Scheda teologico-pastorale della XXIX Giornata Mondiale del Malato

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  1. Gesù, in questa pagina tratta dal Vangelo di Matteo, ci aiuta a mettere in evidenza una modalità un po’ particolare che alle volte abbiamo di declinare le nostre relazioni quando incontriamo le persone nella loro fragilità: sentirsi maestri e guide di altri o assumere un atteggiamento paternalistico nei loro confronti, fosse anche nel tentativo di far loro percepire un’importanza originale nella nostra Sono modalità di comportamento molto comuni e che, a prima vista, non sembrano davvero sbagliate; ma dobbiamo fare molta attenzione in quanto queste modalità di relazione non sono nemmeno del tutto innocue. Cosa le rende in qualche modo pericolose e quindi da evitare? La provocazione del Vangelo “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli” non sta tanto nel mettere all’indice le relazioni di aiuto, quanto mai necessarie per ridonare agli ambienti sanitari quel volto di umanità condivisa che li ha contraddistinti fin dal loro sorgere, quanto piuttosto nello snidare la tentazione di possedere le persone, esercitando un potere seduttivo su di loro.

Spesso questo accade quando si tratta di relazioni che sono di loro natura relazioni a carattere asimmetrico, come quelle che si instaurano tra i malati e le persone che a diverso titolo si fanno carico della loro cura. Ma questo sbilanciamento necessario non deve lasciare lo spazio al predominio, quanto piuttosto aprire la strada al servizio, alla capacità autentica di sapersi prendere cura del prossimo. Gesù si fa testimone di questo: autorevole, carismatico, potremmo dire molto seduttivo, disegna la sua posizione nella relazione, inginocchiandosi.

  1. Per meglio comprendere possiamo collegare il gesto dell’inginocchiarsi a due episodi della vita di Cristo: il segno della lavanda dei piedi e l’agonia nel Getsemani.

Nella lavanda dei piedi il Maestro e Signore consegna un ultimo autorevole insegnamento ai suoi discepoli, lasciando loro l’esempio supremo dell’amore e del servizio vicendevole. La scena contiene una serie di gesti servili che diventano onorabili e, per questo, autorevoli. Gesù ripete la mansione dei servi in una casa: alzarsi, deporre le vesti, cingersi di un asciugatoio, lavare i piedi e asciugarli. La prima reazione di Simon Pietro manifesta la resistenza di fronte al gesto che, a parer suo, degrada il Maestro. Ma il deporre le vesti e il diventare servo di tutti è anticipazione della Pasqua, compimento delle profezie del servo sofferente di Yhwh. La risposta di Gesù a Pietro e il successivo insegnamento rivolto all’intero gruppo dei discepoli confermano il fondamento autorevole della missione di Cristo che non è “venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

L’autorevolezza del Maestro diventa servizio di amore, donazione di sé agli altri e paradigma del sapersi prendere cura e farsi carico delle fragilità dell’altro.

Una recente parola di papa Francesco ci aiuta ad approfondire questa capacità:

«San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il “dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano”, invece di “parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano”»1.

Il secondo episodio che riguarda il gesto dell’inginocchiarsi è contestualizzato nell’ora del Getsemani. I racconti evangelici concordano nel descrivere la prostrazione fisica e morale di Gesù, consapevole della sua scelta di fedeltà al Padre. L’evangelista Matteo annota che il Signore, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, vive la sua ultima ora nella preghiera e nell’offerta, gettandosi a terra. L’autorevolezza del suo ministero trova conferma nella relazione con il mistero della morte. In tal modo accogliere la volontà del Padre rappresenta il compimento di quell’adesione personale alla verità che Cristo ha confessato, annunciato e testimoniato in tutta la sua vita. È nell’andare incontro alla morte che un testimone conferisce un significato compiuto alla propria esistenza. Prostrato nel servizio e provato nell’agonia, Gesù conferma con la sua coerenza di vita, la più alta e credibile autorevolezza.

  1. La prossemica, in quanto disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una relazione interpersonale, suggerisce di adottare la distanza e la posizione adeguata all’interlocutore e al tipo di relazione in È un fatto appurato che si instaura una relazione diversa se ci si pone di fronte con o senza barriere, di fianco, a destra o a sinistra dell’altro. Una giusta distanza, né troppo vicina né troppo lontana, consente di avvicinarsi nei momenti di maggiore intimità e di allontanarsi durante la trattazione di temi da cui si vuole prendere le distanze (anche detta “distanza di fuga”). La posizione frontale può stimolare eccessiva intimità o il rischio di contrapposizione, mentre quella di fianco può sottolineare collaborazione, complicità o solidarietà, consolidando in questo modo una relazione di tipo fiduciario.
  2. Gesù molte volte stende la mano per guarire gli L’atto di stendere la mano implica una relazione profonda, che genera nell’interlocutore un atto di vita e di speranza e soprattutto ispira fiducia e spinge all’affidarsi.

L’incontro con Cristo diventa così una relazione profondamente rassicurante. È quanto accade alla suocera di Simone, che il Signore visita e guarisce sollevandola e prendendola per la mano. Similmente, l’autorevolezza del gesto, per nulla magico, si ripete sui tanti ammalati che lo attendono alla porta della città. L’atto di stendere la mano diventa ancora più espressivo nella scena del lebbroso. Toccando le membra del lebbroso prostrato davanti a Lui, Gesù vive la piena compassione di Dio che vuole guarire l’uomo dalla sua condizione di malattia. L’autorevolezza del gesto è carica di un messaggio positivo che oltrepassa i limiti del racconto. L’imposizione delle mani da parte del Signore diventa così un gesto autorevole sui malati di ogni tipo: sordomuti (Mc 7,32), ciechi (Mc 8,23), storpi (Lc 13,13), paralizzati (Mc 3,1-5), morti che vengono risuscitati (Mc 5,40-42; Lc 7,11-17). Allo stesso tempo la mano di Gesù stringe quella di Simon Pietro che lo invoca terrorizzato, mentre sta per inabissarsi nel lago in tempesta. Le stesse mani che sferzano i venditori del tempio, stringeranno in un abbraccio affettuoso quei bambini, a cui Gesù impone le mani. L’esercizio della sua autorevolezza appare così variegato: dalle guarigioni ai segni profetici, dalle relazioni di fiducia a quelle di accoglienza e di benedizione.

Infine le mani perforate dai chiodi diventano segno autorevole della sua risurrezione, quando il Risorto le mostra a Tommaso per confermarlo nella fede.

  1. Un altro elemento di un certo interesse nell’intessere relazioni con una persona è il carattere dello Nel descrivere le relazioni fra Gesù e i suoi interlocutori, gli evangelisti usano con frequenza l’espressione fissando lo sguardo su di lui, fissatolo, guardando intorno, volendo sottolineare un modo attento di osservare chi gli stava di fronte o lo accompagnava, al di là del semplice vedere o incrociare lo sguardo.

Lo sguardo di Gesù, non disgiunto da tutta la sua persona, manifesta una certa attrattiva. Tra i diversi racconti che menzionano lo sguardo di Cristo, colpiscono soprattutto due eloquenti scene rivelatrici della sua autorevolezza misericordiosa e liberante: l’emorroissa e Simon Pietro.

L’episodio dell’emorroissa è incastonato nel racconto della risurrezione della figlia di Giairo. Nelle due storie intrecciate e parallele, l’evangelista costruisce abilmente un racconto che coinvolge ancora di più il lettore nell’attesa della soluzione finale. Mentre Giairo vede Gesù, Marco sottolinea che la donna malata aveva sentito parlare di Gesù. Da qui la decisione di passare tra la folla, porsi alle sue spalle e toccare il mantello.

La donna non osa farsi vedere e stende la mano verso il mantello del Signore senza guardare il suo volto. La guarigione accade in modo immediato e l’emorragia cessa. Si registra la reazione del Signore per la potenza uscita da lui, che cerca colei che ha fatto questo. Gesù invita a passare dall’anonimato alla verità della fede. Finalmente la donna si getta ai piedi di Cristo e dichiara tutta la verità. È proprio la gestualità della donna guarita che sintetizza il cammino della sua scoperta di Dio: dalle spalle al volto, dal volto al gesto di adorazione del Cristo. Nell’incontro dei due sguardi si compie per la donna la piena rivelazione della salvezza: essa rinasce grazie alla fede.

Appare ugualmente espressivo lo sguardo di Gesù che muove Pietro alla conversione, pur diretto in un contesto – quello della lunga notte insonne e delle ferite fisiche e psicologiche – che inaugura le prime ore della passione. Dopo l’esperienza del rinnegamento, sarà lo sguardo misericordioso del Risorto sulle rive del lago a confermare l’autorità di Simone, centrata sull’amore oblativo.

  1. Ma Gesù non è solo Maestro per coloro che si prendono cura dei loro fratelli nel momento in cui la loro fragilità si manifesta, ma è Maestro anche per coloro che sono chiamati a vivere il mistero salvifico della Già, perché bisogna anche essere capaci di soffrire! Molto spesso l’eccessivo dolore che proviamo nel momento della sofferenza, quella sensazione di essere arrivati “al limite”, di non poter più andare avanti non deriva dal fatto che siamo provati oltre le nostre forze, ma che semplicemente non abbiamo ancora appreso fino in fondo qual è il modo per affrontare e il senso da dare alla nostra sofferenza.

Dalla cattedra della croce, Gesù – il giusto – che si è caricato di tutte le nostre sofferenze prendendo su di sé tutte le nostre colpe, ci insegna a sperare contro ogni speranza; ci insegna a sentire che le mani di Dio sono più forti di qualsiasi mano potente degli uomini, più forti di ogni tentazione che possa sopraggiungere ed abbattersi su di noi. Un solo dito di Dio è più forte dell’intero potere di Satana. Perciò anche quando la salute viene meno e la prova ci pare troppo dura, terribile e angosciosa, noi dobbiamo ripetere a noi stessi e ai nostri fratelli: nelle tue mani Signore, “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre”.

Dalla croce Gesù ancora insegna, non preoccupandosi di sé ma di coloro che lascia, di quanti dovranno continuare, sul suo esempio e sulla sua parola, la sua missione di annuncio di pace. E così avverrà! Guardando a colui che è stato trafitto i discepoli impareranno dal loro Maestro a perdonare, garantendo all’umanità il futuro. Già, perché, senza misericordia e perdono, nel mondo è solo sofferenza e morte.

Stare, insieme con Maria, ai piedi della croce di Gesù è come immergersi nel grande mistero della Redenzione, e diventarne una fedele manifestazione in mezzo agli uomini del nostro tempo, che troppo spesso passano distrattamente accanto alla sofferenza dei loro fratelli, incantati dai loro idoli che altro non fanno che accrescere il vuoto nel loro cuore.

«Ella ha ricevuto sotto la Croce questa maternità universale (cfr Gv 19,26) e la sua attenzione è rivolta non solo a Gesù ma anche al “resto della sua discendenza” (Ap 12,17). Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace»2.

  1. Noi che conosciamo la morsa dell’angoscia, crediamo che nel grido di Gesù morente si fa strada la speranza della vita?

Noi, che pure facciamo l’esperienza del turbamento per i tanti sconvolgimenti che hanno segnato l’ultimo anno della nostra vita e del mondo intero, ne sappiamo trarre motivo di pentimento per convertirci a una più grande fede e soprattutto a un più grande amore?

Mentre il velo del tempio dell’antica legge si squarcia, che cosa accade in noi?

Se impariamo a vivere davvero il mistero della sofferenza si può finalmente squarciare il nostro vecchio mondo, il nostro vecchio uomo, il velo della nostra sufficienza; si può spaccare la roccia del nostro cuore per lasciar scaturire da essa una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.

A cura dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI

1 Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, n. 223.

2 Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, n. 278.

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