Aiuto alla Chiesa che Soffre – presentazione della XIª edizione del Rapporto sulla Libertà Religiosa nel mondo

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Dove è rispettata la libertà religiosa sono rispettati anche gli altri diritti fondamentali dell’uomo

Il Rapporto documenta con esempi circostanziati e testimonianze concrete la situazione in cui vige la libertà religiosa in tutto il mondo: dalla Svizzera alla Bosnia Erzegovina, dalla Tunisia all’Eritrea, dal Pakistan al Bahrein, offrendone un quadro il più possibile oggettivo, che prende in esame  le diverse religioni, confessioni e gruppi religiosi, senza privilegiarne alcuna. Come ogni anno, il Rapporto si basa sui contributi di un gruppo di ricercatori universitari e di giornalisti che hanno messo a disposizione il frutto delle proprie ricerche.

Ne emerge una fotografia che mostra che  nonostante la maggioranza dei Paesi preveda il rispetto della libertà religiosa a  livello della propria Costituzione, solo un quarto degli Stati riesce a garantirla ai propri cittadini anche nella realtà. In cima alla lista dei Paesi in assoluto meno tolleranti troviamo l’Arabia Saudita, il Pakistan e l’Iran. E in linea generale si può affermare che il minor rispetto del diritto alla libertà religiosa viga in Medio Oriente, nel Nord Africa, seguiti da Asia e regioni del Pacifico.

Ascolta la presentazione del Rapporto – via Radio Radicale

“I cristiani sono attualmente il gruppo che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della fede”. Benedetto XVI lo scriveva nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011, “Libertà religiosa, via per la pace”. E alla libertà religiosa ha dedicato quasi tutti i suoi interventi a carattere pubblico-diplomatico, facendone un leit-motiv del suo Pontificato. Eppure in molti Paesi del mondo la libertà religiosa è un’utopia lontana. In altri viene mascherata con la tolleranza religiosa, o viene ridotta alla semplice libertà di culto. E anche nei Paesi occidentali, nonostante un quadro generalmente positivo, si affacciano segnali di intolleranza verso le religioni. È la fotografia del Rapporto 2012 sulla Libertà Religiosa curata da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Un rapporto che sottolinea come le minacce alla libertà religiosa non accennano a diminuire. Anzi, sono in continuo aumento. Ma allo stesso tempo aumenta la consapevolezza che alcuni comportamenti sono contro la libertà umana.

Aiuto alla Chiesa che Soffre nasce nel 1947 da una intuizione di padre Werenfried, che in un articolo sulla rivista Toren (la Torre) esortò i belgi “a sostenere i nemici di ieri”, ovvero i 14 milioni di profughi tedeschi in fuga dalla nascente Germania Orientale. All’inizio si chiamava ”Aiuto ai sacerdoti dell’Est, poi “Aiuto alla Chiesa perseguitata”, infine aiuto alla Chiesa che soffre. Da dicembre 2011, Aiuto alla Chiesa che Soffre è fondazione di diritto pontificio. Nell’ultimo triennio ha distribuito aiuti per circa 195 milioni e mezzo di euro.

Il rapporto è una fotografia della libertà religiosa nel mondo, e non riguarda solo i cristiani. Sono 196 i Paesi presi in esame. E le maggiori preoccupazioni riguardano la Cina, alcune nazioni dell’Africa e i Paesi della cosiddetta Primavera Araba. Padre Samir Khalil, sacerdote gesuita, intervenuto alla presentazione del rapporto, ha fatto in particolare l’esempio dell’Egitto. “All’inizio – racconta – i giovani in piazza manifestavano uniti, copti e musulmani insieme. E i loro slogan ricordavano la rivoluzione del 1919 contro gli inglesi, che ha visto sacerdoti ed imam gli uni accanto agli altri in testa alla marcia per chiedere l’indipendenza con una bandiera segnata dalla mezzaluna e dalla croce, e che ha portato agli accordi anglo-egiziani del 1920 e finalmente all’indipendenza dell’Egitto nel 1922. Tutto questo si era ripetuto al Cairo nella piazza della Liberazione durante la ‘rivoluzione del 25 gennaio’ 2011. I cristiani formavano perfino una catena umana per difendere i musulmani dall’esercito durante la preghiera del venerdì, e viceversa la domenica quando erano i cristiani a pregare. Dopo la caduta di Mubarak però il numero dei fondamentalisti ha iniziato ad aumentare. A questo punto i giovani hanno manifestato per ribadire che il fine ultimo della rivoluzione era una cittadinanza laica e uguale per tutti, chiedendo di poter vivere la propria fede liberamente e senza imposizioni”.

È un po’ il modo in cui è nata la deriva fondamentalista in molti Paesi. Addirittura in Egitto – ricorda padre Samir – lo scorso 2 ottobre “due bambini copti analfabeti, di 8 e 10 anni,Mina Nadi Faraj e Nabil Naji Rizq, nel villaggio di Ezbat Marqos, nella provincia di Beni Suef (nell’Alto Egitto), sono stati arrestati con l’accusa di aver urinato su dei fogli di carta sui quali erano scritti dei versetti del Corano. E ciò in nome di una legge anti-blasfemia che non esiste e di cui  non si è mai parlato. Il 4 ottobre, su richiesta dell’avvocato Naguib Guebrail, presentata al presidente Mohammad Morsi tramite il suo assistente copto, Samir Morcos, è stata data istruzione al procuratore generale di liberare i due bambini”.

Particolare la situazione in Siria – il Papa invierà a Damasco una delegazione del sinodo – dove il popolo cristiano era favorevole alla ribellione, mentre la Chiesa sosteneva che per quanto dittatoriale il regime garantisse sicurezza ai fedeli. Un paradosso, forse, che però ha funzionato. La primavera araba si è rivelata per i cristiani un inverno, costretti a moltiplicare l’esodo nascosto dalle loro terre.

Che fare? Sostiene Francesco Maria Greco, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede – anche lui intervenendo alla presentazione del rapporto – che “la democrazia non è un valore in sé, e si è visto nelle primavere arabe. Prima i popoli devono avere consapevolezza di quello che sono i diritti umani, e solo quando raggiungeranno quella consapevolezza possono essere in grado di votare”. La Santa Sede sembra muoversi su una linea differente. Più volte dal Vaticano si è sottolineato il valore della democrazia: basta segnalare un intervento del segretario per i rapporti con gli Stati vaticano Dominique Mamberti – il quale aveva valorizzato la democrazia, che significa sempre “partecipazione e responsabilità, diritti e doveri” – e un altro del segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso Miguel Anguel Ayuso Guixot, il quale ad una conferenza internazionale su “Risveglio Arabo e pace in Medioriente” aveva salutato le prime elezioni nei paesi della primavera araba come un “risultato della democrazia”, e aveva esortato a “dare seguito” all’impegno elettorale, sviluppando e allevando la cultura della democrazia, senza comunque dimenticare “il pericolo che la democrazia può essere potenzialmente usata per legittimare estremisti e ideologie fondamentaliste”.

Non è però un rapporto a sole tinte fosche. Sottolinea anche la sensibilità dell’opinione pubblica riguardo il problema della libertà religiosa, ricorda gli interventi legislativi di vari stati europei e l’impegno mostrato da alcuni parlamenti nazionali (italiano, belga e tedesco) nonché dal Parlamento europeo. Sul piano legislativo “si riscontrano passi in avanti”. Ma non è così per quanto “riguarda alle violenze e alla persecuzione. Perché le minacce alla libertà religiosa non accennano a diminuire”.

Da parte sua, l’ambasciatore Greco ha rivendicato il grande impegno dell’Italia in favore della libertà religiosa, e apprezzato la presenza internazionale della Santa Sede sul tema, sostenendo che in passato forse era stata “timida” sul tema della cristianofobia, per una sorta di “delicatezza diplomatica”. In realtà, il messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace 2011 ha dimostrato un chiaro cambio di paradigma della Santa Sede. Focalizzandosi sulla libertà religiosa per ogni essere umano, la Santa Sede spazza via il collettivismo (espresso dalle varie “fobie” delle organizzazioni internazionali: islamofobia, cristianofobia, omofobia) e l’individualismo. Perché la Santa Sede vuole che le comunità siano protette, e non proteggere le idee delle comunità.

I dati del rapporto. Riflettori puntati sulla Nigeria, dove sono proliferati i gruppi islamici (anche se si discute moltosulle origini di questi gruppi) e dove le violenze contro i cristiani avvengono ormai ogni domenica. Dal 1999 alla fine del 2011 sono stati 14 mila i nigeriani uccisi da violenze a sfondo religioso. E lo scorso anno, nella sola settimana di aprile successiva alle elezioni presidenziali del giorno 16, almeno 800 persone sono rimaste uccise e 65 mila hanno dovuto abbandonare le proprie case.

Poi, c’è la lunghissima la lista degli attacchi alle minoranze in India e “l’anno terribile” per il Pakistan. “Dopo l’omicidio a gennaio del governatore del Punjab, Salman Taseer, il 2 marzo viene ucciso il ministro federale per le Minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti”. Nessuna modifica è stata apportata alla legge anti-blasfemia, a causa della quale nel 2011 sarebbero state almeno 161 le persone incriminate e 9 quelle uccise con esecuzioni extra-giudiziali. Desta speranza, però, il caso di Rimsha Masih, che sembra aver fatto aprire gli occhi a molti, anche sul versante islamico.

Problema Cina. Nel 2011, il governo è stato più duro nei confronti delle religioni, forse a causa del crescente religioso riscontrato nel Paese. E così, la lunga lista degli arresti è fatta di cristiani (cattolici e protestanti), islamici e buddisti (tibetani). Pechino ha anche inasprito i rapporti con la Santa Sede, disponendo nuove ordinazioni episcopali illecite. Sono inoltre numerosi i casi di arresti, torture e “rieducazioni tramite il lavoro” subiti da chi, fedele al Papa, rifiuta di aderire all’Associazione Patriottica.

Sono tutti dati che raccontano di come c’è ancora bisogno di combattere per la libertà religiosa nel mondo, il “diritto dei diritti”, come lo ha definito mons. Mamberti in un recente intervento all’assemblea generale dell’Onu.