Novena di Natale – 17 Dicembre

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Gen 49,2.8-10: la benedizione di Giacobbe su Giuda

Gli oracoli sui figli, che Giacobbe pronuncia benedicendoli prima di morire, sono rivolti non tanto a singoli personaggi, quanto alle tribù che essi rappresentano. Infatti, le caratteristiche che vengono presentate in riferimento ai singoli figli rispecchiano la situazione delle tribù.

Questi testi, quindi, si riferiscono a un’epoca successiva alla storia di Giacobbe, quando il popolo di Israele è già nella terra promessa. Nel contesto narrativo in cui sono inseriti vengono presentati come delle profezie sul futuro; probabilmente, però, rispecchiano la situa- zione presente ai tempi in cui la storia è stata scritta.

Giuda è paragonato a un leone, immagine di forza e di potenza. I versetti 10- 12 del cap. 49 del libro della Genesi («Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone di comando tra i suoi piedi, finché sia portato il tributo a lui e sua sia l’obbedienza dei popoli. Egli che lega alla vite il suo asinello, e a scelta vite il figlio dell’asina sua, egli che lava nel vino la sua veste e nel sangue dell’uva il suo manto. Egli che ha gli occhi lucidi per il vino e bianchi i denti per il latte») presentano forse una traccia dell’attesa messianica, di colui che deve venire per instaurare il dominio del Signore. L’asino è la cavalcatura del Messia, ripreso dall’evangelista Matteo 21,7. Il vino e il latte sono segni di abbondanza, per indicare la prosperità e la pace che regneranno all’avvento del Messia.

Ruben, Simeone e Levi. Ruben è il primogenito di Giacobbe e quindi dovrebbe avere una posizione privilegiata. In realtà, la preferenza va a Giuda e a Giuseppe. Questo riflette la situazione delle tribù: Ruben come tribù ebbe scarsa importanza nella storia di Israele, mentre Giuda e Giu- seppe-Efraim ebbero un ruolo dominante. Il testo biblico spiega questo fatto come originato dal peccato di incesto di Ruben (Genesi 35,21- 22: «…Ruben andò a unirsi con Bila, concubina di suo padre, e Isra- ele lo venne a sapere»), che gli fa perdere il diritto di primogenitura e quindi e la prosperità ad esso legate. Anche Simeone e Levi hanno pecca- to per l’eccessiva violenza contro i Sichemiti: la primogenitura tra i figli di Lia, spetta allora a Giuda.

Come avverrà anche per Mosè (Deuteronomio 33), Giacobbe, giun- to alle soglie della morte, pronunzia una benedizione-testamento che è come uno sguardo panoramico sul futuro destino delle dodici tribù che comporranno il popolo eletto. Così come sono formulate queste benedizioni sono commemorative”, cioè sono raffigurazioni della situazione di Israele durante l’epoca dei re, perciò molti secoli dopo i patriarchi. Poste in bocca a Giacobbe, vengono messe al futuro. Alcuni hanno pensato che il testo fosse liturgico e appartenesse a un ri- to di rinnovamento dell’alleanza con il Signore da parte delle tribù che si autodefinivano presentandosi al Signore. È difficile, però, spiegare l’esatta origine e l’ambito in cui le benedizioni sono sorte. Certo è che, collegandole a Israele-Giacobbe, si volevano riaffermare le proprie ra- dici, riconoscendole come sostegno e giustificazione del presente in cui si viveva.

La più solenne benedizione, riservata a Giuda, tribù da cui uscirà Davide sua dinastia. Le immagini sembrano riflettere l’atmosfera messianica che avvolgerà la linea dinastica davidica: il primato sulle tribù sorelle, la forza battagliera comparata a quella di un leone (donde il simbolo del “leone di Giuda”), la grande durata della poten- za di Giuda, la sua straordinaria prosperità agricola, simboleggiata dal vino e dal latte abbondanti e dall’asino, l’animale del lavoro nei campi. Su queste immagini, usate poi per dipingere la pace messianica, si è innestata la tradizione giudaica e cristiana che ha attribuito un valore messianico a questa benedizione.

In particolare il versetto 10, che è piuttosto oscuro nell’originale ebraico a causa di un termine incomprensibile e che probabilmente esalta solo la regalità duratura e il primato di Giuda (lo scettro e il tributo sono simboli regali), è stato letto liberamente dalla versione latina della Bibbia, la Vulgata di san Girolamo, come un annunzio del Messia:

«Non sarà tolto lo scettro da Giuda… finché verrà Colui che dev’essere inviato». E l’Inviato per eccellenza è il Messia atteso.

Mt 1,1-17: La genealogia di Gesù e la sua nascita

«Genealogia di Gesù Cristo» (1,1). Motivi religiosi e giuridici spingono gli Ebrei a conservare la memoria degli antenati, poiché la discendenza è il fondamento di importanti diritti e privilegi. Il vangelo di Matteo inizia con una genealogia che dimostra l’appartenenza di Gesù al popolo di Israele.

Fidanzamento, matrimonio, ripudio. Per gli Ebrei il fidanzamento è un impegno decisivo, in funzione del matrimonio. Esso costituisce il primo momento della celebrazione (in ebraico qiddushìn, consacrazione), quando la donna viene “consacrata” all’uomo e i due giovani possono essere chiamati marito e moglie. La violazione del fidanzamento è considerata adulterio (Deuteronomio 22,23-27). Dopo un anno si celebrava il matrimonio vero e proprio (in ebraico nissuim, dal verbo nasa, “sollevare”, “portare), quando la sposa veniva portata nella casa dello sposo. In seguito i due momenti furono uniti in un unico rito.

Come farà anche Luca, Matteo apre il suo vangelo con due capitoli dal taglio originale rispetto al resto della sua opera e, usando materiali preesistenti, elabora un profilo delle origini terrene e dell’infanzia di Gesù. Anche se il racconto contiene antiche memorie storiche, la figura che domina in queste pagine è già quella gloriosa di Cristo, colui che «salverà il suo popolo dai suoi peccati», colui che imprime pienezza alle Scritture di Israele, colui che è oggetto della lotta aspra del male, ma verso cui ormai converge l’intera umanità. Sono, quindi, pagine che hanno una forte finalità teologica, anche se spesso la tradizione le ha colmate di colore e di sentimento (emblematici, i questo senso, sono i vangeli “apocrifi” sull’infanzia di Gesù, non riconosciuti dalla Chiesa).

Matteo apre questa parte del suo vangelo con una genealogia di Cristo: essa risale ad Abramo e a Davide per sottolineare la qualità messianica, ma anche il legame che Gesù ha con la storia della salvezza aperta con il grande patriarca biblico. Gli anelli di questa genealogia sono articolati in tre tappe, ciascuna composta di quattordici generazioni: un evidente tentativo simbolico-numerico di delineare la perfezione e la pienezza (considerato il valore del “tre” e del “sette” nella Bibbia del piano di salvezza che Dio porta a compimento in Cristo. I nomi, che nella terza sezione sono spesso oscuri, contengono elementi curiosi, come la menzione delle quattro donne: Tamar (Genesi 38), Racab (Gs 2) Rut e Betsabea, la moglie di Uria, sono state variamente interpretate, ma agli occhi dell’evangelista più che loro essere straniere l’attenzione è rivolta forse al modo piuttosto eccezionale con cui esse furono incinte e generarono, anticipando, così, la vicenda stessa di Maria e di Cristo.

La nascita di Gesù che subito segue la genealogia è, infatti, spiegata nel suo significato misterioso nell’annunciazione a Giuseppe. Egli deve accettare di essere il padre legale del figlio che Maria concepirà «per opera dello Spirito Santo», come l’angelo spiega due volte. La citazione del passo di Isaia 7,14 ha lo scopo di collocare questo evento all’interno del grande disegno di salvezza divino, già annunziato ai profeti e già in atto nella prima alleanza con Israele. Non per nulla il nome di Gesù rimanda al verbo ebraico “salvare”, come puntualizza l’angelo (1,21), e a lui si adatta in pienezza il titolo di Emmanuele, cioè Dio-con-noi.

Le due letture sono legate dalla tribù di Giuda, cioè di Davide. Il Messia è della casa di Davide.

A cura di P. ERNESTO DELLA CORTE biblistaFile PDF completo