BREVE COMPENDIO DELLA VITA DI S. RITA
Perché tu possa venerare con sempre magÂgior devozione, invocare con sempre magÂgior fiducia e imitare con sempre maggiore impegno santa Rita, ho creduto opportuno mettere in principio di questo piccolo maÂnuale di pietà un cenno della Sua mirabile vita.
I — NASCITA
Santa Rita, decoro della verde e mistica Umbria, gloria fulgidissima dell’Ordine agoÂstiniano e della diocesi Nursina, nacque nel 1381 in Roccaporena di Cascia, piccolo villagÂgio situato in una meravigliosa chiostra di monti lungo la vallata del Corno a circa un’ora e mezzo di cammino dal capoluogo.
I suoi genitori, Antonio Mancini ed Amata Ferri, poveri di averi ma ricchi di virtù, eraÂno molto stimati dai conterranei che si riÂvolgevano a loro ogni qualvolta vi era da comporre una lite, cosa abbastanza frequente in quei tempi assai turbolenti.
Privi di prole per molti anni, avevano acÂcolto questa bambina come un dono del cieÂlo e Dio l’aveva loro concessa per esaudire le loro incessanti; preghiere e per premiare la loro bontà .
Per un’interna ispirazione o, come vuole la tradizione, per un ordine ricevuto dall’alto le imposero al fonte battesimale il nome di Margherita quasi a presagire la preziosità dei suoi meriti e il candore della sua anima, ma con l’uso venne accorciato, come suole accadere, in quello di Rita.
II — ALBORI DI SANTITÀ
La madre era meravigliata vedendo che la sua cara figlioletta non prendeva latte più di tre volte al giorno e se ne asteneva affatto nel venerdì; segni rivelatori di quella morÂtificazione e di quell’amore alla Passione di Gesù, che ¡’avrebbero accompagnata in tutÂta la vita.
Un giorno i genitori l’avevano adagiata in un canestro di vimini e poco lontano da esÂsa se ne stavano lavorando il loro campo. Mentre levava le sue manine verso il cielo e sorrideva con gli angeli, api misteriose dal colore bianchiccio depongono nella sua bocÂcuccia di rosa un miele soavissimo forse ad indicare la sua eroica dolcezza, che avrebÂbe ammansito e attirato al Signore anime superbe e colleriche. In quel frattempo un mietitore, che passava di lì per andare a medicarsi una profonda ferita, temendo che quelle api la pungessero si sforzò di allontanarle, ma con sua grande meraviglia e conÂsolazione, condivisa poi dai genitori di Rita e da quanti conobbero il prodigio, risconÂtrò intatto il viso della bambina e la ferita del suo braccio perfettamente risanata. CreÂdo che i testimoni del fatto avranno ripetuto in cuor loro le parole dei parenti e dei conoscenti alla nascita del Battista: Chi saÂrà dunque questa bambina giacché vediamo che con lei è la mano di Dio?
Cosi cominciava Rita la sua potenza taumaturga in aiuto dì coloro che soffrono.
III — PRIMI PROFUMI DI PIETÀ
Crebbe docile e pia, specialmente dopo il suo primo amplesso con Gesù. I futili traÂstulli non l’attraevano ma trovava le sue deliÂzie nel raccoglimento e nella preghiera; e quando la madre (anche quelle buone talora con le figliuole perdono il giudizio) volle a – domarla con veste troppo appariscente ella, tremebonda per il suo candore, con deferenÂza sì ma con fermezza vi si oppose.
Il tempo libero dalle faccende domestiche, alle quali accudiva con prontezza e diligenÂza, lo passava in un cantuccio appartato delÂla casa meditando i misteri dolorosi del suo caro appassionato Signore, verso il quale si sentiva sempre più attratta fino a concepire il desiderio di consacrarsi interamente a lui nella solitudine del chiostro.
In seguito le parve che quel nascondiglio non fosse abbastanza raccolto e allora coÂminciò le sue ascese alla vetta dello Scoglio che si eleva granitica piramide in mezzo a quella corona di monti; e lassù, inginocchiaÂta sul nudo sasso, che conserva ancora le orme del suo corpo, levava la sua anima a Dio. Su queiraltura le appariva sempre più chiara la piccolezza delle cose, terrene, senÂtiva sempre più viva la nostalgia, del cielo e attirava sopra di sé e sopra il suo paesello le benedizioni del Signore.
E i paesani, vedendola così pia, umile, mortificata e caritatevole, ne invidiavano i fortunati genitori e l’additavano come esemÂpio alle loro figliuole; ed esse stando con lei e ascoltando i suoi amichevoli e saggi consigli si sentivano attratte verso il bene. Tanto può Tapostolato della parola quando è unito a quello di una vita esemplare.
IV — SPOSA E MADRE
Mentre Rita sospirava il ritiro nel chioÂstro come la colomba il rifugio nei forami delle pietre, Antonio ed Amata avevano poÂsto rocchio su di un giovane, Paolo di FerdiÂnando, che l’aveva chiesta in isposa, ed era sembrato a loro un buon partito per la loro cara figliuola. Ai suoi desideri della vita clauÂstrale seppero essi opporre così bene le loro ragioni che Rita, dubbiosa dello stato a cui la chiamava il Signore, raddoppiò le sue preÂghiere e le sue penitenze per ottenere che Dio le facesse conoscere la sua volontà . Se la noÂstra gioventù la imitasse, quanti meno sbagli si farebbero nella scelta dello stato e con quanta maggiore preparazione si entrerebbe nella via, alla quale chiama il Signore.
A chi umilmente la domanda Dio non riÂcusa la sua luce. Rita, destinata dalla divina provvidenza a modello d’ogni stato di vita, riconobbe in quella dei genitori la voce di Dio e, offrendo a lui l’olocausto del più arÂdente desiderio, con ima vita pura e con oraÂzioni e digiuni (imparino le giovani) si preÂparò al Sacramento grande, che simboleggia l’unione di Cristo con la sua Chiesa, e dinanÂzi all’altare si legò indissolubilmente a PaoÂlo di Ferdinando come al compagno provviÂdenziale della sua vita.
Frutto di un amore puro benedetto da Dio, nacquero due figli, Giangiacomo e Paolo MaÂria. Rita li accolse non come un peso indesiderato ma come un regalo della divina bonÂtà . Madre fervidamente cristiana li nutrì nel corpo col suo latte e con la sua fatica e nell’anima con la sua pietà ; e alla scuola dei suoi solidi insegnamenti, convalidati (lo intendano i genitori) da una vita edificante, i due fanciulli crebbero innocenti e timorati di Dio.
V — PAZIENZA VITTORIOSA
L’uomo, che Antonio ed Amata avevano creduto un ottimo sposo per la loro Rita, si manifestò presto diverso da quello che appariva.
Poco amante delle pareti domestiche, traÂscurato verso la sposa ed i figli, collerico e violento, non contento d’oltraggiarla con le parole giunse più volte a percuoterla. Rita (e qui imparino tante spose) non lo malediÂceva ma pregava per lui; non gli rispondeÂva rabbiosamente ma soffriva in silenzio; non lo fuggiva disgustata ma gli si mostraÂva docile ed amorosa; non lo ripagava con la medesima moneta ma studiava ogni dì nuovi modi per farlo contento. I maltrattaÂmenti sopportati da Gesù erano la sua forza e la sua consolazione in quegli anni di vero martirio.
E la sua pazienza trionfò.
Paolo di Ferdinando riconobbe a poco a poco i suoi torti, capì quale tesoro di sposa gli aveva dato il Signore, si pentì dei suoi falli e vincendo il suo carattere impetuoso divenne mansueto ed affabile.
Nella casa di Rita alle scandalose scenate era subentrata la pace; pareva vi fosse peÂnetrato un raggio di sole e un profumo simiÂle a quello delle rose che ella coltivava con tanto amore nel suo piccolo orto.
VI — DELITTO E PERDONO
Ma la gioia e la felicità non durano a lungo su questa terra, dove le rose non sono mai senza spine mentre abbondano le spine senza le rose. Ed è bene che sia così, altriÂmenti ci si attaccherebbe troppo alle cose caÂduche di questo misero mondo e non ci daÂremmo pensiero di guadagnarci il Paradiso.
Una melanconica sera di novembre Paolo tornava da Cascia dove era andato per alÂcuni suoi affari. Giunto sotto Collegiacone (era già calata la notte, resa più buia da una nebbia assai folta) fu improvvisamente asÂsalito da uomini mascherati. Invano egli inÂvocò «pietà e misericordia per Iddio Signor nostro», invano si raccomandava per la spoÂsa ed i figli. Lampeggiarono i pugnali contro di lui, che non portava alcuna arma. «Mio Dio, muoio!» furono le sue ultime parole.
Un contadino, passando più tardi con in mano una lanterna, scoprì il cadavere, lo riconobbe e corse a dame il triste annunzio a Roccaporena.
Rita, quasi presaga di una grave disgrazia, quella sera non si sentiva tranquilla ed aveÂva provato il bisogno d’inginocchiarsi e preÂgare. Dopo qualche ora vennero a bussare alla sua porta; con pietose menzogne cercaÂrono di nasconderle tutta la cruda realtà ; ma essa intuì; prese i figli che piangevano perché vedevano piangere la madre e in caÂpo alla comitiva giunse sul luogo del delitto.
Scena straziante. Rita, che aveva sperato r almeno di trovarlo ancora vivo, non poté che abbracciarne il cadavere. Nel sommo delÂl’angoscia si strinse al seno i due orfanelli,
li raccomandò al Padre celeste giacché non avevano più padre sulla terra e insieme con loro invocò la pace eterna per l’amato suo Paolo. Non serbò rancore per gli assassini, di cui venne a conoscere il nome, ma prima in cuor suo e poi con atto pubblico li perÂdonò per amore del suo Gesù crocifisso, che sulla croce morì perdonando.
Donna veramente forte, poiché nel perdoÂno e non nella vendetta sta il vero eroismo; donna veramente santa perché uniformata alla volontà di Dio nel momento terribile di un acerbo dolore.
VII — IL VERO AMORE MATERNO
Giangiacomo e Paolo Maria, fatti ormai grandicelli, eccitati forse da chi (e se ne troÂvano sempre) vuol mettere il naso, e non sempre a fin di bene, nelle cose degli altri, meditavano di nascosto propositi di vendetÂta. Ma che può sfuggire ad una madre accorÂta e vigilante come Rita?
Vedendo che né le sue esortazioni né le sue lacrime riuscivano ad allontanare dalla loro mente quel sogno di sangue, rivolta a Crocifisso, che teneva nella sua camera: «0 Gesù, disse gemendo, o piegate l’animo dei miei figli o fateli morire e attirateli a voi mentre sono ancora innocenti».
Preghiera crudele? No, atto di vero amore materno, che ad un prolungamento dannoso della vita terrena preferisce per i figli il beÂne infinitamente più grande della vita eterÂna. Così pregava Bianca di Castiglia quando, tenendo sulle ginocchia il suo piccolo Luigi, gli diceva: piuttosto che vederti macchiato di peccato, preferirei vederti morto.
Il Signore esaudì la domanda di Rita e dentro lo spazio di un anno i due figlioli, l’un dopo l’altro, se ne volarono al cielo.
VIII — INGRESSO MIRACOLOSO NEL MONASTERO
Libera ormai dai legami del sangue Rita ritorna volentieri ai primi pensieri della sua giovinezza.
Raddoppia le penitenze, gli atti di carità e le ore di profonda orazione in chiesa diÂnanzi al divin Tabernacolo e nella solitudine dell’amato suo Scoglio; e chiede a Gesù che, passando sopra alla sua indegnità , racÂcolga misericordioso come sua sposa nel moÂnastero di S. Maria Maddalena in Cascia.
Vedendo per due volte opposto un rifiuto alla sua domanda, perché la Regola non amÂmetteva l’ingresso alle vedove, ricorse ai suoi Santi Patroni Giovanni il Battista, il grande Dottore S. Agostino e il taumaturgo Niccolò da Tolentino; ed essi ima notte di maggio dell’anno 1416 ravvolgono in una nube d’arÂgento, la introducono a porte chiuse nel chioÂstro e la lasciano nel coro al posto delle NoÂvizie, ,
Immaginarsi lo stupore della Madre Ab- badessa e di tutte le suore quando, andate al mattino alla recita dell’Uffizio, trovarono Rita in devoto atteggiamento di preghiera! Fatte le debite indagini, dovettero ammetteÂre come vero l’umile e semplice racconto di Rita; e vedendo in tutto questo il chiaro suggello della divina volontà , l’accettarono ammirate e festanti per loro consorella.
IX — A PASSI DI GIGANTE PER LA VIA DELLA PERFEZIONE
Grata a Dio che in un modo così prodigioÂso aveva appagato i suoi voti, Rita si studiò di corrispondere generosamente alla santa vocazione incamminandosi con maggiore alaÂcrità per la via della santità .
Si distinse in modo particolare nell’umilÂtà , che ne e il fondamento, e ritenendosi inÂferiore alle altre monache sceglieva per sé gli uffici più bassi e le vesti più povere e volle abitare in una delle celle più anguste.
Aumentò le sue mortificazioni. Dormiva spesso sulla nuda terra e lacerava il suo corÂpo con un crudo cilizio e con una tunica inÂtessuta di spine.
Mirabile fu pure la sua obbedienza £ Dio volle premiarla con un prodigio. Avendole orÂdinato la superiora, per provarla, d’innaffiaÂre mattina e sera un palo secco piantato nelÂl’orto, ella ne eseguì puntualmente il comanÂdo e alla primavera il palo secco mise le gemme e venne fuori la bella e robusta vite, che ancora dopo tanti secoli si può ammiraÂre protetta nel fusto da una gabbia di ferro; essa, ogni anno, senza essere medicata come le altre, si adorna di pampini e di belÂlissimi grappoli d’un gustoso sapore. Così volle manifestare il Signore quanto gli sia grata la virtù dell’obbedienza e quanto siano numerosi e soavi i frutti, che essa produce nelle anime.
La sua devozione più cara rimase sempre quella verso la Passione di Gesù. La meditaÂzione sui Misteri dolorosi l’assorbiva talmenÂte che talora vi passava le intere notti e non rare volte le consorelle la trovavano sfinita dal dolore e dal pianto o rapita fuori di sé e sollevata mirabilmente da terra.
X — IL DONO DELLA SPINA
Più volte Rita aveva chiesto al Signore di esser messa a parte dei dolori da lui sofferti per noi. Un giorno mentre rinnovava più arÂdentemente questa domanda innanzi ad una immagine del Crocifisso, si staccò ima spina dalla sua corona e andò a conficcarsi sulla fronte di Rita causandole una dolorosa e feÂtida piaga, che, rimarginatasi solo per darle la possibilità d’andare a Roma con le altre consorelle per lucrare il S. Giubileo nel 1450, l’accompagnò fino alla morte.
Rita, non solo la sopportò sempre pazienÂtemente ma l’amò come ima gemma prezioÂsa del suo Sposo divino. Quanto lontani dalÂla sua virtù siamo noi che al più piccolo saÂcrificio ci lamentiamo della bontà del SiÂgnore!
XI — LA RÒSA BOCCIATA E I FICHI MATURATI NEL PIENO INVERNO
Nel cuor dell’inverno del 1457, mentre Rita giaceva nel suo lettuccio estenuata di forze per le penitenze e il dolore della sua piaga, venne a visitarla una sua parente da Roccaporena; ed avendole domandato se aveva bisogno di qualche cosa, Rita rispose che desiderava quell’unica rosa che era sbocciaÂta nel piccolo giardino della sua casa. Si credé che ella delirasse. Com’era infatti posÂsibile che fiorisse una rosa in mezzo alle neÂvi ed al gelo? Tornò la donna a Roccaporena e quale non fu la sua meraviglia, quando enÂtrata per curiosità nell’orto di Rita vide sul
più alto stelo del roseto una rosa rubiconda, che spiccava bellamente tra il bianco lenzuoÂlo che ricopriva il terreno! La colse con maÂno tremante dalla commozione e corse a deÂporla nelle mani dell’inferma, che odoratala ringraziò il Signore di questo conforto. Poi rivolta alla parente continuò: «Voi che siete stata così buona da portarmi la ‘rosa, recateÂmi ora, ve ne prego, quei fichi, che Dio ha fatto maturare per me nel mio medesimo orto». Questa volta la donna non ebbe esitazione, corse al paese, entrò nell’orto, colse i due fichi prodigiosi e corse nuovamente al letto di Rita. Così in mèzzo alle pene, Dio, Padre amoroso, non nega ai suoi servi, preludio delÂiri gioie eterne, anche qualche umano sollievo.
XII — TRAMONTO SERENO
L’inverno se ne andava coi primi tepori di primavera, più lenti a venire sulle nostre montagne, ed anche per Rita stava per finiÂre l’inverno della vita presente e si avvicinaÂva l’eterna primavera dei cieli.
Ormai non viveva, si può dire, che del Pane eucaristico e il suo spirito si ricreava nelle frequenti sovrumane visioni. In una di esse le apparve Gesù assiso sopra un trono luminoso, con a lato la sua SS. Madre, e le disse: «Rita, consolati; fra tre giorni sarai in Paradiso». Esultò a quell’annunzio di sanÂta allegrezza e andò incontro alla morte coÂme ad una festa solenne. Con serenità di volto e di spirito e con una commovente pieÂtà ricevé gli ultimi Sacramenti circondata dalle consorelle, che pregavamo e piangevaÂno. Poi incrociò le braccia, chinò il capo coÂme a dare l’assenso ad un invito, sorrise beaÂta e soavemente spirò. Era il 22 maggio 1457. Rita aveva 76 anni.
Com’è bella è preziosa la morte dei santi! Imitiamoli nella vita e sarà tranquillo e gioÂioso anche il nostro tramonto.
XIII — AUREOLA DI GLORIA
Appena si diffuse per Cascia e nei paesi vicini la notizia della morte di Rita, annunÂziata anche dal suono festivo delle campane prodigiosamente suonate, fu un accorrere continuo di persone di ogni ceto e condizione a venerare la salma, dalla quale si diffuÂse per tutto il monastero una fragranza di paradiso.
Rita appariva circonfusa di sovrumana belÂlezza e la piaga della sua fronte, cancrenosa e fetente, parve prendere la forma di un rilucente rubino.
Venne anche la parente che le aveva porÂtato la rosa ed i fichi nel rigor dell’inverno e il suo braccio paralizzato ritornò agile e sano tosto che ella nella foga dell’affetto cercò d’abbracciare quel corpo olezzante.
Quantunque esso si mantenesse intatto e flessibile, si dovette pensare a, rinchiuderlo.
Se fossi libero, disse un falegname che si trovava in mezzo alla folla e che aveva le mani rattrappite, farei io volentieri la cassa. Non aveva terminato di pronunciare queste parole che le mani gli si aprirono ed egli pieno di riconoscenza si attinse subito all’opera.
Vedendo le attestazioni che della santità di Rita si facevamo da Dio e dagli uomini, Urbano VIII nel 1627 la dichiarò Beata e concesse, a tutta la diocesi Spoletina (che allora comprendeva anche quella di NorÂcia) e ai Religiosi e Religiose dell’Ordine di S. Agostino di celebrare in suo onore l’Ufficio e la Messa ai 22 di maggio.
Continuando e moltiplicandosi i miracoli operati da Dio per sua intercessione, il 24 maggio dell’anno 1900 (festa dell’AscensioÂne) Leone XIII nella maestà del rito e nelÂlo splendore dell’apparato alla presenza di Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, Abati e SuÂperiori di Ordini, col suo infallibile oracolo la ascrisse nel catalogo dei santi, insieme a San Giovanni Battista de La Salle, chiamanÂdola, nell’elogio che ne fece dopo il S. VanÂgelo, « decoro dell’Umbria » Tra la folla dei fedeli che stipava il maggior tempio della cristianità si trovavano in apposite tribune numerosi rappresentanti dell’Ordine AgostiÂniano e molti, sacerdoti e fedeli di Spoleto e di Norcia.
Così si avverava un’altra volta la parola di Gesù Cristo: «chi si umilia sarà esaltaÂto»; ed avevano la loro conferma i due motÂti comuni : « Per aspera ad astra – Per crucem ad lucem ».
O Santa Rita, beata nella visione di Dio, getta petali di rose celesti in mèzzo alle spiÂne di questa valle del pianto. Aiutaci a liÂberarci dai lacci della colpa e accendi nei nostri cuori, freddi ed egoisti, il fuoco della carità . Attraici dietro a te col profumo delÂle tue virtù affinché dopo averti venerata sulla terra possiamo esserti compagni nella gloria del cielo.