p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 7 Agosto 2022

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È il servizio la chiave per entrare nel Regno

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 7 agosto 2022

Il fondale unico su cui si stagliano le tre parabole (i servi che attendono il loro signore, l’amministratore messo a capo del personale, il padrone di casa che monta la guardia) è la notte, simbolo della fatica del vivere, della cronaca amara dei giorni, di tutte le paure che escono dal buio dell’anima in ansia di luce.

È dentro la notte, nel suo lungo silenzio, che spesso capiamo che cosa è essenziale nella nostra vita. Nella notte diventiamo credenti, cercatori di senso, rabdomanti della luce. L’altro ordito su cui sono intesse le parabole è il termine “servo”, l’autodefinizione più sconcertante che ha dato di se stesso. I

servi di casa, ma più ancora un signore che si fa servitore dei suoi dipendenti, mostrano che la chiave per entrare nel regno è il servizio. L’idea-forza del mondo nuovo è nel coraggio di prendersi cura. Benché sia notte. Non possiamo neppure cominciare a parlare di etica, tanto meno di Regno di Dio, se non abbiamo provato un sentimento di cura per qualcosa.

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Nella notte i servi attendono. Restare svegli fino all’alba, con le vesti da lavoro, le lampade sempre accese, come alla soglia di un nuovo esodo (cf Es 12.11) è “un di più”, un’eccedenza gratuita che ha il potere di incantare il padrone. […]

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NON TEMERE, PICCOLO GREGGE

Beati noi, se il nostro Signore si intenerisce di fronte al nostro desiderio di lui. Beati noi perché lo vedremo faccia a faccia, incantato, proclamare: “non temere, piccolo gregge”.

Perché il vero tesoro sono le persone, non le cose. 

La parabola del padrone e dei servi è scandita in tre mo­menti. Tutto parte con l’assenza del signore, che se ne va e affida la casa ai suoi servi. Così Dio ha consegnato a noi il creato, come fece con Adamo. Ci ha affidato la casa comune che è il mondo, perché ne siamo cu­stodi. E se ne va.

Dio, il grande as­sente, che crea e poi si ritira. La sua as­senza ci pesa, ma è la vera ga­ranzia della nostra libertà. Se fosse qui, visibile, inevita­bile, incombente, chi si muo­verebbe più? Un Dio che si im­pone sarà anche obbedito, ma non sarà amato da liberi figli.

Secondo momento: nella not­te i servi vegliano e attendono il padrone; hanno cinti i fian­chi, in trepidante attesa. Hanno le lucerne ac­cese, perché è notte.

Anche quando è notte e la fatica è tanta, quan­do la paura preme sul cuore, tu continua a lavorare per la famiglia, la comunità, il tuo Paese, la madre terra. Con quel che hai, come puoi, meglio che puoi. Vale di più accendere una piccola lampada nella notte che imprecare contro tutto il buio circostante.

Tenetevi pronti, perché anche per quei servi, poi, arriva il terzo mo­mento. E se giungendo prima dell’alba, il padrone li troverà svegli, beati loro: egli passerà a servirli. Perché è rimasto incantato.

Beati noi, se il nostro Signore si intenerisce di fronte al nostro desiderio di lui. Beati noi perché lo vedremo faccia a faccia, incantato, proclamare: “non temere, piccolo gregge”.

Che i servi veglino fino all’alba, non è richiesto; si attende così solo se si ama, nella speranza di un abbraccio: «dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Un padrone-tesoro verso cui punta dritta la freccia del cuore, come nel Cantico: dormo, ma il mio cuore veglia (5,2).

Per quel servo che invece ha posto il tesoro nelle cose, l’incontro con il suo signore sarà la dolorosa scoperta di avere mortificato se stesso nel momento in cui mortificava gli altri; la triste sorpresa di avere fra le mani solo cocci di una vita sbagliata. E non un tesoro che spera nel prossimo, motore della vita.

Siamo vivi se coltiviamo tesori di passione per il bene possibile, per il sorriso possibile, per l’amore possibile, per un mondo migliore possibile. La nostra vita è viva quando tende ad un tesoro per cui valga la pena mettersi in viaggio, altrimenti il cuore deperisce.

Mio tesoro è il Dio pastore di costellazioni e di cuori, che viene, chiude le porte della notte e apre quelle della luce. Ci farà mettere a tavola e passerà a servirci, le mani colme di doni.

Mio tesoro è un padrone che non nutre sospetti, che mi affida la casa, le chiavi, le persone. Che viene e si pone a servizio della mia felicità! Dio che così mi conquista, mi commuove, e ad esso rispondo. 

Dov’è il tuo tesoro proprio lì è il tuo cuore, e non mi posso sbagliare.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK