don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 15 Agosto 2022

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Danza e canto al ritmo della gioia

La famiglia di Zaccaria è in festa per l’arrivo di un figlio inatteso e ormai insperato, vista l’anzianità dei coniugi. Al saluto di Maria la casa si riempie di gioia, la stessa che l’ha pervasa accogliendo dentro di sé la Parola di Dio. C’è chi danza, come il piccolo Giovanni che è nel grembo dell’anziana madre, e chi canta, come le due donne accomunate dalla benedizione ricevuta nei rispettivi figli. La gioia esplode perché Dio è vicino, anzi si è fatto prossimo ed è venuto a visitarci. L’esultanza di Elisabetta è il riflesso del sussulto del bambino nel suo grembo che danza come fece Davide davanti all’arca dell’alleanza mentre veniva portata a Gerusalemme (2Sam 6,12; 6,14-15).

La gioia non è a comando ma è la reazione di chi realizza di essere vicino a Dio, fonte della vita. Come quando una sorgente di luce si avvicina illuminando tutto ciò che rientra nel suo raggio di azione, così chiunque sperimenta la visita di Dio è investito dalla gioia. La gioia è la forza dello Spirito che spinge a lodare e a benedire, come fa Elisabetta. Maria, visitando l’anziana parente, diventa la prima missionaria del vangelo. Ciò che la spinge a mettersi in cammino, affrontando tutte le difficoltà del viaggio, è la gioia dell’aver creduto alla Parola di Dio, cioè di aver aderito al suo progetto d’amore. Mettersi al servizio della Parola carica di una gioia tale che traspare dalla voce, dagli occhi e dagli atteggiamenti prima ancora che dalle parole. Maria, visitata da Dio e chiamata ad essere Sua madre terrena, accetta di accoglierlo e diventa Suo tempio, spazio nel quale il Creatore si fa creatura e viene ad abitare in mezzo agli uomini.

Le due donne sono entrambe in attesa che nascano i loro bambini e così inizi a manifestarsi visibilmente l’opera di Dio iniziata attraverso di loro. Anche la donna descritta nell’Apocalisse, vestita di sole, circondata da dodici stelle con la luna sotto i piedi, immagine della creazione che riflette in sé lo splendore del Creatore, è in attesa anche se caratterizzata dalla sofferenza dovute alle doglie del parto. San Paolo spiega questa immagine dicendo: «Tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi», ma poi aggiunge: «Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8, 22.23). L’attesa di Maria e di Elisabetta interpreta la nostra e quella di tutta la creazione. Da una parte è un’attesa sofferta, dall’altra è anche gioiosa perché vissuta nella speranza. Sempre san Paolo dice che: «Nella speranza siamo stati salvati» (Rm 8,24). La speranza è l’attesa perseverante e fiduciosa che si compia l’opera di Dio e noi possiamo essere totalmente adottati come figli suoi. Siamo noi, infatti, quel bambino che, generato e partorito nel battesimo, mediante la sofferenza di Cristo, viene «assunto» in cielo. La salvezza sperata consiste nell’essere strappati dalle grinfie del peccato e della morte per essere introdotti nel Cielo.

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Maria è la profetessa della gioia condivisa con tutti gli uomini che sperimentano la potenza del braccio di Dio. Il viaggio di Maria verso le montagne della Giudea suggerisce l’idea che l’attesa non è qualcosa di statico ma è cammino di liberazione nel quale intonare al Signore un canto di lode come fece Miriam, la sorella di Mosè. Infatti, il Libro dell’Esodo dice che: «Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: “Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!”» (Es 15,20-21).  

Il Canto di Maria è l’inno degli umili felici di identificarsi, non con una nazione ma, con un popolo la cui forza risiede nella misericordia di Dio che libera piuttosto che nei vani ragionamenti degli uomini o nella loro potenza militare che invece rende schiavi. Maria canta la salvezza di Dio benedicendo la sua infinita bontà che si riversa abbondantemente sui poveri. Per tutti coloro che soffrono, soprattutto per il Vangelo, Maria è un segno di speranza perché in lei trovano riscontro le parole di san Paolo: «Le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,18-19).

Signore Gesù, gioia degli umili e salvezza di chi spera in Te, vieni a visitarmi con la potenza dello Spirito perché le sofferenze della vita non mi facciano cadere nella trappola della paura. Come la mano invisibile di Dio trasse fuori dalle acque del Mar Rosso il popolo d’Israele liberandolo dalla schiavitù e il braccio potente del Padre ti ha sciolto dai vincoli della morte facendoti risorgere, così la tua Parola, abitando nel mio cuore, lo purifichi, lo rigeneri e lo riempia di gioia. Contemplando in Maria, nostra Madre, il compimento dell’opera di salvezza, donami la sua stessa speranza perché nel cammino di questa vita tenga sempre in alto lo sguardo per fissare la meta della mia vocazione cristiana. La medesima carità che ha spinto Maria a visitare e servire sua cugina Elisabetta animi l’attesa che, compiuti i giorni della mia vita terrena, sia definitivamente adottato come Figlio di Dio. Guarda l’umiltà del tuo servo, riempilo dei doni della tua grazia e fai risplendere sul mio volto lo splendore della tua misericordia perché sia per i miei fratelli testimone credibile della tua presenza che salva.   

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Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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