don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 2 Ottobre 2022

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Prosegue il nostro cammino liturgico. Domenica scorsa la liturgia ci ha permesso di confrontarci sull’esperienza del  ricco epulone e di Lazzaro (cfr Lc 16,19ss), e oggi, riprendendo dal versetto 5 del capitolo 17, affrontiamo il tema  della fede. Nel testo di Abacuc, scelto come prima lettura, troviamo la chiave di comprensione con la quale accostarci poi al testo evangelico: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua  fede”.

Di fronte agli sconvolgimenti della storia (siamo nel 625-612 a.C., l’impero assiro sta svanendo mentre si fa strada quello di  Babilonia) di fronte al venir meno di una certa sicurezza, il profeta Abacuc invita a non cedere, a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento, ma piuttosto a continuare – come risponderemo nella preghiera del salmo ad ascoltare la voce del Signore: a metterci in ginocchio davanti a Lui che ci ha creati… a Lui che ci guida… a non indurire il cuore ma a ripensare a quanto di grande Dio ha già operato per noi. La fede, dunque, chiede di essere alimentata  anche attraverso la memoria, ossia non ripiegandosi su se stessi, ma uscendo fuori da sé, fissando lo sguardo in  Colui che solo ci salva. 

Il commento continua dopo il video.

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5-6: «Gli apostoli dissero al Signore: 6“Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe».

Come già ricordato, il testo del vangelo segue quello di domenica scorsa dedicato al ricco epulone e al povero  Lazzaro. Come al tempo di Abacuc, i cambiamenti della storia e la conseguente incertezza creano difficoltà nei  discepoli, a tal punto da chiedere a Gesù di “aumentare in loro la fede. Gesù risponde a loro e a noi, rimandandoci all’immagine del chicco di senape, già indicato al capitolo 13,18ss di Luca, ma che in questo caso vorrei riprendere  nell’edizione di Marco: “Il regno di Dio… è come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più  piccolo di tutti i semi… ma quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante…” (cfr Mc 4,31). Basta  una fede “piccola” per spostare un gelso. L’esempio dell’albero non pare sia casuale: si tratta infatti di un albero di  grandi dimensioni e con radici particolarmente ramificate nel terreno. Basterebbe così poco, fa capire Gesù… per  fare grandi cose!  

La fede è un dono, che per quanto piccolo sia, se coltivato, mostrerà tutta la sua forza. Non è dunque un dono che  possiamo lasciare “dormire”, ma è come un talento (cfr Mt 25,14ss) da trafficare; è un’esperienza di amore/amicizia  da coltivare: “Ravviva il dono di Dio che è in te…” ricorda san Paolo nella II lettura a Timoteo. Ravviva questo dono  perché – dice san Paolo – “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza… Non vergognarti dunque di dare  testimonianza al Signore nostro…Soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito… 

Custodisci mediante lo Spirito… il bene prezioso che ti è stato affidato”. Parole ed esperienza che portano anche noi  a fare nostra l’invocazione umile e accorata dei discepoli: “Accresci in noi la fede!”. Se gli apostoli hanno chiesto  questo, capiamo bene che non dobbiamo certo preoccuparci o vergognarci se lo chiediamo anche noi! E’ la vita! Ci  sono e ci saranno sempre alti e bassi, letizie e fatiche nella fede: a noi non lasciarci scoraggiare e saper chiedere ciò  di cui abbiamo bisogno in quel determinato momento. Aumenta la mia e nostra fede, Signore!  

La fede è quindi un dono che chiede di farsi vita in noi in un processo di crescita e di maturazione in ogni momento  dell’esistenza. Ripensiamo a quando Gesù indicò la “grande fede” di alcuni suoi interlocutori: il centurione a Cafarnao (Lc 7,1-10); la donna giustificata (Lc 7,50); la guarigione della donna emorroissa (Lc 8,48). Esempi che fanno  intuire che la grandezza della fede non è nel fare grandi cose, ma nell’essere umili di fronte a Colui che tutto può. 

Nel non dimenticarsi di farsi piccoli come bambini; nel non stancarsi mai di stupirsi. Vivere secondo la fede significa  allora imparare a divenire consapevoli che si vive continuamente alla presenza del Signore e quanto facciamo lo  facciamo in Lui, con Lui e per Lui: in famiglia, al lavoro, nello studio, nel tempo libero… vivere alla presenza di Dio.  Solo così la fede non diventerà quell’ora domenicale in chiesa, ma un vivere in Presenza di Lui. Solo in questo modo riusciremo a sradicare i gelsi delle fatiche, dei dubbi, delle paure… Non ci sarà “gelso” che non potremo sradicare  in noi e attorno a noi, perché tutto diventerà Grazia, Dono.  

A questo punto vorrei soffermarmi un istante a guardare alle ultime domeniche quando la liturgia ci ha presentato:  la parabola del Padre misericordioso, nella quale siamo stati inviati a comprendere che Dio è un Padre misericordioso, sempre pronto a venirci incontro (XXIV domenica, 11 settembre); poi l’amministratore infedele, il quale con  “scaltrezza” condona i debitori del padrone pur di ingraziarsi la gente (XXV domenica, 18 settembre); domenica  scorsa la parabola di Lazzaro e del ricco epulone (XXVI domenica, 25 settembre).

Tre parabole, tre tasselli per aiutarci a comprendere che certamente seguire il Signore Gesù non è facile, comporta prendere la croce (cfr XXIII  domenica, 4 settembre), ma che Dio è buono, è paziente. Basta…crederci! Qualcuno potrebbe dire: “Ma è troppo  bello se Dio è così buono, così misericordioso, così paziente…”. Ma è così! Può sembrare una favola, ma non lo è!  A noi prendere Dio sul serio, a noi dare retta sul serio alla sua Parola. Perché troppo spesso non crediamo ai “miracoli” solo perché non crediamo in Dio! Eppure tutto è un miracolo! Tutta la vita è un miracolo! Basta crederci:  Aumenta Signore la nostra, la mia fede! Aiutami a capire che mi vuoi bene; aiutami a capire che credi in me; aiutami  a capire che sei misericordioso con me. Oh…è troppo bello per essere vero. Ma è vero! Perché Dio è fedele alla sua  

Parola, e quando dice, fa: “E Dio disse…e fu” (Gen 1). È troppo bello. Ma è così: aumenta la mia fede!

vv. 7-10: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni  subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi,  finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché  ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:  “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». 

In queste parole Gesù fa capire che non basta “aumentare la fede” se non teniamo conto che chi lavora nella vigna  del Signore, ossia chi vive per la fede in Dio, non può attendersi risultati e ricompense come nella logica umana. A  volte le difficoltà, le crisi, le incomprensioni nascono proprio perché si valutano i risultati con dinamiche umane,  ma non evangeliche. Essere “servi inutili” non significa che non si serve a nulla, ma che quanto facciamo lo si fa  senza utile, senza profitto, senza contraccambio, senza pretese. Lo si fa per il gusto di farlo per il Signore: Lui è la  ricompensa.

Ecco perché il credente, l’innamorato di Dio è felice comunque sia: non perché le cose vanno come  lui vorrebbe, ma perché comunque vadano le cose, il credente sa di essere in compagnia del Signore. Sa di essere  collaboratore di Dio. A volte anche amici e conoscenti sono portati a misurare le scelte dei credenti nella logica  umana, del profitto, dell’apparenza… ma non colgono che un’autentica vita cristiana sarà sempre vista come “uno  spreco” secondo la logica puramente razionale (pensiamo solo a Giuda di fronte allo spreco dell’olio versato sui piedi di Gesù!). 

Il commento al Vangelo di domenica 2 ottobre 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.