don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 23 Ottobre 2022

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Si era già infilato le pantofole il fariseo. Come uno che, rientrato in casa dopo una giornata di lavoro, avverte nelle ossa d’aver fatto tutto ciò che doveva fare. Tante cose suggeritegli, encomiabili, gesti di eroismo quotidiano: «Digiuno due volte alla settimana, pago le decime di tutto quello che possiedo». Avverte, certe sere, i crampi per la troppa fame ma gratta nel barile della volontà e riesce a non mangiare come un maiale. In più paga anche l’IVA su tutto quello che commissiona o vende: non è da tutti dare a Cesare quello che è di Cesare.

Un uomo incensurabile: a che pro, dunque, far fare una figura barbina ad uno che, conti alla mano, onora Dio digiunando e lo Stato versando le tasse? Ha ragione: «Non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano». Se nessuno rispettasse le regole, il traffico stradale diventerebbe il caos più totale, e ognuno sarebbe in balìa delle auto altrui. Tra l’altro sale fin su nel tempio a pregare. Vuole trovare Dio, insomma: mica male come desiderio di un cuore. E lo trova pure Dio: non è difficile da trovarsi. Il fatto serio è un altro: che l’uomo ha (tanta) paura di essere trovato da Dio.

S’inizia sempre con buoni propositi: essendo fieri di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio. E poi, però, si comincia vantarsi di non essere come gli altri, dunque di costruirci un Dio a nostra immagine e somiglianza. Perché, da che mondo è mondo, non è possibile amar Dio sbeffeggiando i fratelli. È legge di famiglia: non è possibile amare la madre e il padre odiando i fratelli, le sorelle. L’amore fa cortocircuito.

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Sulle regole il fariseo è ferratissimo, addirittura irreprensibile: somiglia a quell’eschimese che vuol insegnare al beduino come comportarsi nel deserto in piena calura. Troppo indaffarato nell’osservanza delle regole, si è scordato che più un’anima è cristiana più si sente responsabile dei peccati del suo prossimo. Di quel peccatore che, al tempio, sta entrando dalla stessa porta attraverso cui è entrato lui, farfugliando a bassa voce: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». È un uomo che non si piace questo pubblicano, è uno che avverte la distanza che c’è tra colui che potrebbe diventare e colui che invece è.

È uno che al peccato non sempre sa opporre la giusta resistenza. La sua identità l’ha smascherata dal microfono il fariseo: forse ha rubato qualcosa a qualcuno, o forse è un uomo ingiusto, oppure è uno che è andato con donne che non siano la sua. Non dice nulla di nuovo, comunque, il fariseo che il pubblicano non pronunci con la sua voce: «(Sono) peccatore».

Ch’è come dire: “Signore, da solo non ce la faccio a rimettermi in piedi. Aiutami tu, se vorrai!” Magari non ha pagato tutte le tasse, il digiuno gli è difficile, non con tutte le regole è in regola: e lo dice subito. Forse è proprio questo il motivo per il quale è salito al tempio: non perché è perfetto ma perché sogna, un giorno, di diventarlo. In compagnia di Dio. Non lo preoccupa il male che ha fatto, ma nutre il forte desiderio di non persistere ancora a lungo in quel male. Perché questo è il peccato: far diventare il male uno stile di vita.

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Al pubblicano, forse, non è noto il concetto di “presunzione d’innocenza”: a casa sua vige soltanto la presunzione, l’innocenza no. «Questi (il pubblicano), a differenza dell’altro, tornò a casa giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Una vendetta divina per fare pesare il fatto d’aver giudicato frettolosamente un fratello? Non penso. Il motivo è che con il fariseo Cristoddìo non riesce a far nulla nel suo cuore: l’orgoglio l’ha reso impenetrabile persino a Lui, iniziando a preparare la catastrofe. Al contrario del pubblicano che, pieno di sbucciature, porta a Dio il suo “fare acqua” da tutte le parti. E Cristoddìo, come uno esperto in agguati, si infila attraverso queste fessure e riesce a ricucirle. Tornerà a peccare quest’uomo? Chi lo sa: la nostra fede non impedisce di peccare ma toglie al peccato la gioia amara che dona a chi lo commette. Non è poco, non sarebbe affatto male come (nostro) inizio.

Commento a cura di don Marco Pozza.
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