Commento a Genesi 47-50

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Un’esistenza è completa quando benedice. Così ci insegna Genesi, che si conclude con le benedizioni del patriarca Israele/Giacobbe a figli e nipoti. A partire da Efraim, figlio minore del figlio Giuseppe.

Il nonno gli rovescia la sorte: parte dal secondo, invertendo la primogenitura. E così fa pure con i propri dodici figli: esautora il primogenito Ruben, mentre privilegia Giuda (al quale va lo scettro regale), l’ultimo nato Beniamino e soprattutto Giuseppe, che è l’erede della sua benedizione.

Giuseppe è degno della benedizione perché ancora prima di riceverla la vive: non porta alcun rancore contro i fratelli che lo vendettero come schiavo, ma anzi con il Signore è consapevole di aver trasformato quella disgrazia in una enorme benedizione, persino in favore di chi gli aveva fatto del male: «Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso». E così, con l’assicurazione del futuro Esodo, benedicendo fratelli, figli e nipoti, anche Giuseppe conclude in pienezza la sua vita terrena.

Come puoi essere benedizione per gli altri? Quale disgrazia che hai vissuto o che vivi puoi affidare alle mani del Signore per farla servire a un bene?

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A cura di Piotr Zygulski