p. Vincenzo Bonato – Qoèlet, Vite Affannate O Vite Riconciliate

659

Qoèlet

Vite Affannate O Vite Riconciliate?

Padre Vincenzo Bonato, monaco camaldolese di Verona

Vicenza, Centro “Mons. Arnoldo Onisto”, 04 marzo 2019 

Testo dell’intervento in sala

A. L’inquietudine della nostra vita

So che state riflettendo sul libro del Qoelet. Per me adesso non è importante riflettere sui contenuti del libro ma imparare dal suo metodo. Qoelet è un credente che vuole stabilire dei fondamenti sicuri a partire dai fatti della vita, non da teorie. È un autore che verifica alcune convinzioni diffuse dai sapienti e scarta quelle che non sono conformi alla sua esperienza. È un metodo di verità.

Di che cosa dovremo inquietarci

Riguardo alla verità, c’è una contraddizione da rivelare riguardo alla nostra umanità: da una parte vogliamo la verità; ne abbiamo bisogno; nessuno vuole vivere nell’inganno. Non possiamo convalidare un’opinione che consideriamo falsa, né operare qualcosa che determini un conflitto con la nostra coscienza. Vivere in contraddizione con la coscienza è una sofferenza acuta, insopportabile. Dall’altra parte, tendiamo a mascherarci, a tutelarci restando nella penombra.

La prima situazione è ben descritta nel salmo 32:

«3 Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre ruggivo tutto il giorno. 4 Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come nell’arsura estiva si inaridiva il mio vigore».

La seconda nel Salmo 36:

«2 Oracolo del peccato nel cuore del malvagio: non c’è paura di Dio davanti ai suoi occhi; 3 perché egli s’illude con se stesso, davanti ai suoi occhi, nel non trovare la sua colpa e odiarla».

L’uomo vuole la verità ma è una creatura piuttosto estranea ad essa. Essere veri (questo è il primo passo verso la pacificazione) è una conquista e non un dato di partenza. Nella tradizione ebraica si racconta che quando Dio ha creato l’uomo, l’angelo della verità si fece avanti, protestando, ed osò rimproverare Dio stesso: Perché hai creato un essere che è tutto menzogna?

Il vero problema per noi è un altro: uno strato profondo di noi stessi rimane impenetrabile alla nostra vista. In realtà non sappiamo conoscerci né valutarci. Questo dramma lo riscontriamo in Paolo:

«3A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, 4perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!» (1 Cor 4,3-4).

Non sappiamo quale sia il nostro valore al giudizio di Dio. Eppure noi siamo soltanto ciò che siamo agli occhi di Dio. Non rimane più nulla di noi, al di fuori di ciò che Egli approva. È ancora Paolo:

«Ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. 14Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. 15Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco» (1 Cor 3,11-15).

Concludo questa premessa con un testo di Geremia:

«9Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere?» (Ger 17,9-10).

Ecco di che cosa dovremmo preoccuparci. L’inquietudine e l’affanno della nostra vita scaturiscono dal profondo di noi, dal fatto che esso sfugge a noi stessi ed è difficilmente guaribile. La vera pacificazione l’otteniamo quando Dio compie in noi tutto ciò che gli piace e noi gli siamo graditi in tutto (Eb 13,21).

B. Come guarire?

1.  Accettare con fiducia il fallimento

Un rabbino lituano, Joseph Soloveitchck, [in Solitudine dell’uomo di fede] insegna che nel libro della Genesi compaiono due tipi d’uomo. Nel primo capitolo compare quello che lui chiama l’uomo maiestatico: questi è definito ad immagine di Dio, riceve l’incarico di dominare il cosmo, gode di compagnia (la donna è creata simultaneamente all’uomo); è un uomo attivo, proteso a dominare

l’ambiente; è un uomo di vaste relazioni perché, a motivo delle sue realizzazioni, riceve l’approvazione e il plauso. Il primo rappresenta l’uomo della cultura, della scienza e del progresso; l’uomo che confonde il legame della solidarietà con la semplice cortesia.

Nel secondo capitolo compare invece l’uomo fatto di terra. Questi vive in solitudine (la donna è creata soltanto in un secondo tempo); è un semplice custode del giardino non il suo dominatore. Soprattutto conosce il fallimento del peccato, a causa del quale entra in conflitto con la donna; risulta estraneo all’ambiente che gli si rivela ostile. Ora l’Adamo con cui Dio stringe Alleanza è questo uomo fatto di terra. Nella storia della salvezza si parla delle vicende di questo secondo Adamo.

Il cammino dell’uomo con Dio prende le mosse dal fallimento dell’uomo che può diventare anche il fallimento di Dio. Ciò viene ribadito dal salmo 30: «7 Ho detto, nella mia sicurezza: Mai potrò vacillare! 8 Nella tua bontà, o Signore, mi avevi posto sul mio monte sicuro; il tuo volto hai nascosto e lo spavento mi ha preso». Per stabilire un vero rapporto con Dio abbiamo bisogno di passare attraverso il nostro fallimento. Il Signore non può far nulla nell’uomo sicuro di sé e non ha nulla a che fare con chi condivide la presunzione testimoniata dal salmista: Ho detto, nella mia sicurezza: Mai potrò vacillare!

Da quando è stato proclamato che il Vangelo è l’annuncio dell’amore di Dio verso i malvagi e l’annuncio della giustificazione per grazia a loro beneficio, noi non dobbiamo diventare malvagi ma riconoscere che lo siamo già. Ecco un testo significativo di Isaia:

«5Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. 6…tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. 7Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani».

Israele scopre la paternità di Dio a partire dal fallimento dell’esilio. Non avremo mai vera pace finché non ci sentiremo peccatori, amati e accolti. Scrive don Mazzolari [in La più bella avventura. Sulla traccia del prodigo; EDB]: C’è Qualcuno che mi ama più di quanto io possa amare me stesso. In questo sta il nucleo del Vangelo e il fondamento della pace.

2.  Sottomissione a Dio 

Prendo spunto da un testo di Paolo:

«4Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù» (Fil 4,4-7).

In ogni circostanza… Nel greco c’è solo in ogni (en pantì). A che cosa possa alludere questo ogni, dobbiamo inviduarlo noi, esaminando la nostra vita. Ogni avvenimento può diventare angustia (merimna): sentirsi soffocare; sentirsi debilitati. Il vuoto di ogni circostanza può diventare il vaso che accoglie la pacificazione che viene da Dio.

Prossima all’esperienza dell’angustia, è quella prova che ci rovescia in modo totale. Il Dio del Vangelo non soltanto giustifica i malvagi ma risuscita i morti (Cf. Rm 4,24). Posso realmente conoscere la potenza di Dio capace di operare la resurrezione se non sperimento, se non sperimento che ciò che mi capita supera le mie forze? Testimonia Paolo:

«8Non vogliamo che ignoriate, fratelli, come la tribolazione, che ci è capitata in Asia, ci abbia colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, tanto che disperavamo perfino della nostra vita. 9Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte, perché non ponessimo fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte ci ha liberato e ci libererà… grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi» (2 Cor 1,8-10).

Aver verificato che nell’angustia posso provare una pace che supera ogni intelligenza (che non proviene da noi) ed aver provato che Dio opera in noi una vera risurrezione quando i casi della vita ci hanno sconvolti brutalmente, proprio tali esperienze dovrebbero infonderci il sentimento dell’abbandono in Dio. Dobbiamo imparare a pensare bene di Dio [e degli uomini]. Penso bene di Dio quando non pretendo di essere salvaguardato in ogni modo perché Egli può, liberamente, senza il mio consenso, decidere di farmi attraversare la valle oscura della morte. Salmo 23: «4 Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza».

Nella valle oscura, non vedo Dio ma sperimento le prove del suo accompagnamento, come se udissi il tocco del suo vincastro sulle mie spalle. In modo scandaloso per la nostra mentalità, la Bibbia non presenta un Dio che ci chiede soltanto ciò che, apparendo comprensibile anche a noi, risulta ragionevole a farsi; neppure è un Dio che garantisce sempre un lieto fine. Il credente della Bibbia non dice: dal momento che sei un Padre, mi troverò sempre salvaguardato. Dichiara piuttosto: dal momento che sei Padre, mi fido di te in qualsiasi evenienza.

Significativo a tale proposito è il rimprovero rivolto da Giuditta ai capi del popolo che avevano fissato una scadenza a Dio :

«Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo ai figli degli uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non comprenderete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non provocate l’ira del Signore, nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere dai nostri nemici. E voi non pretendete di ipotecare i piani del Signore, nostro Dio, perché Dio non è come un uomo a cui si possano fare minacce, né un figlio d’uomo su cui si possano esercitare pressioni» (Gdt 8,12-16).

Le parole di Maria rivolte ai servi di Cana riprende l’atteggiamento di fiducia di Giuditta: «Qualsiasi cosa vi chieda, fatela!» (Gv 2,5).

Non è possibile trovare pacificazione se non impariamo ad abbandonarci a Dio in ogni circostanza. Ecco che cosa propone un testo della tradizione spirituale:

«In verità, per giungere a Dio direttamente, con fiducia e purezza, senza impedimenti, liberamente e in pace, e per unirci a lui con animo pacificato, nella prosperità o nelle avversità, in vita o nella morte, allora dobbiamo rimettere ogni cosa alla sua indiscutibile e infallibile provvidenza, senza esitare e con risolutezza. Ciò non desta meraviglia, poiché Egli è il solo che conferisce a tutte le cose esistenza, potenza e azione… Come un’opera d’arte presuppone l’opera della natura, allo stesso modo l’opera della natura presuppone l’azione di Dio, che la crea, la sostiene, la ordina e la amministra, poiché solo a lui appartengono il potere, la sapienza e la bontà infinite… Nulla dunque può sussistere o agire in base alla propria capacità, se non agisce in virtù di Dio stesso, che è… la causa di ogni azione e Colui che agisce in ogni agente. Per quanto riguarda l’ordine delle cose, Dio provvede immediatamente a tutto, fino all’ultimo particolare: pertanto, niente, dalla cosa più grande alla più piccola, sfugge o si sottrae all’eterna provvidenza divina, sia che si tratti di circostanze dipendenti dalla volontà, dalla causalità, dal caso o dalle intenzioni. La divina provvidenza, dunque, si estende universalmente, finanche ai pensieri degli uomini. Su questo argomento si esprime anche la Scrittura, nella prima lettera di Pietro: gettate in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi (1 Pt 5,7). E di nuovo il Salmista: getta sul Signore il tuo affanno ed Egli ti darà sostegno (Sal 55,23). E nel Siracide: Considerate le generazioni passate e riflettete: chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? O chi ha perseverato nel suo timore e fu abbandonato? (Sir 2,10. E il Signore dice: Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? (Mt 6,31)… Quanto più forte e più veemente è la fede in Dio, si conseguirà e si otterrà ciò che si sperava…. si osservi che tutto è possibile a lui: ciò che Egli vuole è necessario che accada, mentre ciò che Egli non vuole è impossibile che abbia luogo…» (Alberto Magno (?), De adhaerendo Deo, XVI)

3.  Sottomissione al prossimo

Non è possibile ottenere la pace e una vita tranquilla se non accettiamo di sottometterci al prossimo. Il termine sottomissione ripugna alla nostra sensibilità attuale che cerca l’affermazione dei diritti. Quando Paolo introduce questa parola (non applicandola soltanto nei confronti della moglie verso il marito), ma consigliandola a tutti i cristiani, verso a tutti, indica uno stato d’animo e una scelta d’azione volontaria, sviluppata per amore. Non si sottomette realmente chi è costretto da altri a sottomettersi contro la sua volontà o chi non è capace di affermarsi. Questa virtù si esercita in varie forme: è un atto di generosità per favorire il prossimo, anche se immeritevole (Cf. Abramo favorisce Lot, Gen 13,8- 9; Davide risparmia Saul 1 Sam 24, 1-16); è rinuncia ad un diritto, se l’esercitarlo, scandalizza il fratello (Rm 14,15) o se apre ad una conflittualità lacerante (1 Cor 6,7). È la capacità a riconoscere come primo passo i propri errori nel caso di conflittualità (guardare la trave del proprio occhio cf. Lc 6,42). È rinuncia alla rivalsa rancorosa quando mi trovo, mio malgrado, a subire un maltrattamento (cf. 1 Pt 2,18). È obbedienza all’autorità della Chiesa (1 Pt 5,5) o della società (cf Rm 13,5).

In tutti casi il cristiano confida in Dio, come fece Gesù quando, mentre era perseguitato, rimetteva la sua causa a Colui che giudica con giustizia (cf. 1 Pt 2,23). In tutti questi casi chi tenta di difendersi da sè, prevaricando in parole o in atti, perde la difesa di Dio (2 Sm 16,5-14: la maledizione di Simei contro Davide).

4.  Purificazione del cuore

Torniamo a parlare di quel fondo sconosciuto della nostra persona. Esso contiene anche qualcosa di torbido. Non è possibile conoscere alcuna beatitudine senza possedere la carità, come non è possibile essere persone di carità senza purificare il cuore in continuità. In che cosa consista tale purificazione imprescindibile, ci viene suggerito da Paolo nell’elogio della carità. Paradossalmente noi possiamo fare opere estremamente positive, senza far caso alla motivazione che ci spinge ad operare e senza badare a chi siamo realmente noi che operiamo. Senza retta intenzione e senza vera conversione, tutto il nostro agire allora può ridursi al nulla. Dio la fa passare attraverso il fuoco e tutto viene incenerito. Infatti per essere persone d’amore non basta aver dato buona prova di sé in quelle costruzioni in cui brilla anche l’uomo mondano.

Possiamo essere una Chiesa maiestatica. Perfino il costruire, il legiferare, il produrre teologia possono ridursi ad azioni del dominio. Chi sei tu che operi tutto questo? Che cosa stai diventando? Emana da te il buon profumo di Cristo che è il suo amore?

«La mente che si riempie con la dolcezza della carità, non è angustiata dal timore, né macchiata dalla libidine, né dilaniata dall’ira, né gonfiata dalla superbia, non ridotta ad aria dal vacuo fumo della vanagloria; non resta esagitata dal furore, non trafitta dal pungolo dell’ambizione, non rattrappita dall’avarizia, non abbattuta dalla tristezza, non putrefatta dall’invidia» (Aelredo di Rievaulx, Lo Specchio della carità, I, 17, 50).

È fondamentale che non si smarrisca la sublime immagine di Cristo, che gli uomini possano sempre ammirare il fulgore di quell’amore che era apparso una volta nel mondo per non tramontare mai più, e senza del quale il mondo non è più nulla.

5.  Dialogo con Dio

Recuperiamo gli accenni alla preghiera richiamati in questo testo. Essa ci consente la conoscenza di noi stessi [ci avverte che vogliamo nasconderci (Sal 36) ma che desideriamo liberarci (Sal 32)]. Ci permette di conoscere la pace che supera la nostra capacità di autopacificarci (Filippesi 4). Coopera alla nostra liberazione nei casi di rischio (2 Cor).

La pace ci viene infusa dallo Spirito Santo e lo Spirito ci cuoce soprattutto

mediante la preghiera, ci abbronza come lo sa fare sole d’Agosto. La preghiera ha un unico scopo che è quello di farci assorbire i raggi dello Spirito Santo e l’attesa dell’orante deve essere la medesima del bagnante che si reca regolarmente in spiaggia per ricevere l’abbronzatura. Non è fondamentale ciò che faccio io; è fondamentale ciò che opera su di me la vampa del sole, ma per dargli questa possibilità, devo espormi regolarmente ed attendere.

Fonte (con PDF scaricabile)