Luca Rubin – Commento al Vangelo di domenica 5 Settembre 2021

A cura di Luca Rubin

Sono maestro elementare, professione che cerco di vivere in pienezza, non come lavoro ma come vocazione e missione.
In parrocchia sono catechista, referente per i ministranti e accolito: in una parola, cerco di dare una mano! Mi piace molto leggere e scrivere, ascoltare musica classica, country e latina, stare in compagnia di amici. […]


Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Marco, l’evangelista che ha scritto questo brano, ha acceso il navigatore, o forse meglio ha aperto la mappa e ci indica il cammino del Signore, che si dirige volutamente in un territorio non giudeo della Palestina, la Decapoli, abitata da greci, e quindi pagani.

Questa volontà di Gesù deve svegliarci, e farci comprendere che Lui oltre ad accogliere chiunque si avvicini a Lui, si spinge oltre: va a cercare l’ultimo abitante dell’ultima regione, per donare il suo amore e la sua salvezza. Questa introduzione geografica è in realtà un’introduzione fortemente teologica: ci racconta il cammino di Dio verso l’uomo, un cammino che lo spinge ‘oltre ogni oltre’.

Quando tu pensi di aver fatto già abbastanza, Gesù mette il turbo e finisce in Decàpoli, la terra che tu non stimi, che non reputi degna, che non includi mai nelle tue gite fuori porta, che escludi dai tuoi piani, perché non ne vuoi proprio sapere: quella tua Decàpoli diventa la meta scelta da Dio per incontrarti, per stare con te.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Gesù incontra una persona considerata pagana e per di più malata, quindi per la mentalità dell’epoca, colpevole e impura. Ma non basta: spesso la sordità e l’essere muto erano attribuite a possessione demoniaca. Viene in mente quel proverbio orientale: “In una notte nera, una formica nera, su una pietra nera: Dio la vede.” Eppure noi mettiamo dei paletti, oltre i quali neppure Dio può andare, poco importa se nella nostra o altrui vita: leghiamo Dio ai nostri pregiudizi, ritagliamo la sua azione sulla misura del nostro possibile o impossibile. Chi è libero libera, come a nascondino: “libero me, libero tutti!” Mentre chi è schiavo, chi è chiuso, blocca tutto e tutti, perché la libertà e l’apertura fanno paura, intrise come sono di responsabilità.

Senza parlare (perché non lo avrebbe sentito), Gesù compie una serie di gesti che portano alla guarigione del sordomuto:

  1. Lo prese in disparte, lontano dalla folla: a Gesù interessa la relazione uno a uno, non le folle, non la massa, ma la persona, l’individuo, il singolo. Gesù lo prende per un braccio, lo conduce con se, si prende cura, e già con il primo gesto comunica il suo bene, la sua empatia.
  2. gli pose le dita negli orecchi. E’ proprio lì la patologia: Gesù non gira intorno alle cose, va subito al nocciolo del problema. Toccando il male, Gesù se ne fa carico, accoglie anche quella parte con la quale nessuno vuole avere a che fare.
  3. con la saliva gli toccò la lingua. E noi inorridiamo per le norme igieniche infrante e per mille precomprensioni, che come al solito ci impediscono di volare. Questo gesto molto intimo e personale in realtà richiama l’effetto antibatterico della saliva, e permette una lettura meravigliosamente umana di Gesù, come diceva san Leopoldo Mandić “Fede! abbiate fede!, Dio è medico e medicina”. Gesù dona la sua salute a chi è malato, la sua vita, la sua forza, tutto il suo infinito bene a chi è nella notte più buia. E se la luce incontra la notte, la notte diventa giorno: “La morte è stata inghiottita nella vittoria” (1Cor 15,54).
  4. guardando quindi verso il cielo: Gesù in ogni sua azione, in ogni suo gesto ci richiama la nostalgia del Cielo, la preghiera, il contatto con Dio Padre. In questo sguardo verso il Cielo c’è tutta la confidenza e l’amore del Figlio verso il Padre, Lui stesso Dio, non ha mai operato disgiuntamente, da solo, in modo autonomo, ma sempre si è mosso in una dinamica di comunione, la dinamica di “Casa Trinità”
  5. emise un sospiro: un chiaro richiamo allo Spirito Creatore, che crea e ricrea il mondo, le persone, le cose, collocando ognuno nel suo ordine e nel suo ruolo, per il bene del singolo e del mondo. Il respiro di Dio porta con se l’ordine del cosmo, la bellezza, l’armonia, la salute.
  6. e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E’ La prima parola che Gesù rivolge al sordomuto, dopo cinque gesti da Lui compiuti. Possiamo pensare che la guarigione fisica è già avvenuta, e questo ‘Effatà’ sia la prima parola che la persona ascolta. Questa non è la parola magica che compie il prodigio, ma un mandato, una missione che Gesù assegna. A ciascuno di noi è stato detto ‘apriti’, più volte: nell’istante del concepimento, quando siamo venuti alla luce, e anche il giorno del Battesimo: il celebrante tocca, con il pollice, le orecchie e le labbra del battezzato, dicendo: Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre. Effatà ci viene detto ogni giorno, quando la tentazione del ripiegamento ci insidia, quando non ne vogliamo più sapere, quando tutto sembra in lotta contro di noi, ancora e ancora ci viene detta e data questa parolina: Effatà, apriti!

E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Subito, senza inutili attese, detto e fatto, la gioia della creazione irrompe nella vita di questa persona. La Parola del Signore realizza ciò che dice: Apriti > si aprirono gli orecchi. Non è magia, noi siamo infarciti di concetti come incantesimo, bacchetta magica, prodigi, pozioni, e li instilliamo nei piccoli con cartoni animati e favole, perché il nostro desiderio è realizzare l’impossibile: questo desiderio del prodigio viene in qualche maniera soddisfatto in una modalità sbagliata, che allarga ancora di più il vuoto, il limite. Solo Gesù e la sua Parola sanno saziare questo desiderio di infinito, di impossibile che si realizza, a un’unica condizione: il tuo sì.

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Il brano si conclude con una disobbedienza. Gesù chiede di custodire il silenzio, per non disperdere la grazia e la gioia di una vita nuova, ricreata. Comandò: un verbo molto forte, forte come la volontà di Dio che con facili entusiasmi disattendiamo, per trovarci poco dopo con i cocci rotti tra le mani, e chiedere al Signore: ‘ora che faccio?’.

Custodire la grazia del Signore nel silenzio, come una fonte che custodisce pulita l’acqua, e sa donarla quando qualcuno ha sete, ma che non la butta via inutilmente, non la inquina: è questo il tuo sì al progetto di Dio, come adempiere alle disposizioni di un medico, di un insegnante, di chi ne sa più di te, e tutto questo per il tuo bene. L’entusiasmo incontenibile della folla è tuttavia comprensibile: il silenzio è una scelta coraggiosa, che necessita di una grande forza interiore.

La conclusione: “Ha fatto bene ogni cosa” ci può sembrare come la scoperta dell’acqua calda, ma ci dice anche la poca fiducia che noi accordiamo all’opera di Dio. Siamo bravi a proclamare le meraviglie del Signore solo quando le constatiamo con le nostre mani, coi nostri occhi, ma non sappiamo accordare fiducia alla Parola del Signore. Lui non si arrende, e ci ripete: Effatà, apriti!

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