Commento al Vangelo del 23 luglio 2017 – mons. Vincenzo Paglia

19514745932_eaeae50df7_oAnche in questa domenica il Signore ci ha raccolti per condurci con lui verso Gerusalemme. È un viaggio diverso dainostri.

Non siamo noi infatti a stabilire la meta e neppure l’itinerario. Non siamo noi i maestri e i pastori di noi stessi. In questo viaggio, che nelle domeniche ha come delle tappe, è il Signore che sta davanti a noi.

È lui che guida i nostri passi, perché possiamo raggiungere la statura spirituale alla quale siamo chiamati. Domenica scorsa la liturgia ci ha fatti sostare accanto a quell’uomo mezzo morto ch’era stato abbandonato dal sacerdote e dal levita e ci ha mostrato nel buon samaritano l’immagine vera del cristiano. Oggi, quasi a voler creare un dittico nel descrivere l’identità del discepolo, viene aggiunta un’altra immagine, quella di Maria seduta ai piedi del maestro. L’evangelista Luca fa seguire immediatamente la scena di Marta e Maria a quella del buon samaritano. Volentieri ricordo un caro amico, Valdo Vinay, il quale amava ripetere che non era certo un caso la contiguità di questi due brani evangelici. Anzi, a suo parere, essi vanno letti sempre uniti, perché rappresentano il “dittico” dell’identità del cristiano, che deve essere, nello stesso tempo, buon samaritano e Maria.

In queste due immagini sono, infatti, rappresentate le due dimensioni inseparabili della vita evangelica: la carità e l’ascolto della parola. Il Vangelo non prevede gli esperti della carità da una parte e gli esperti della preghiera dall’altra. Ogni credente deve stare in ascolto di Gesù, come Maria, e nello stesso tempo deve curvarsi sull’uomo lasciato mezzo morto lungo la strada, come fece il samaritano. Non esiste opposizione, quindi, tra carità e preghiera, tra “vita attiva” e “vita contemplativa”. Quella che il Vangelo stigmatizza è piuttosto l’opposizione tra il tirar via e il fermarsi davanti a chi ha bisogno, tra l’essere presi totalmente dalle proprie cose e il lasciarsi trascinare dall’ascolto del Vangelo. È totalmente estranea al Vangelo quella contemplazione che ignora la pena quotidiana, come anche una vita presa tutta dai propri problemi e dai propri affanni.

Ma fermiamoci all’episodio evangelico di Marta e Maria. La loro casa si trovava in Betania, un sobborgo di Gerusalemme. Gesù amava fermarsi da loro: vi trovava calore e affetto. Di fronte alle gravi e difficili dispute che lo aspettavano a Gerusalemme e soprattutto di fronte all’ostilità sorda e cattiva che spesso vi riscontrava, si può comprendere quanto fosse consolante per lui trovare una casa ove essere accolto e dove poter riposare. E per lui, che non aveva neppure una pietra come guanciale ove posare il capo, quella casa era davvero un rifugio desiderato. L’amicizia di Lazzaro, di Marta e di Maria lo sosteneva nella sua faticosa missione evangelizzatrice. Di qui si può comprendere il pianto di Gesù di fronte alla morte dell’amico Lazzaro. Ebbene, in questa casa di Betania – ma non dovrebbe essere così per tutte le case dei discepoli? – sembra ripetersi la stupenda scena descritta nel libro della Genesi (18,1-10), propostaci in questa domenica come prima lettura.

Si tratta dell’episodio di Abramo che accoglie sotto la sua tenda tre pellegrini. A tutti noi è noto il capolavoro del santo pittore russo Rublev, che ha immortalato questa scena con i tre angeli raccolti attorno alla mensa preparata da Abramo. Il pittore russo aveva ben in mente quanto è scritto nella Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (13,2). Qui, a Betania, i tre, con la loro squisita ospitalità, hanno accolto l’angelo di Dio, il maestro di Nazareth. Si potrebbe dire che nella scena di Marta e Maria, che accolgono Gesù, si porta al suo culmine l’accoglienza di Abramo. Il Vangelo non vuole sminuire i gesti concreti di Marta: l’accoglienza è fatta anche di questo. Non vuole neppure fare delle due sorelle i simboli di due stati di vita. Il problema sta nella profondità dell’accoglienza. Marta è tutta presa dai molti servizi, preoccupata e agitata per molte cose, al punto da dimenticare il senso stesso di quello che stava facendo, ossia l’accoglienza a Gesù. Pure nella parabola del buon samaritano potremmo dire che il sacerdote e il levita sono talmente presi dai loro compiti, anche religiosi, che dimenticano l’essenziale del loro servizio, la compassione di Dio. Come sta scritto: “Misericordia voglio, non sacrifici” (Os 6,6).

Nel caso di Marta è talmente evidente il distorcimento dei fini che la donna, invece di pensare a Gesù con affetto e premura, si lascia prendere dai nervi nel vedere Maria seduta ad ascoltare e scatta verso Gesù rimproverandolo: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?” (v. 41). Gesù, con calma e affetto, le risponde che lei si agita e si preoccupa per troppe cose, mentre una sola è quella veramente necessaria: l’ascolto del maestro. Questa è la cosa migliore, perché cambia il cuore e la vita. Chi ascolta la Parola di Dio e la custodisce sarà un uomo e una donna di misericordia e di pace. Maria, vera discepola di Gesù, ha scelto questa parte, la migliore: il primato assoluto, nella propria vita, dell’ascolto di Gesù. Se lo ascolteremo, vivremo come lui e saremo salvi.

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XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 13, 24-43
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 16 – 22 Luglio 2017
  • Tempo Ordinario XV, Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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