Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 2 Ottobre 2022

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La fede è una stretta relazione con Dio

Questa domenica ci troviamo di fronte agli apostoli che chiedono a Gesù di aumentare la loro fede, e Gesù risponde in maniera paradossale: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe» (Lc 17,6).

La richiesta degli apostoli presuppone un concetto di quantità, ossia  di “aumentare” la fede: come se fosse qualcosa di cui poter parlare in termini di poco o molto, presupponendo che solo un’adeguata quantità possa permettere il verificarsi di determinate cose. Ora, un granello di senape è infinitesimale; e Gesù, identificando una quantità irrisoria, quasi invisibile a occhio nudo, sta dicendo ai discepoli che non ha senso parlare di fede in  quei termini.

Ma allora cos’è la fede? La fede è un rapporto, è una relazione e non esiste per se stessa. La fede è un atto, è fidarsi di Dio. Gesù sta dicendo che la fede non è un bagaglio funzionale solo se ha un certo peso, ma è un atto che va praticato, esercitato. O si esercita o non si esercita. La fede non ce l’abbiamo in tasca, non l’abbiamo per certa, poiché non è quantificabile; ma esercitabile sì e ti chiede sempre di crescere, ,di camminare. Al mattino ti svegli e devi entrare nella fede di oggi, che non è più quella di ieri. La fede che dà la vita nuova in Cristo, che fa pulsare nella nostra esistenza la natura dei figli di Dio non è qualcosa che si misura in chili e neppure un bagaglio di nozioni che recitiamo nel Credo, che contiene i dati fondamentali della nostro credere.  Io cammino “nella fede”, cioè cammino mentre sto in relazione con Dio; agisco “nella fede”, ossia agisco mentre vivo una relazione con Dio. Oppure non lo faccio restandomene fuori.

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Arriva poi il termine celeberrimo dei  “servi inutili”, dopo che hanno fatto il loro dovere.

È un concetto molto umile per cui nessuno è da ritenersi indispensabile, a prescindere dall’importanza e dalla quantità di lavoro svolto. Qui, però, va fatta una precisazione etimologica. “Inutile” in latino vuol dire una cosa un po’ diversa:  in-utilis è “colui che non ha utile”e il termine greco akreios indica qualcuno che non ha diritto al salario. Gesù conclude quindi invitando gli apostoli a dire “siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10), solo il loro dovere.

Si tratta allora di capire che la ricompensa della fede è la fede stessa; che non abbiamo nessun bisogno di essere pagati per vivere la vita della fede, perché è ricompensa a se stessa. La realtà di vivere le cose di Dio, di lavorare nella sua vigna è già salvezza e privilegio. Quante volte nella chiesa abbiamo prestato dei servizi e poi abbiamo fatto rimostranze chiedendo il conto, presentato i nostri diritti perché abbiamo lavorato. Agendo così non abbiamo ricevuto la vera ricompensa, perché la vogliamo dagli uomini, dai riconoscimenti, da questo mondo. La vera ricompensa è proprio il servizio che Dio ci dà da fare; è quella la nostra gioia, il nostro tesoro: lavorare nella vigna del Signore.

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Dio, certamente, ha diritto di chiederci dei servizi e di compiere una missione. La nostra ricompensa sarà di portarla a termine, perché le cose che Dio mi chiede sono i regali che mi fa; le cose che Dio mi chiede sono le sue grazie che mette nella mia vita.

La nostra ricompensa è essere contenti delle cose buone che abbiamo l’occasione di fare.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli