p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 1 Aprile 2019 – Gv 4, 43-54

Abbiamo un bisogno innato di vedere segni e prodigi per credere. Trattiamo così le nostre cose politiche, trattiamo così le nostre economie. Politiche ed economie che continuiamo a sostenere anche quando perdono di credibilità, per paura che le cose peggiorino. Questa non è la fede che chiede Gesù e che può diventare salvezza.

Nel vangelo di Giovanni segni e prodigi fanno parte dell’esperienza di vita di Gesù. Il ricordo di segni e prodigi è il fondamento della fede e della vita del popolo di Israele. Segni significano l’amore che interviene, prodigi rivelano il potere dei segni stessi.

Pretendere segni prodigiosi è per Gesù una mancanza di fede. La fede non è chiedere segni, e chi più ne ha più ne metta, ai quali attaccarsi idolatricamente. Fede è credere a Dio per quello che ha già fatto e che la Parola racconta come cosa avvenuta. Il ricordo di quanto compiuto nel passato è motivo sufficiente per credere qui ed ora. Ci dice Giovanni che molti prodigi sono stati fatti ma solo alcuni sono stati scritti perché noi possiamo credere e perché credendo possiamo avere la sua vita.

Chiedere altri segni o condizionare la fede ai segni che vengono fatti come esaudimento di quanto noi abbiamo chiesto, è segno di non credere all’amore di Dio per noi.

La salvezza non è salute; la pienezza di vita non è rianimazione di un cadavere: la salvezza è fede che ci porta ad aderire a Colui che è vita.

Gesù non rifiuta di intervenire, chiede un salto di qualità. Il prodigio non consiste nel guarire il corpo ma nel credere alla Parola.

Fino a qui nulla da dire. Ma di fronte a Gesù che contesta il nostro modo di vivere la fede il funzionario del re sembra dire a Gesù: balle del dopo cena, queste. Come si è sentito dire un confratello infervorato parlando ad una malata.

L’ufficiale del re non prende in considerazione quanto Gesù dice, non gli risponde. Semplicemente lo riporta coi piedi per terra ricordandogli il motivo per cui era venuto da Lui. Non è venuto per una catechesi, è venuto per un bisogno impellente che era questione di vita o di morte.

L’ufficiale del re ci riporta a bomba: Signore, io voglio che tu scenda prima che il mio bambino muoia. Chiede che il suo potere di vita fecondi la terra. Questa preghiera è esaudita nel momento stesso in cui fiducioso della Parola del Signore, lascerà tutto e scenderà verso il figlio. Non scende Gesù, scende lui!

L’ufficiale insiste. Chiede di darsi una mossa, perché il tempo è breve: prima che il bimbo muoia. Lui è convinto che fino a che c’è vita c’è speranza. Dopo la morte non c’è alcuna speranza per il funzionario.

Lui non conosce ancora il dono di Dio. Ignora che c’è una Parola che vince la morte. Il figlio è chiamato bambino, piccolo, che significa anche servo. Di fronte alla morte nessuno di noi è libero: siamo tutti piccoli e impotenti, anche l’uomo del re, anche il re stesso.

Il fatto è che il bambino sta morendo; la Parola di Gesù dice il contrario: va’, tuo figlio vive! Dove è la verità? Nell’evidenza dei fatti o nella Parola del vivente? Un bel casino! Cosa che ci troviamo a vivere in ogni momento della nostra giornata.

Gesù non dà prove, dice semplicemente ciò che sa! E ciò che sa è credere alla Parola e diventare figli del Padre. La guarigione che avverrà senza che il funzionario lo sappia, lui semplicemente crede e comincia a scendere lui verso il figlio, è il segno del cambiamento. La sua fede farà sì che l’infermità e la morte si trasformi nella nascita del figlio libero.

Lui era un funzionario che ad un certo punto diventa padre perché chiamata il malato figlio. Quando crede il vangelo lo chiama uomo! Chi crede alla Parola non è più funzionario del re preso nell’ingranaggio mortale di servo/padrone, ma diventa padre e uomo, figlio libero di essere padre. Davanti alla morte ogni grande e ognuno di noi, vede il limite di ogni potere. Ciò che è importante, cosa avvenuta nell’uomo, è non perdere il desiderio di vita. La fede nella Parola ci dona la cosa più importante: un’umanità piena che è la stessa nostra fede. Per questo ci fa risorgere: da funzionari angosciati per la morte del bambino, diventiamo uomini, sicuri della vita del figlio. Per questo scendiamo e ritorniamo alla vita, alla vita di tutti i giorni dove si gioca la nostra vita di fede e la nostra fede nella vita.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

Vangelo del giorno:

Gv 4, 43-54
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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