Meditazione di don Francesco Pedrazzi – PRIMO MISTERO DELLA GLORIA: LA RISURREZIONE DI GESÙ

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LA CARNE È IL CARDINE DELLA SALVEZZA 

Nelle sante Messe dell’Ottava di Pasqua, cioè negli otto giorni che vanno dalla Domenica di Risurrezione alla festa della Festa della Divina Misericordia, si ripete una formula nella preghiera eucaristica:  

«nel giorno glorioso della risurrezione del  Cristo Signore nel suo vero corpo». 

L’evangelista Luca, nel racconto dell’apparizione di Gesù risorto agli Undici, scrive:  

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«Sconvolti e pieni di paura, [i discepoli] credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».   

Perché questa insistenza nel proclamare che Gesù è risorto “nel suo vero corpo”?  

È una domanda che merita una risposta, non solo perché ci porta al cuore del primo mistero della gloria, la risurrezione di Gesù, ma ci aiuta comprendere la nostra fede nella “risurrezione della carne”. 

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È utile partire da una celebre frase di un autore cristiano del III secolo, TERTULLIANO, che affermava: «Caro salutis est cardo», «la carne è il cardine della salvezza» (De carnis resurrectione, 8,3). Con il termine “carne” s’intende qui un concetto chiave della Bibbia, espresso in ebraico con il termine “basàr” e in greco con il termine “sarx”: «designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 990). Per la Bibbia “l’uomo è carne” nel senso che la sua dimensione psico-fisica, soggetta alla sofferenza e alla caducità, è parte costitutiva non accidentale della sua essenza: l’uomo non “ha” un corpo, ma “è” il suo corpo e quindi il cammino della salvezza deve coinvolgere anche questa dimensione. Tertulliano e altri grandi teologi cristiani dei primi secoli (come san Giustino e sant’Ireneo) hanno dovuto fare i conti con un pensiero non ortodosso allora molto diffuso che tendeva a rinnegare questa verità e a identificare l’uomo solo con la sua componente spirituale. Una delle insidie più grandi per la fede cristiana, allora come oggi, è questa concezione “spiritualistica” dell’uomo e di Cristo stesso: una visione in cui si trascura la consistenza della dimensione “carnale” della persona. Questa tendenza eretica viene in modo generico definita “falsa gnosi”, cioè falsa conoscenza, o “gnosticismo”. Il cosiddetto “gnostico” è precisamente colui che crede che il cammino di perfezione dell’uomo sia una conquista che avviene nella misura in cui “l’anima” acquisisce una conoscenza, una “illuminazione”, che la libera dai condizionamenti dovuti alla materia e al proprio corpo. Potremmo dire che lo “gnosticismo” è da sempre la principale dottrina antagonista della retta fede cristiana. Oggi lo è in modo preoccupante, perché anche parte della teologia cristiana ha un’impostazione gnostica, specialmente alcuni filoni della teologia protestante. Inoltre, la cosiddetta cultura “New Age” ha una matrice chiaramente gnostica. Infine, vi sono correnti spirituali legate alle grandi religioni orientali (come l’induismo e il buddismo), che esercitano una grande influenza anche in ambienti cristiani, che hanno un’impostazione tendenzialmente gnostica.  

Riflettere sulla “risurrezione della carne” e sulla “carne” in quanto “cardine” della salvezza ci aiuta a prendere le dovute distanze da ogni pensiero “gnosticheggiante” e a rimanere centrati nella retta fede cattolica cristiana.  

A tale scopo è utile tornare a Tertulliano e ascoltare quanto scrive in rapporto all’affermazione citata in apertura: 

«La carne è il cardine della salvezza. Infatti se l’anima diventa tutta di Dio è la carne che glielo rende possibile! La carne vien battezzata, perché l’anima venga mondata; la carne viene unta, perché l’anima sia consacrata; la carne viene segnata della croce, perché l’anima ne sia difesa; la carne viene coperta dall’imposizione delle mani, perché l’anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si nutre del corpo e del sangue di Cristo, perché l’anima si sazi di Dio. Non saranno separate perciò nella ricompensa, dato che son state unite nelle opere». 

Parole che denotano il grande acume teologico di Tertulliano! L’uomo non è un angelo: è un’unità inscindibile di anima e corpo. Non andiamo a Dio solo con l’anima. Andiamo a Dio con l’anima e insieme con la carne. Uno “spiritualismo disincarnato” porta a ritenere che “nella vita cristiana ciò che conta è soltanto il cuore”. Bisogna vedere che cosa s’intende con questa affermazione! Se s’intende che ogni azione deve partire dalla custodia del cuore, dell’interiorità, dal fare tutto per la gloria di Dio, per suo amore, e non per noi stessi, allora questa affermazione è corretta! Se però s’intende che per salvarsi basta avere belle intenzioni, produrre bei pensieri, formulare belle preghiere, acquisire grandi conoscenze… ci si sbaglia di grosso!  

Cristo non ci ha salvato con “belle parole”: ci ha salvato mediante la sua “carne”: “facendosi carne” nel grembo di Maria Vergine, faticando nella carne per trent’anni a Nazaret, soffrendo e morendo nella carne sul Calvario e risorgendo nella sua carne. Allo stesso modo noi ci salviamo “con la nostra carne”, se «non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18), se amiamo come Lui ci ha amati (cfr. 1Gv 3,16).  

Gli stessi Sacramenti, come ci ricorda Tertulliano, sono la conferma dell’importanza della dimensione “corporea”, nella vita spirituale. Gesù non vuole che andiamo a Lui solo con atti interiori, ma mediante i sacramenti che sonosegni esteriori”, “sensibili”, cioè che toccano i nostri “sensi”. Ad esempio nella santissima Eucaristia – come scrive Tertulliano – «la [nostra] carne si nutre del corpo e del sangue di Cristo, perché la [nostra] anima si sazi di Dio».  

È l’anima che si nutre, ma non senza che si nutra al contempo anche il corpo! Questo principio vale per ogni aspetto della vita cristiana! 

Anima e carne, spirito e corpo, cuore e sensi, sono inscindibilmente uniti. Per questo Tertulliano conclude affermando: «[La carne e l’anima] non saranno separate nella ricompensa, dato che son state unite nelle opere». 

IN CRISTO RISORTO, «TUTTA LA NOSTRA VITA RISORGE»  

Credere nella “risurrezione della carne” non è credere all’immortalità dell’anima! All’immortalità dell’anima credevano i filosofi greci già prima di Gesù. All’immortalità dell’anima crede la maggior parte delle religioni; ma la fede nella Risurrezione è tutt’altra cosa. Noi crediamo che non risorgeremo solo con l’anima, ma – come Cristo stesso – risorgeremo con il nostro corpo e questo ha un significato immenso per la nostra vita!  

Verrebbe da chiedersi come avverrà la risurrezione della carne. A nessuno è dato saperlo e non potremmo nemmeno comprenderlo finché siamo in questa vita terrena. Di certo sappiamo che avverrà per la potenza di Dio: Colui che ha creato dal nulla tutte le cose può certamente “rivestire” i nostri corpi mortali e corruttibili d’incorruttibilità e d’immortalità (1Cor 15,53-54). Anche i Corinzi avevano posto a San Paolo la domanda: «Come risorgono i morti?» (1Cor 15,35). Egli risponde impiegando la metafora del chicco di grano che muore nella terra per poi rinascere nella spiga. In questo modo afferma la continuità e al tempo stesso la discontinuità tra il nostro corpo mortale attuale e quello glorioso, tra il “corpo animale” che si “semina” e il “corpo spirituale” che risorge e che riceveremo da Dio. Sarà davvero il nostro corpo, ma non in senso “molecolare” (perché «ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità» 1Cor 15,50): come il nostro corpo attuale non è “materialmente” lo stesso di quando eravamo bambini, e tuttavia è sempre “il nostro corpo”! (1Cor 15,35-50).  

Al di là di queste curiosità che non servono a molto, se non su un piano catechistico, è importante comprendere il grande significato “antropologico” del nostro corpo e quindi il significato della risurrezione della carne per la nostra vita.  

Il corpo dell’uomo rappresenta ogni sua relazione con il mondo esterno: con le persone (altri corpi umani), con i luoghi e con ogni realtà materiale e temporale. SAN TOMMASO D’AQUINO insegna che – nell’ordine naturale – nulla entra nell’anima che non passi attraverso i sensi corporali. Senza il corpo non potremmo entrare in relazione con gli altri, non potremmo abbracciarci, esprimere i nostri sentimenti, sorridere, compiere il bene e il male, non potremmo fare opere buone, non potremmo conoscere la realtà. In altre parole, è un “simbolo” di tutta la vita terrena.  

Si legge nel Prefazio pasquale II: «In Cristo risorto tutta la vita risorge». La risurrezione della carne vuol dire questo: tutta la vita terrena, sperimentata grazie alla mediazione dei nostri corpi, è destinata a risorgere! Risorgendo con i nostri corpi risorgeranno anche le relazioni costruite in questa vita; le opere da noi compiute “ci seguiranno” nel Regno dei Cieli; la vita eterna non sarà tanto una “seconda vita” dopo la morte, ma la “trasfigurazione”, cioè la trasformazione gloriosa della nostra vita terrena. Ogni opera che compiamo in questa vita con il nostro corpo ha un’incidenza sulla “vita eterna”, anche perché di vita ce n’è una sola: «è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio (Eb 9,27) (noi non viviamo nella fallace illusione della “reincarnazione”!). Gesù ci ricorda chiaramente quanto le opere di misericordia “corporale” siano decisive: colui che con il proprio corpo compie opere di carità al servizio dei bisognosi, risorgerà per entrare nel Regno di Dio, colui che con il proprio corpo omette di compiere opere di carità dinanzi ai bisognosi entrerà nel fuoco eterno (cfr. Mt 25,31-46).  

«Tutta la vita risorge» in Cristo vuol dire anche che con la risurrezione potremmo continuare a relazionarci come abbiamo fatto in questa vita! Se nel Regno di Dio non risorgessimo con i corpi non potremmo più “vedere” il sorriso dei nostri cari, degli amici, non potremmo più stringerci la mano, abbracciarci! Non potremmo sederci a tavola e condividere insieme un banchetto! Che tristezza se dovessimo rimanere per tutta l’eternità evanescenti come fantasmi! Non potremmo nemmeno pronunciare il nome di Gesù e di Maria! Tutte cose che potremo fare quando risorgeremo nel nostro vero corpo e quando verrà fatto «un nuovo cielo e una nuova terra»! (Ap 21,3) 

Chi non crede alla verità di fede della “risurrezione della carne” (Simbolo Apostolico) o “dei morti” (Simbolo nicenocostantinopolitano) è fuori dalla comunione con la Chiesa. Lo stesso Tertulliano arrivava a scrivere: «Fiducia christianorum resurrectio mortuorum: illam credentes, sumus» («La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali»; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 991).