p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 27 Novembre 2022

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Nel grembo del mondo lievita una vita nuova

Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano e non si accorsero di nulla… i giorni di Noè sono i giorni ininterrotti delle nostre disattenzioni, il grande peccato: «questo soprattutto perdonate: la mia disattenzione» (Mariangela Gualtieri).

Al vertice opposto, come suo contrario, sull’altro piatto della bilancia ci soccorre l’attenzione «che è la preghiera spontanea dell’anima» (M. Gualtieri).

Avvento: tempo per essere vigili, come madri in attesa, attenti alla vita che danza nei grembi, quelli di Maria e di Elisabetta, le prime profetesse, e nei grembi di «tutti gli atomi di Maria sparsi nel mondo e che hanno nome donna» (Giovanni Vannucci).

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Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore. Avvento: quando Dio è una realtà germinante, colui che presiede ad ogni nascita, che interviene nella storia non con le gesta dei potenti, ma con il miracolo umile e strepitoso della vita, con la danza di un grembo, in cui lievita il pane di un uomo nuovo. Dio è colui che invece di porre la scure alla radice dell’albero, inventa cure per ogni germoglio, per ogni hinnon (Salmo 72,17), che è anche nome di Dio.

Due uomini saranno nel campo… due donne macineranno alla mola, una rapita, una lasciata; due soldati saranno al fronte in Ucraina, uno sarà ferito, uno resta incolume. […] Continua a leggere tutto il testo di questo commento su Avvenire


UN SOGNO DI PAROLE IN ATTESA

Matteo ci introduce nell’attesa di un Dio che ha sempre da nascere, incamminato e straniero in un mondo dal cuore distratto, oggi “come ai giorni di Noè, quando non si accorsero di nulla”. E’ questo il Tempo per guardare in alto e più lontano.

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Inizia il tempo d’Avvento, quando la ricerca di Dio si muta in attesa di Dio. Con Matteo, prima al soldo dell’impero, poi sedotto da Gesù, ci immergiamo in un sogno di parole chiamato Vangelo. Questo termine, all’origine, non indicava il titolo di un libretto su Gesù, ma identificava una “buona notizia”, l’annuncio di un accadimento felice che attraversava l’impero.

Matteo ci introduce nell’attesa di un Dio che ha sempre da nascere, incamminato e straniero in un mondo dal cuore distratto, oggi “come ai giorni di Noè, quando non si accorsero di nulla”.

È possibile vivere così, da utenti e non da viventi, senza sogni e senza mistero. È possibile vivere senza accorgersi dei volti, ed è questo il grande diluvio che spazza via tutto! I giorni di Noè sono i miei, quando dimentico che il segreto della vita è oltre me, e placo la fame di cielo con larghe sorsate di terra, senza più pensare in grande, senza sognare più pace e giustizia per me e per il mondo.

È possibile vivere senza neppure accorgersi di chi ti sfiora in casa e ti parla; senza spingere l’orizzonte un po’ più in là, un po’ più in alto, indifferenti ai barchini di Lampedusa, al pianeta umiliato, alla casa comune depredata e avvelenata. Si può vivere senza vedere i volti dei popoli in guerra, come sotto anestesia.

L’Avvento che inizia è invece un tempo per accorgerci, come madri in attesa, che germogli di vita crescono e si arrampicano in noi.

Tempo di strade è l’avvento, quando il nome di Dio è “Colui-che-viene”, Dio che cammina a piedi nella polvere della strada, sui passi dei poveri e dei migranti, camminatore dei secoli e dei giorni. E’ questo il Tempo per guardare in alto e più lontano, per vivere con attenzione a ciò che è dentro di me e con grandi occhi sul mondo. Ma per farlo è necessario rallentare la corsa, questa furia di vivere che ci ha preso tutti.

L’immagine conduttrice è Miriam di Nazaret nell’attesa del parto, incinta di Dio, gravida di luce. Attendere, infinito del verbo amare. Le donne, le madri, sanno nel loro corpo che cosa è l’attesa, la conoscono dall’interno.

Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore.

 «Due uomini saranno nel campo, uno sarà preso e l’altro lasciato… perciò anche voi state pronti». Sui campi della vita, ognuno di noi può vivere in modo adulto oppure infantile; uno vive nell’attesa di un mondo nuovo, uno no; uno è dentro il circuito breve della sua pelle, l’altro vive sull’orlo dell’infinito.

Antonio Rosmini morendo affidava a Manzoni le tre parole del suo testamento spirituale: tacere, adorare, godere.

Tacere, non per amore del silenzio, ma della sua Parola.

Adorare, per aprire varchi al Signore nel cielo chiuso dei giorni.

Godere, perché la bella notizia del Vangelo ci assicura che la vita è una continua ricerca di felicità, di un Dio regala gioia a chi produce amore.

Sono tre parole, colonne per il tempo d’Avvento, per ogni tempo di chiunque attenda qualcosa.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK