don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 6 Novembre 2022

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Non è che la morte fosse già abbastanza triste da non sentirsi in dovere di renderla anche ridicola? Che poi il ridicolo cresce in maniera proporzionale alla fatica che si farà per difenderlo ad oltranza. Un esempio sadduceo: «La donna, alla risurrezione, di chi sarà moglie?» (cfr Lc 20,27-38). Una donna che, quaggiù, per sette volte è rimasta vedova del marito. Che la sfortuna ci veda benissimo, mentre la fortuna è cieca, è dato per assodato.

Che questa storiella sia opera di fantasia, minimo, lo è altrettanto: dev’esserci sempre qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo! Un altro, al posto di Gesù, avrebbe risposto: “Ma non avete caldo, così coperti dal ridicolo come siete?” Rendersi ridicoli con dignità: nemmeno ciò san fare i sadducei che, impauriti dal fatto che la leadership di Cristoddìo finisca per agitare il popolo, tentano d’ingabbiare il Rabbì in una delle loro fantasticherie mentali: pure elucubrazioni, al netto di qualsiasi compassione.

È la risurrezione il loro problema grosso: siccome non ci credono, allora tentano di sbeffeggiare il solo Uomo che ci creda davvero. Che ci crede così tanto da attribuirsi lui stesso quel nome: «Io sono la risurrezione» (Gv 11,25). Siccome non riescono a tenere controllata la sua immaginazione, decidono di giocare la carta della derisione: “Chiedo per un amico, comunque!” mancava che dicessero per mostrarsi all’avanguardia.

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L’uomo, da che mondo è mondo, quando non capisce si mette a prendere per i fondelli: chi è diverso, chi la pensa in maniera differente, chi crede in ideali differenti, chi sposta l’asticella del desiderio leggermente più in alto. I sadducei, volendo fare i simpatici, danno inizio alla grande passione di Cristo: prima della Croce sul Golgota, la sua crocifissione fu quella di metterlo “tra virgolette”, di dir cose balorde su di Lui, di pensare che fosse tutta una burla quella sua voglia di assicurare il mondo che, domani, non andrà perduto nulla di tutto ciò che oggi si è seminato, amando.

Loro, invece (che sono i nostri antenati), credono soltanto a quello che vedono, toccano, annusano. Tutto ciò che è mistero e fiducia, sotto sotto, puzzerà sempre di sospetto: “Se fosse tutta una fregatura? E se alla fine non ci fosse più nulla?” Per vincere la loro paura del nulla, sbattono sul tavolo la carta dell’assurdo: “Nell’aldilà, Rabbì, di chi sarà moglie una che, in vita sua, è stata sposata con sette uomini e, una alla volta, sono morti tutti e sette?”

Una cosa, ripulito il loro discorso ridicolo, rimane valida: la loro voglia di sapere che faccia abbia l’aldilà, la loro fame d’eternità. L’aspettativa di sentire che, alla fine, l’aldilà sarà solo il prolungamento dell’aldiqua. In modo da riuscire a controllare la situazione. Da non trovarsi spaesati nel momento del grande trasloco.

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Cristoddìo, invece che ripagarli con la stessa moneta, tenta di profittare del loro scherno per spiegare cos’è l’eternità, questo silenzio eterno degli spazi che ci atterrisce: “La vita futura, gente, non è il prolungamento di quella presente. E chi, quaggiù, ha preso moglie e marito, una volta risorti non prenderanno più né moglie né marito”. C’è uno scarto da conteggiare, un imprevisto da calcolare, un inedito da fronteggiare. Allora saremo tutti stranieri l’un l’altro, anche con coloro coi quali, quaggiù, abbiam tessuto rapporti di sangue e d’amore?

Se il Paradiso fosse così: “Tieniti il tuo Paradiso, divinità!” La cosa è infinitamente di più, d’un batticuore proporzionale al grado di fatica che comporta la sua comprensione: risorgere in Dio non sarà risorgere ad una vita biologica come quella che stiamo vivendo, ma alla vita di Dio. Ad uno stato diverso dalla semplice rianimazione, da una cinerea reincarnazione. Ad una vita che, quaggiù, ci è dato solamente di balbettare, pregustare, mai comprendere del tutto. Ci basti credere che ci sarà.

Ci sta che l’eternità ci sfugga, anche solo come concetto. La cosa seria è che, stando alle parole di Cristo, abbiamo tutti un appuntamento con l’eternità: e il consiglio è quello di non fare tardi. Anche solo ad iniziare a calcolarla. 

Commento a cura di don Marco Pozza.
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