d. Giacomo Falco Brini – Commento al Vangelo di domenica 3 Luglio 2022

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IL SUCCESSO DELLA MISSIONE SOFFRE

Domenica scorsa dicevamo che con Gesù non è possibile ricevere assicurazioni su ogni nostro bisogno o evitare a tutti i costi i rischi della vita (che poi è la stessa cosa). Ma questo non significa che siamo lasciati allo sbaraglio. Anche se il vangelo di oggi, a un primo approccio, potrebbe far venire il sospetto del contrario. Mandare i propri discepoli come agnelli in mezzo ai lupi non suona come una proposta priva di senno? Quale pastore manderebbe i suoi agnelli tra i lupi? Non è condannarli a un suicidio collettivo? Conosciamo il linguaggio paradossale delle Scritture, cerchiamo di cogliere il senso delle istruzioni del Signore. Ma ricordiamoci che prima del suo “andate” c’è il “pregate”, particolare di non poco conto. Prima di tutto, perché prima di andare per il discepolo deve diventare naturale il pregare. Se la sua missione nasce dall’alto, dall’alto riceve la forza per compierla. Inoltre, come in ogni epoca (per non piangerci troppo addosso oggi…), bisogna sempre riflettere sul fatto che la messe è abbondante ma sono pochi gli operai! (Lc 10,2) Il che non significa che Gesù si indigni perché a messa vengono sempre più in pochi (!), ma che gli operai in missione saranno sempre pochi difronte alla immensa messe umana da raggiungere con il vangelo. Dunque la preghiera sia la prima occupazione del discepolo.

Come agnelli in mezzo ai lupi (Lc 10,4a) indica l’essere inviati in modalità divina. Infatti, è proprio di Dio l’essere agnello, mai lupo: la storia di Gesù è la cifra che ha scoperto definitivamente il suo essere, non dimentichiamo che è anche uno dei suoi titoli in tutto il nuovo testamento. Dunque i discepoli non possono che essere inviati come il proprio Maestro. Ma non si pensi che sia modalità dissennata. Colui che ci manda così è anche colui che nello stesso tempo, nella versione di Matteo, ci invita ad essere semplici come le colombe e prudenti come i serpenti (Mt 10,16). Insomma, il discepolo non è uno sprovveduto, né un ingenuo. È qualcuno che, fin dove e quando può, sa guardarsi dagli uomini per non soccombere, ma mai per ricorrere alle stesse maniere dei lupi. Piuttosto che cambiare pelle, accetta i morsi dei lupi per non perdere l’identità di agnello. Chi ha orecchi per intendere, intenda. E chi invece vuol continuare a vivere da lupo rapace in veste di pecora faccia pure (cfr. Mt 7,15).

Altre indicazioni di Gesù: andare verso gli uomini in povertà e sobrietà quale segno del discepolo che si appoggia unicamente alla bontà provvidente del suo Signore. Dunque non un uomo a cui mancheranno borsa, sacca e sandali, ma un uomo che non permette al suo spirito di preoccuparsene (Lc 10,4b). Sua unica occupazione è seguire/servire Gesù, sentendo addosso l’urgenza dell’annuncio di salvezza da portare agli altri, insieme alla sua pace (Lc 10,5-6). Per questo vivrà nella fiducia di trovare, prima o poi, una casa dove la pace di Cristo sarà accolta per riposare e far riposare il suo discepolo in tutto ciò di cui ha bisogno (Lc 10,6-8). Insomma, il discepolo cercherà sempre di trovare un ordine interiore tale da non fargli mai dimenticare che suo primo compito é portare agli uomini la vita nuova regalatagli, una vita che accetta anche il rifiuto di un’intera città (vedi quanto occorso a Gesù domenica scorsa), ma che si offre agli altri nella stessa modalità in cui si è ricevuta: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (cfr. Mt 10,8). Se si crea questo ordine interiore, allora la cura degli ammalati diventa, come fu per Gesù, il primo segno della vicinanza del Regno (Lc 10,9).

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Per il discepolo ci sarà sempre l’esperienza sia dell’accoglienza che del rifiuto. Le istruzioni di Gesù circa quest’ultima esperienza vanno intese bene, per non cadere in facili integralismi (Lc 10,10-12). Il gesto che il Signore ordina di fare pubblicamente in piazza non è di condanna o di altrettanto rifiuto verso la realtà cittadina che non accoglie il discepolo. Quest’ultimo sa già che l’annuncio che porta, urgente e necessario, avviene nella contraddizione, perché radicato in una Parola che può essere rifiutata in libertà. Il discepolo è un uomo della Parola, non di una propaganda. Anche qui, egli è chiamato a vivere il rifiuto degli altri come lo visse il suo Maestro. Il gesto indicato era quello dell’ebreo che, entrando nella terra promessa proveniente da una terra infedele, voleva lasciar fuori ogni impurità. L’applicazione che Gesù ne fa è per invitare il discepolo a un atto di denuncia che provoca un annuncio ulteriore estremo, non una minaccia: sappiate però che il regno di Dio è vicino (Lc 10,11). Non c’è niente in comune con chi ha rifiutato la pace, nemmeno la polvere della sua città che si attacca ai piedi: la gravità del rifiuto non va nascosta, eppure la perdizione di chi rifiuta si abbatte sul rifiutato. È il dramma di Gesù, ovvero dell’amore che non è amato. Il discepolo deve essergli simile, portando su di sé la ferita del male prodotto dal rifiuto. Diversamente, per il villaggio samaritano che lo rifiutò, avrebbe dato il via libera alla proposta di Giacomo e Giovanni. Invece li rimproverò. Quello che conta per il discepolo in missione, non è il successo a tutti i costi, ma trovarsi associato al destino del Maestro, come dice oggi Paolo nella 2a lettura: quel che conta è essere una nuova creatura e non aver altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo.


AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI