don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo del 10 Ottobre 2021

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Don Lucio D’Abbraccio

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Il Vangelo di questa domenica è diviso in tre parti: la vocazione del giovane ricco, il pericolo delle ricchezze e la ricompensa ai discepoli che hanno lasciato tutto.

L’evangelista, infatti, parla di un giovane ricco (di cui non specifica l’identità, in modo che ognuno di noi possa riconoscersi in lui) che incontra Gesù e gli chiede di indicargli la via per avere la vita eterna. La risposta del Maestro non si fa attendere: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Con questa risposta il Signore vuole far capire a questo giovane, e anche a noi, che seguire Lui chiede sempre un impegno, una decisione.

Se davvero vogliamo seguire Gesù, dobbiamo liberarci da tutte quelle cose materiali che non ci faranno mai felici. Per seguire il Signore non basta, quindi, osservare i comandamenti, ma occorre accogliere con generosità il suo Vangelo. Nulla dobbiamo anteporre a Cristo, né i beni che possediamo, né le nostre sicurezze. Per tale motivo questo giovane quando udì queste parole «si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». L’evangelista continua dicendo che «Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”» e conclude: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».

Queste parole di Gesù dovrebbero spaventarci come erano spaventati, stupefatti i discepoli. La vera ricchezza, quella che riempie il cuore e dà pace alla vita non consiste nell’accumulare, nel possedere, ma nel dare, nell’offrire, nel condividere. Purtroppo noi, figli di un mondo ricco, siamo tesi a prendere, ad avere, a ricevere! Seguire Gesù richiede una donazione totale. Per tale motivo alla domanda di Pietro «Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» Gesù risponde: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

A volte si pensa che la vita evangelica sia solo privazione. Così pensò anche il giovane ricco il quale non era stato capace di rinunciare a quanto possedeva. In verità, la scelta di seguire il Signore sopra ogni cosa è sommamente conveniente, non solo per salvare la propria anima nel futuro, ma anche per gustare «cento volte» di più su questa terra. Chiediamo al Signore lo spirito di sapienza, il solo che permette di distinguere davvero il bene dal male e quindi di non vivere nella stoltezza.

Il re Salomone ha collocato la sapienza al di sopra di ogni altra cosa, non gli onori, le ricchezze e, per questo, Dio gliel’ha concessa insieme a tutti gli altri beni (I Lettura). Questo dono è elargito da un’esistenza condotta nella fede, che ascolta la Parola di Dio che viene definita, nella Lettera agli Ebrei, con cinque elementi: viva, cioè ha la capacità di suscitare la vita nell’uomo; efficace, dinamica e attiva, che produce gli effetti che dichiara; tagliente e penetrante come la spada dei legionari romani affilata nelle due parti, che raggiunge, provocando dolore, l’anima umana; scruta, discerne e giudica il valore morale del cuore e dell’agire dell’uomo. Questa Parola rappresenta Dio stesso che si fa presente all’uomo (II Lettura).

Solo chi prende Dio sul serio, può essere certo di diventare povero perché, come diceva san Francesco d’Assisi: “La povertà consiste nel non far più caso al denaro che alla polvere della strada”.

Concludo invitando a far nostre le parole di san Basilio: “Che cosa risponderai a Dio, tu che vesti i muri e non vesti il tuo simile? Tu che ami il tuo cavallo e non hai uno sguardo per il tuo fratello in miseria? Tu che lasci marcire il tuo grano e non nutri chi ha fame?”.

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