Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 20 Novembre 2022

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La figura del Re è sempre collegata all’esercizio di un potere su un gruppo di persone, su una nazione, su un territorio. A lui vengono attribuite delle prerogative uniche, che possono essere caratterizzate dall’assolutezza, oppure costituzionalmente mitigate dagli organismi democratici. La regalità di Cristo è di tutt’altra natura.

Ce lo dice immediatamente la pagina evangelica scelta per questa solennità, tratta dai racconti della Passione nella versione di San Luca: per contemplare il senso della sua regalità dobbiamo guardare alla Croce. È certamente paradossale: come può essere il momento più drammatico e umiliante della sua esistenza, il momento della sconfitta umana, quello in cui Egli si manifesta come Re? Contemplando la Croce, in un bellissimo Inno liturgico, la Chiesa così ci fa cantare: “O albero fecondo e glorioso, ornato d’un manto regale, talamo, trono ed altare al corpo di Cristo Signore” (dalla liturgia).

La croce, dunque, è il trono del gran re. È lì che si è realizzato il suo innalzamento e la sua intronizzazione, nell’atto di donare la propria vita senza riserve. Nel Vangelo di Giovanni Gesù lo ha profeticamente annunciato quando, per descrivere il suo mistero pasquale, ha usato l’immagine del seme che muore e porta frutto: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire” (Gv 12,32-33). Ciò che per il mondo è sconfitta, nella prospettiva di Cristo è vittoria e glorificazione.

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La ragione di tutto questo si trova solo ed esclusivamente nell’amore. Tanti da Gesù si aspettavano e – tuttora si aspettano – un successo e una vittoria umana, politica, che abbia a che vedere con il potere dell’autoaffermazione. Chi attende questo, come coloro che a più riprese lo provocano a salvarsi, resteranno delusi. Cristo non vuole salvare se stesso, egli piuttosto vuole salvare noi, offrendosi senza riserve.

L’unico ad averlo ben compreso è il buon ladrone, colui che, consapevole della propria miseria e degli errori della propria esistenza, con un atto di fede e di umiltà, “ruba” la salvezza. Ha riconosciuto nell’innocenza di Cristo l’infinita generosità dal suo dono. Il Maestro, di fronte a questo atto di fede estremo e totale, lo salva. Il Re Crocifisso dona a quell’uomo la vita eterna nell’oggi della sua vita.

Così accade anche a ciascuno di noi, quando confidiamo totalmente nel suo amore, non rimandando a domani l’accoglienza del suo dono nella nostra vita. Quanto, come persone rivestite di una responsabilità sociale, familiare, ecclesiale, abbiamo da imparare dalla regalità di Cristo! Nella misura in cui superiamo la tendenza egoistica a salvare noi stessi, tanto più saremo capaci di seguire e incarnare questo potere crocifisso anche in noi.

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