pietà, ma il testo biblico ha necessità di ricordare che il potere del re è sottomesso alla volontà divina, o se volete, in termini più moderni che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità».

Lo ripeto: non ce la farete a sottrarvi al fascino di queste tre figure: il santo, il folle, l’eroe.

Buona lettura!

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