Card. Gianfranco Ravasi – La pedagogia del bastone

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«O si impara l’educazione in casa propria o il mondo la insegna con la frusta e ci si può far male». Così si legge nel romanzo Tenera è la notte (1934) dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald. Proprio per evitare questo rischio, il sapiente biblico educa i figli-discepoli in modo severo, talvolta discutibile ai nostri occhi. È già da un paio di settimane che, in questa nostra rubrica dedicata ai giovani alla luce delle Sacre Scritture, riserviamo spazio all’educazione giovanile, complice un po’ questo periodo di inizio dell’anno scolastico.

Se sfogliamo il libro dei Proverbi, specchio della formazione dei figli secondo i saggi di Israele, ci imbattiamo ripetutamente in frasi di questo taglio: «Non risparmiare al ragazzo la correzione, perché se lo percuoti col bastone non morirà… La verga e la correzione danno sapienza perché il giovane lasciato a se stesso disonora sua madre… Chi risparmia il bastone odia suo figlio» (23,12; 29,17; 13,24). Alla base c’è la convinzione che essere esigenti nell’educazione è sostanzialmente un atto d’amore: «Chi ama suo figlio è pronto a correggerlo… Figlio mio, non aver a noia la correzione del Signore, perché egli corregge chi ama, come un padre fa col figlio prediletto… Correggi tuo figlio e ti darà serenità e ti procurerà consolazioni » (13,24; 3,11-12; 29,17).

Certo, c’è la consapevolezza che non si deve esagerare: «Correggi tuo figlio, perché c’è speranza, ma non lasciarti andare fino a farlo morire!» (19,18). Anche nelle prove della marcia nel deserto dall’Egitto fino alla terra promessa, il Signore fa soffrire Israele con la fame, ma gli offre poi la manna; lo fa camminare tra le pietre e i serpenti, ma «il tuo piede non si è gonfiato» e gli dona un antidoto ai morsi velenosi. Il principio generale è, quindi, chiaro: «Come un uomo corregge suo figlio, così il Signore tuo Dio corregge te» (si legga Deuteronomio 8,2-5). Significativo in questo equilibrio tra rigore e bontà è il monito di san Paolo agli Efesini: «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore… Ma voi, padri, non esasperate i vostri figli, bensì fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore» (6,1.4).

Già nell’antichità classica vigeva questo principio dell’educazione sostenuta dall’amore, come testimonia il commediografo latino Terenzio (II sec. a.C.): «Credo che sia meglio educare i figli facendo leva sulla comprensione e sull’indulgenza più che sul timore del castigo. Il dovere di un padre è abituare il figlio ad agire bene, spontaneamente, più che per timore degli altri: in questo differisce il padre dal padrone». Sta di fatto, però, che è difficile tenere sempre il crinale sottile tra severità e dolcezza. Ai nostri giorni si sconfina nel permessivismo pressoché totale, così come in passato dominava la durezza talora eccessiva della disciplina.

Bisogna, inoltre, riconoscere che anche l’educazione minimale nel senso tradizionale ed esteriore del termine – la cosiddetta “buona educazione” – si è ormai evaporata. Basta salire su un mezzo pubblico per assistere alla sguaiataggine nei comportamenti, al disprezzo dei deboli, all’ignoranza delle regole, alla brutalità nei confronti della cosa pubblica. Può essere, perciò, utile ritornare alla lettura – attualizzata – dell’insegnamento dei sapienti biblici e invocare, come faceva Alessandro Manzoni nel suo inno Pentecoste, lo Spirito Santo: «Tempra de’ baldi giovani / il confidente ingegno».

Fonte: Famiglia Cristiana