Le nozze di Cana – Segno di amore e di fede

1986

Spunti della conferenza tenuta per ‘Sabato Mariano’ alla Basilica di S. Maria in Via Lata, Via del Corso 306, Roma, il 6 dic 2006 da DENIS S. KULANDAISAMY, OSMPontif. Facoltà Teol. «Marianum» .

Scarica il file PDF

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]

INDICE

Introduzione

  1. Il testo di Gv 2,1-12
  2. Le difficoltà dell’interpretazione
  3. Varie interpretazioni
    • Interpretazione allegorica;
    • Interpretazione Storica;
    • Interpretazione storico-critica;
    • Interpretazione simbolica e teologica;
    • Interpretazione Cristologia;
    • Interpretazione sacramentale;
    • Interpretazione escatologica;
    • Interpretazione Mariologica;
  4. Ambientazione e il Contesto
  5. Esegesi del brano
  6. Il significato teologico della pericope
    • La dinamica della fede
    • Le dimensioni dell’amore

Conclusione

[/box]

Introduzione

L’unico evangelista che narra questo evento del nozze di Cana è Giovanni. Il vocabolario del quarto vangelo è noto per il suo significato duplice e a volte anche molteplice. Il vangelo di Giovanni è ricco e denso di significati teologici. Questo brano Gv 2.1-12 ha un ruolo importantissimo nella struttura del quarto evangelo e anche offre una chiave di lettura per capire il piano narrativo dell’evangelista.

Il tema che stiamo per trattare è: “Le nozze di Cana: Segno di amore e di fede”. Ogni parola di questo titolo è sovraccarica di significato profondo. Per esempio, si vedi il significato delle parole seguente in qualche dizionario biblico: “le nozze”, “Cana”, “Segno”, “Amore”, “fede” – ogni parola è enciclopedica che richiederebbe una vita intera per capire questi concetti importanti di Giovanni. Lo vedremo più avanti nella parte centrale di questo articolo.

1.  Il testo Gv 2.1-12

1 Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c’ era là la madre di Gesù.

2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

3 Ed essendo venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino».

4 Le dice Gesù: «Che vi è fra me e te, o donna? Non è ancora venuta la mia ora?».

5 Sua madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».

6 C’ erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, capaci da due a tre metrète ciascuna.

7 Dice loro Gesù: «Riempite le giare di acqua». Le riempirono fino all’ orlo.

8 Dice loro: «Ora attingete e portatene al direttore di mensa». Essi ne portarono.

9 Come il direttore di mensa ebbe gustata l’ acqua divenuta vino (egli non sapeva donde veniva, mentre lo sapevano i servi che avevano attinto l’ acqua), chiama lo sposo

10 e gli dice: «Tutti presentano dapprima il vino buono e poi, quando si è brilli, quello scadente. Tu hai conservato il vino buono fino ad ora».

11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

12 Dopo questo fatto, discese a Cafarnao: lui, sua madre, i fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là non molti giorni.

2.  Le difficoltà dell’interpretazione:

L’episodio di Cana è un testo, a prima vista, molto semplice e di carattere narrativo, ma in realtà, ricco di significato teologico. E’ apparentemente semplice ma abbastanza difficile e complesso da interpretare. Però qui non c’è niente da meravigliarsi di questo, in quanto la Bibbia come la parola di Dio ha dimostrato sempre questo problema. Parlando di questo, il documento “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” preparato dalla Pontificia Commissione Biblica dice:

“Il problema dell’interpretazione della Bibbia non è un’invenzione moderna, come talvolta si vorrebbe far credere. La Bibbia stessa attesta che la sua interpretazione presenta varie difficoltà. Accanto a testi limpidi contiene passi oscuri. Leggendo certi passi di Geremia, Daniele s’interrogava a lungo sul loro significato (Dn 9, 2). Secondo gli Atti degli Apostoli, un etiope del I secolo si trovava nella stessa situazione a proposito di un passo del libro di Isaia (Is 53 7-8), riconoscendo di aver bisogno di un interprete (At 8, 30-35). La seconda lettera di Pietro dichiara che «nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione» (2Pt 1, 20) e osserva, d’altra parte, che le lettere dell’apostolo Paolo contengono «alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina» (2Pt 3, 16). Il problema è perciò antico, ma col passar del tempo si è accentuato: venti o trenta secoli separano ormai il lettore dai fatti e detti riferiti nella Bibbia, e questo non manca di sollevare varie difficoltà. D’altra parte, a causa del progresso delle scienze umane, i problemi concernenti l’interpretazione sono divenuti nei tempi moderni più complessi. Sono stati messi a punto metodi scientifici per lo studio di testi dell’antichità. In che misura questi metodi si possono considerare appropriati all’interpretazione della Sacra Scrittura? A questo interrogativo, la prudenza pastorale della Chiesa ha per molto tempo risposto in modo molto reticente, perché spesso i metodi, nonostante i loro elementi positivi, si trovavano legati a opinioni opposte alla fede cristiana.”2

Il nostro brano (Gv 2,1-12) non fa eccezione. Anche questo episodio ha le sue difficoltà nel campo delle interpretazioni. Vedremo queste difficoltà quando arriveremo all’esegesi di ogni versetto. Nella quarta parte, percorreremo i dodici versetti del nostro racconto, per spiegare alcuni termini o espressioni che possono rappresentare difficoltà e per scoprire gli eventuali indizi di un’intenzione teologica di San Giovanni. La difficoltà sta nel fatto che le parole del quarto vangelo hanno doppio senso. Per comprendere bene questi versetti (1,1-12), “è importante richiamare il principio fondamentale che regola la comprensione di questo vangelo: la presenza dei due livelli di lettura. Ogni pagina del testo sacro, cioè contiene un livello storico, che è quello dei precisi ricordi storici di cui l’evangelista nel narrare la sua catechesi, e un livello teologico, che è quello sottointeso al testo e presente nella mente dell’autore che scrive, intraprendendo il fatto alla luce dell’evento pasquale. Storia e teologia si legano e si compenetrano”.3

3.  Varie interpretazioni:

La pericope delle nozze di Cana viene interpretata in tanti modi. Alcune di esse sono riportate come segue:

“Interpretazione allegorica:

nei Padri della Chiesa e nel medioevo domina l’interpretazione allegorica (=dire un’altra cosa). Ogni cosa narrata ha un senso diverso. Per esempio le sei giare di pietra di Gv 2,6 sono considerate come l’immagine dei sei periodi della storia del mondo. Le due o tre misure che le giare contenevano indicano o il Padre e il Figlio oppure la Trinità.

Interpretazione storica:

era in voga alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo secolo. Si faceva una pura descrizione del miracolo.

Interpretazione storico-critica:

si preoccupa di fare la genesi del testo determinare quando e come si è formato il testo.

Interpretazione simbolica e teologica:

è praticata da moli esegeti contemporanei. Si colgono temi teologici facendo riferimento ai testi biblici alla letteratura giudaica.

Altre interpretazioni:

alcuni propongono un’interpretazione cristologica (per es. R. Schnackenburg), altri un’interpretazione sacramentale (in riferimento al vino eucaristico: Gächter, Bultmann, Galot), altri, infine, un’interpretazione mariologica (Braun, Mc Hugh, Serra)”. 4

Noi, in questa riflessione, cercheremo di interpretare il testo dal punto di vista cristologico e mariologico, mettendo in rilievo il significato delle parole-chiave e il loro senso simbolico.

4.  Ambientazione e contesto:

Mons. Diego Coletti descrive il contesto di questo brano in queste parole seguenti:

“Il racconto del miracolo di Cana si trova, all’interno del vangelo di Giovanni, in una posizione particolare e significativa, che non può essere trascurata se si vuole capire il messaggio contenuto in questa pagina evangelica.

  • Si può notare anzitutto che l’episodio delle nozze di Cana è uno di quelli narrati soltanto dal vangelo di Giovanni e sconosciuti ai Sinottici. Come negli altri casi di questo genere (per esempio: il dialogo con la samaritana, il miracolo del cieco nato e la resurrezione di Lazzaro), dovremo quindi aspettarci che l’evangelista, avendo personalmente scelto di raccontare proprio questo episodio, abbia inteso inserire nel racconto un particolare significato in ordine alla manifestazione del mistero di Cristo.
  • La nostra attesa viene confermata da due dati molto importanti:
  • l’evangelista nota che quello di Cana fu il primo miracolo compiuto da Gesù. Non è uno dei tanti, ma quello che inaugura la manifestazione di Gesù (cf 2,11: «manifestò la sua gloria»). Si tratta perciò di una primizia che contiene in sé quasi il preludio e l’anticipo di tutto quello che verrà in seguito;
  • facendo attenzione al “ritornello” con il quale Giovanni scandisce i vari episodi di questa prima parte del vangelo, ci accorgiamo che il miracolo di Cana è posto non a caso in un “settimo giorno” a partire dalla prima testimonianza del Battista su Gesù al

Questa è chiaramente un’allusione sia al completamento della creazione, sia alla celebrazione della Pasqua. In ogni caso attira la nostra attenzione sul significato cosmico e pasquale dell’episodio che verrà raccontato.

  • Possiamo così apprezzare in tutta la sua importanza il cenno di Gesù alla sua “ora” (2,4). Questa parola, che costituisce nel vangelo di Giovanni un motivo di grande importanza, spesso ripetuto nei momenti più significativi della vita del Maestro e qui usato per la prima volta, indica chiaramente il momento pasquale della missione del Figlio di Dio (cf, per esempio, 13,1). Rispondendo a sua madre, Gesù afferma fin dall’inizio che egli è venuto a compiere la volontà del Padre nella “ora” stabilita (12,27). Viene così ulteriormente confermato il significato pasquale di questo episodio evangelico.
  • L’ambiente tematico del miracolo di Cana è segnato da un ultimo tratto caratteristico. L’episodio si conclude con questa notazione dell’evangelista: «… e i suoi discepoli credettero in lui» (2,11). Siamo idealmente proiettati verso il fine ultimo della manifestazione del mistero di Cristo: l’atto di fede da parte dei discepoli. Con questo atto di fede si concludono quasi tutti gli altri episodi rilevanti del vangelo di Giovanni, a conferma del fatto che l’intenzione dell’evangelista è proprio quella di condurci, attraverso l’esperienza dei discepoli, a condividerne la fede.” 5

5.  Esegesi:

La maggior parte degli esegeti sono d’accordo che questa pericope ha una struttura chiastica (A-B-A’). Dividiamo il brano in tre parti in modo seguente:

  • Introduzione ambientale del segno (vv.1-3a) Il dialogo tra Maria e Gesù (vv. 3b-5)
  • Il dialogo tra Gesù e i servi (vv. 6-8)
  • Il dialogo tra maestro di tavola e lo sposo (vv. 9-10)
  • Conclusione della narrazione (vv. 11-12)

L’introduzione ambientale del segno (vv. 1-3a)

v.1.: “Nel terzo giorno ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea ed era lì la madre di Gesù.”

Il terzo giorno è un “apax giovanneo, nel NT è impiegata in formule kerigmatiche. Ha origine nell’AT e nelle letture sinagogali per indicare il giorno della salvezza”.6 Il terzo giorno qui significa il settimo giorno. Aristide Serra scrive: “Il segno di Cana è datata al «terzo giorno». Questa annotazione cronologica ha lo scopo di porre in relazione il primo miracolo di Gesù col Sinai e con la Risurrezione.7

  1. 1,29: «il giorno dopo»
  2. 1,35: «il giorno dopo»
  3. 1,43: «il giorno dopo»
  4. 2,1: «tre giorni dopo».

Siamo dunque al “settimo giorno”. Da notare che questo episodio inizia con un indicazione temporale (il terzo giorno; v.1) e anche finisce con una indicazione temporale (non dopo molti giorni cfr. v. 12). “Ora la fonte alla quale si ispira Giovanni per tale schema cronologico è, molto probabilmente, un’antica tradizione giudaica, la quale era solita distribuire in più giorni i fatti che accompagnarono la rivelazione del monte Sinai, quando YHWH strinse l’alleanza con Israele e gli diede la Legge, tramite Mosè (Es 19-24)”.8 Secondo Serra, il terzo giorno riferisce anche alla risurrezione di Gesù nel vangelo di Giovanni.9

Da notare ancora che questo primo segno di Gesù avviene in un contesto di matrimonio. Sappiamo che nei Sinottici, la parola ‘gamos’ (matrimonio) allude al regno di Dio (Mt 8,11; 22,2; 25,1; Lc 12,36). Dove ha luogo questo matrimonio? A Cana. Giovanni riferisce a Cana nei vv. 1 e 11. Il motivo di precisare il luogo potrebbe essere di ordine geografico, ma non dobbiamo tralasciare anche il significato teologico. Secondo l’estimazione comune, dalla Galilea non può venire un profeta. I farisei rispondono a Nicodemo, “Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea!” (Gv 7,52). Eco qui nel v. 1, abbiamo la ironia teologica del quarto vangelo.10

v. 1b: “…e c’era la ‘madre di Gesù’”:

La prima ad essere menzionata è la madre di Gesù. Nel v. 4 Gesù la chiama ‘donna’. “Lo stesso fenomeno si ripete in Gv 19,25.26, cioè nella scena del Calvario. Questa funge da grande inclusione con quella di Cana”.11 Si nota che Giovanni non menziona mai il nome di Maria nel suo vangelo. Queste due episodi sono tra loro strettamente legati e si illuminano l’un l’altro. Maria viene presentata sempre con questa espressione “madre di Gesù”. A. Serra commenta che “evidentemente, più che al nome proprio della Vergine («Maria»), l’evangelista è interessato al ruolo che le compete, significato dai titoli: «madre di Gesù» e «Donna»”.12

v. 2: “…anche Gesù fu invitato alle nozze, come pure i suoi discepoli”.

Qui in questo versetto vengano presentati altri personaggi dell’episodio. Vedremo più avanti che Gesù è il personaggio principale e anche i discepoli giocano un ruolo molto importante in questo episodio.

Il dialogo tra Maria e Gesù: (vv. 3b-5)

3b la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino».

4 Le dice Gesù: «Che vi è fra me e te, O donna? Non è ancora giunta la mia ora».

5 Sua madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».

La mancanza di vino determina una situazione imbarazzante in una festa di matrimonio. “La madre di Gesù non solo è stata menzionata per prima ma anche per prima prende l’iniziativa nel segnalare la mancanza del vino. Sembra che la madre di Gesù non sia solo una invitata, ma anche che e veglia sul buon andamento della festa. La madre di Gesù, in un certo modo è all’origine del miracolo”.13

Ma qui, il testo (v. 3) non è abbastanza chiaro. “Si è incerti se intendere queste parole della Vergine come una semplice segnalazione di quanto sta accadendo, oppure come una domanda vera e propria di un intervento miracoloso da parte di Gesù. Il testo non offre evidenze per concludere che Maria stia chiedendo un prodigio”.14 Per questa domanda, A. Serra ci offre una via di soluzione intravedendo nella struttura letteraria dei miracoli nel Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 4,47; Gv 11, 3. 21-22).15

«Che vi è fra me e te, O donna? Non è ancora giunta la mia ora»

 Questa risposta di Gesù viene molto discussa. Se vediamo le varie versioni della Bibbia nelle lingue moderne, possiamo notare che ci sono tantissime diversità della traduzione di questa espressione idiomatica: “Ti emoi kai soi?” Letteralmente traducendo, la traduzione sarebbe: “Che vi è tra me e te, donna?”.16

Il problema è che si può capire in tutti e due sensi: “tanto nella letteratura greco- romana che in quella semitica, di per sé può esprimere accordo o disaccordo tra due o più persone:

  • accordo, cioè: «Che vi è fra me e te che non sia comune?» (consenso pieno):
  • disaccordo, cioè: «Che vi è di comune fra me e te?» (negazione di rapporto)”.17

A. Serra spiega questa problema facendo riferimento ai testi Giud 11,121-3; II Sm 16,10; I Re 17, 17-18.18

I. de la Potterie commenta che “non vi è alcuna traccia di ostilità in queste poche parole, nemmeno alcun rimprovero, contrariamente a quanto hanno pensato talvolta i Padri Greci (Per esempio, Ireneo e Crisostomo). Dicendo a sua madre «Che c’è tra te e me, Donna?», Gesù lascia intendere che egli si pone su un piano diverso da quello di Maria e in un’altra prospettiva: questa pensa ancora al vino della festa, Gesù pensa ormai alla sua missione messianica che inizia. Quindi tra loro c’è una certa incomprensione, un equivoco. Molte volte in san Giovanni si ripete una situazione del genere: l’interlocutore di Gesù si preoccupa unicamente di realtà materiali; ma per Gesù queste sono il segno dei beni salvifici che egli ”19

E’ problematica anche la seconda parte della risposta di Gesù. Come tradurre? La maggior parte di esegeti la traducano “La mia ora non è ancora giunta”. Però grammaticalmente questa espressione si può capire anche come una domanda retorica, “Non è ancora giunta la mia ora?”. Allora la traduzione sarebbe “La mia ora è già giunta”.20 Al mio parere, nella stessa linea di esegeta Stramare e il grande esegeta cardinale Vanhoye, come scrive anche G. Zevini, il versetto 4 deve essere “letto in forma interrogativa e non in forma negativa. Utilizzando questa lettura che vede a Cana iniziato il tempo della manifestazione messianica di Gesù, si comprende meglio l’atteggiamento di Maria (2,5.11).21 T. Stramare, traduce v. 4 così: “Ciò che è mio è tuo. Donna, è giunta la mia ora”.22

C’è da capire che la novità che Gesù porta è legata alla sua ‘ora’, che è ormai giunta. L’evangelista non dice espressamente qual è il significato dell’ora nell’economia di questo primo segno operato da Gesù. L’ora di Gesù è un tema ben approfondito dai vari esegeti. L’ora di Gesù riferisce alla sua ora di passione, morte e risurrezione. “L’ora è venuta” è una espressione che si trova in Gv 12,23; 13,1; 17,1.

Leggiamo nel v.5 che la madre di Gesù disse ai servi, “Quanto egli vi dirà, fatelo”. E’ molto importante riconoscere il fatto che “non avendo compreso quali siano esattamente le intenzioni del Figlio, Maria si rimette totalmente alla volontà di lui, e trasmette ai servi questa sua fede aperta sull’incognito, prima che intervenga l’evidenza del segno: «Quanto Egli vi dirà, fatelo»”.23 Ecco, la profondità della fede della madre di Gesù !

I. de la Potterie scrive: “questa risposta di Maria mostra che Gesù non le ha opposto un rifiuto. Piena di confidenza e di speranza, con una disponibilità totale, ella dice ai servi: « Fate tutto quello che egli vi dirà ». Questa formula viene dall’Antico Testamento, ma la sua risonanza varia secondo i contesti…. Ecco la formula che si trova nell’Esodo, prima e dopo l’Alleanza del Sinai:

«Tutto ciò che Jahvè ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7). Le parole di Maria a Cana sono come la ripresa di questi impegno solenni, assunti da tutta l’assemblea d’Israele”.24

Il dialogo tra Gesù e i servi (vv. 6-8)

6 C’ erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, capaci da due a tre metrète ciascuna.

7 Dice loro Gesù: «Riempite le giare di acqua». Le riempirono fino all’ orlo.

8 Dice loro: «Ora attingete e portatene al direttore di mensa». Essi ne portarono.

Dopo il dialogo tra Maria e Gesù, Giovanni presenta quello tra Gesù e i servi. E’ minuziosa la descrizione delle giare per l’acqua necessaria alla purificazione dei giudei. Mons. Coletti scrive, “Gli esperti arrivano a calcolare la capacità di questi sei contenitori: si tratterebbe di qualcosa come duecentocinquanta litri! Ci troviamo di fronte ad una sovrabbondanza che potrebbe sembrarci esagerata se dimenticassimo che qui Gesù intende offrire una pallida idea della ricchezza e magnificenza della gioia messianica che si effonderà da lui crocifisso e risorto, dal suo costato aperto da cui scaturiscono sangue-ed-acqua sparsi sulla croce, per dissetare il mondo intero. L’acqua contenuta nelle sei giare era stata predisposta da mani umane “per la purificazione dei giudei” (2,6). Gesù prende spunto da questo segno dell’antica legge (è un segno già troppo usato o trascurato: infatti le giare vanno ora riempite!) e lo trasforma nel segno della nuova ed eterna alleanza, nel vino nuovo della vera gioia del banchetto delle nozze eterne di Dio con l’umanità”.25

A. Serra interpreta le presenza dei sei giare in modo simbolico in queste parole seguente: “Le ‘sei giare’ stanno in rapporto col ‘sesto giorno’ (=il terzo), in cui Gesù dona il vino nuovo delle nozze messianiche, come figura profetica della sua Parola di rivelazione… e in prospettiva escatologica, le ‘sei giare’ del banchetto di Cana puntano sul ‘sesto giorno’ della passione di Cristo, che si sublima poi nel ‘terzo giorno’ della Risurrezione. Cristo invase il mondo con la luce che emanava dal suo Vangelo rivelato in pienezza. Così le giare furono colmate ‘fino all’orlo’”.26 Alcuni esegeti dicono che il materiale (cioè pietra), si riferisce   a Es 36,26.    Alcuni altri esegetici commentano che le sei giare simbolizzano le antiche legge Torah.

“‘Attingete e portatene…’: Come nella moltiplicazione dei pani, anche a Cana Gesù sollecita e quasi attende la collaborazione umana. Essa risulta sempre sproporzionata rispetto all’esito miracoloso della volontà divina. Eppure quest’ultima – pur potendolo – non fa tutto da sola. Certo Gesù avrebbe potuto riempire direttamente di vino le sei giare senza chiedere nulla a nessuno; ma egli desidera che i discepoli ricordino la loro responsabilità e la vivano con generosa fedeltà: toccherà a loro “riempire, attingere e portare” la bevanda della salvezza e della gioia, sapendo bene che la loro obbedienza alla Parola non ha prodotto il miracolo (2,9), ma lo ha semplicemente accolto nella fede e ne ha veicolato i frutti verso la custodia e la promozione della piena felicità di tutti i commensali al banchetto delle nozze dell’agnello (Apc 19,9)”27.

Dialogo tra il maestro di tavola e lo sposo (vv. 9-10) 

9 Come il maestro di mensa ebbe gustata l’ acqua divenuta vino (egli non sapeva donde veniva, mentre lo sapevano i servi che avevano attinto l’ acqua), chiama lo sposo

10 e gli dice: «Tutti presentano dapprima il vino buono e poi, quando si è brilli, quello scadente. Tu hai conservato il vino buono fino ad ora».

Il miracolo è già avvenuto. Il Vangelo non dice come e quando è avvenuto. “Il vino di Gesù è misterioso nella sua origine. Simboleggia il mistero della sua Persona e la sua opera rivelatrice, i beni promessi per l’era messianica, accompagnati da un clima di gioia e di obbedienza; in una parola, la relazione di amore tra Dio e l’uomo, che si inaugura con la Nuova alleanza”.28 In questi versetti, Giovanni usa ‘Ironia’ come un tecnico narrativo dell’episodio. Il maestro di Tavola attribuisce il buon vino allo sposo, e non a Gesù. Così l’evangelista fa notare che il vero sposo è Gesù. Questo viene esplicitamente espresso più avanti in Gv 3,29. Se Gesù è lo sposo, allora Maria diventa la sposa.29

Conclusione della narrativa (vv. 11-12)

11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

12 Dopo questo fatto, discese a Cafarnao: lui, sua madre, i fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là non molti giorni.

Questi ultimi due versetti concludono l’episodio di Cana e presentano in breve l’interpretazione che l’evangelista offre del fatto.30 Le parole chiave che sono importantissime del testo sono i seguenti: segni, inizio (archetipo), gloria, rivelare e credere.

A. Serra spiega perché Giovanni chiama il miracolo di Cana l’«archetipo» (in greco archê) dei prodigi operati di Gesù:

La voce « archê », in Giovanni, […] sembra puntualizzare il momento nel quale Gesù cominciò a rivelarsi ai discepoli (cfr. Gv 15,27; 16,4; I Gv 1, 1-3). Ora questo « inizio » di rivelazione progressiva ebbe il suo avvio a Cana di Galilea e si prolungherà nel corso di tutto il vangelo. […] il vino nuovo di Cana, oltre ad essere il « primo » segno, è anche il prototipo, l’archetipo degli altri segni. A somiglianza di quello di Cana, anche i prodigi successivi sono ordinati a « manifestare » la gloria di Gesù, a suscitare la fede in Lui, e preludono al segno del « terzo giorno », dell’« Ora di Cristo », quello cioè della morte-risurrezione, suggello e vertice di tutta la sua azione redentrice.31

In questo episodio di Cana, Gesù offre ‘un saggio della sua «gloria»’, una auto- rivelazione della sua gloria che riflette anche lo shekina di YHWH.

Il tema della fede e amore viene trattato nei paragrafi seguenti.

6.  Il Significato teologico della pericope La dinamica della fede

Il tema della fede è molto importante e fondamentale nel vangelo di Giovanni. E’ interessante da notare che il sostantivo ‘pistis’ non occorre mai nel IV vangelo, ma usa il verbo ‘credere’ (‘pisteuôn’ 98 volte. Questo indica la caratteristica attiva della fede giovannea. Cioè la fede (sostantivo) non esiste se uno non crede. La ‘fede’ non è una cosa stagnante ma indica un’azione. Un elemento fondamentale nel vangelo di Giovanni è che la fede giovannea è fondamentalmente cristocentrico cioè Giovanni mette in luce la fede in Cristo.32 Per questa evangelista, l’atto di credere essenzialmente riferisce a Gesù.

Verso la fine del Vangelo, leggiamo che “questi fatti sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio. Se crediate in lui, avrete la vita” (Gv 20,31). Allora, Giovanni scrisse tutto il vangelo per portare i suoi lettori a credere in Cristo.

In Gv 2.11, si legge “episteusan eis ton auton”. Che cosa significa questa espressione? A. Serra ci offre tre modi di usare il verbo ‘pisteuein’:

  • (“pisteuein tini”) significa credere “a qualcuno”. Cioè accettare come vera la sua parola: 2,22; 4,21-50; 1 Gv 3,23.
  • (“pisteuein eis tina”) significa credere “in qualcuno”. Questo implica l’adesione alla persona; 2,11 (è il nostro brano); 3,16. 18. 36; 4,39.
  • (“pisteuein eis to onoma tinos”) è la formula più perfetta della fede.
    Significa “credere nel nome di qualcuno”33

Nel v. 12 leggiamo “…discese a Cafarnao lui, sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli…”

“L’inizio del racconto presentava la Vergine da una parte, Gesù e i suoi discepoli dall’altra, come due gruppi, che sembravano sopraggiungere alla festa per vie diverse. Al termine dell’episodio, la Vergine, i fratelli e i discepoli di Gesù appaiono invece come un solo gruppo, stretto attorno a lui. Con molta probabilità, l’evangelista sembra voler dire che il motivo di tale fusione è la fede in Gesù, dimostrata sia dalla Vergine (v. 5), sia dai discepoli (v. 11). Anzi, sul piano della fede non v’è differenza tra i parenti (madre e fratelli) e i discepoli”.34 Siamo consapevole che Maria è la prima credente. Per questo i sinottici dicono: “Beata Colei che ha creduto”. Naturalmente, il punto di partenza, per chi vuol salvarsi l’anima, è di aver fede. La fede è come gli occhi dell’anima.

Le dimensioni dell’amore

Ora raccogliamo dalla pagina evangelica che abbiamo meditato alcuni spunti di riflessione sulle dinamiche dell’amore.

Qui voglio riportare un riassunto delle parole dell’enciclica ‘Deus Caritas est’ del Santo Padre Benedetto XVI:

“…l”amore” è il valore fondamentale della vita dell’uomo. La psicologia ci ricorda che l’uomo viene al mondo per amare ed essere amato e la sua felicità dipende dalla possibilità che gli viene offerta di attingere all’amore. Oggi si parla sovente di amore. Questa parola è usata con molteplici significati: l’amore di patria, l’amore tra amici, l’amore per la professione e il lavoro, l’amore tra i genitori e i figli … Il significato più alto, però, è connesso al rapporto uomo-donna, comunione di corpo e di anima, portatore di una irresistibile promessa di felicità. All’esperienza dell’amore si collegano anche delle deviazioni che vanno sotto il nome di erotismo, quali la pornografia, l’esposizione del corpo, l’esaltazione del piacere, il rapporto fisico tra partner slegato da ogni responsabilità. Il cristianesimo viene spesso sollecitato da domande sull’amore, molte delle quali si potrebbero riassumere nell’accusa che Friedrich Nietzsche fa al cristianesimo di aver dato da bere del veleno all’“eros”, che pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. Altri si chiedono se possa esistere un elemento unificante delle varie accezioni del termine “amore” o se queste sono destinate a restare delle realtà totalmente divise tra di loro”35

Conclusione

L’episodio di Cana ha un ruolo fondamentale nell’intero vangelo di Giovanni. Questo episodio è programmatico, e perciò in stretto parallelo con Gv 19,25-27 (Gesù al Calvario) in cui Gesù da compimento alla sua opera. In 2,1-2 Gesù inizia la sua opera e in 19,25-27 la compie. In tutte due scene la madre di Gesù è presente. Giovanni, presentando la madre di Gesù in queste scene importantissime, ci fa capire il ruolo che Maria riveste nella vita di Gesù.

Questo episodio è un invito a credere in Gesù. La fede è la risposta all’amore di Dio manifestato in Gesù. Siamo chiamati ad aderirsi a Gesù. Maria ci ha lasciato un grande esempio di seguire Gesù con amore e fede.

Note

1 Per il testo più elaborato, cfr. DENIS S. KULANDAISAMY, “The first ‘Sign’ of Jesus at the wedding at Cana. An Exegetical Study on the Function and Meaning of John 2.1-12”, in Marianum 68 (2006) 17-116.

2 Cfr. l’introduzione del documento: PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Città del Vaticano 1993.

3 G. ZEVINI, Vangelo Secondo Giovanni. Vol. I, Roma 1984, 105.

4 L. ORLANDO, Il Vangelo di Giovanni. Lettura Teologica, Taranto 2003, 115.

5 Mons. D. COLETTI, “Vi fu uno sposalizio a Cana di Galilea”: Lectio divina su Gv 2.1-12, in www.chiesadimilano.it/or/ADMI/esy/objects/docs/72924/Coletti.doc (13 dic 2006).

6 L. ORLANDO, Il Vangelo di Giovanni. Lettura Teologica, Taranto 2003, 116.

7 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, Terza edizione, Roma 1991, 13-14.

8 Ibid. (Cfr. Es 19,1; Es 19, 10-11. 16).

9 Ibid.

10 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 54.

11 Ibid, 55.

12 Ibid.

13 L. ORLANDO, op. cit., 115-116.

14 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 55.

15 Ibid, 56.

16 Si veda a questo riguardo, DENIS S. KULANDAISAMY, “The first ‘Sign’ of Jesus at the wedding at Cana. An Exegetical Study on the Function and Meaning of John 2.1-12”, in Marianum 68 (2006), nota 12, p. 23: “Down through the years, there has been a lot of disagreement among the scholars upon the translation of v. 4. Most scholars, seeing the indicative mood of the verb ēkei, prefer to render the translation as follows: ‘My hour has not yet come’. But this contradicts the fact that Jesus acts positively to the request of his mother. In order to resolve this problem, some take these words of Jesus as a rhetorical question and translate: ‘Has not my hour come?’. T. Stramare (BibOr 44 [2002] 179-192) suggests that given the context, the correct translation would be: “Ciò che è mio è tuo. Donna, è giunta la mia ora!”. Though this translation of T. Stramare (E’ giunta la mia ora) seems to contradict the majority of the translations (‘My hour has not yet come’), it is grammatically correct and also fits well in the context. E. J. Goodspeed (BT 3 [1952] 70-71) suggests that the word ‘gunai’ be left untranslated, because in his opinion there is no adequate English translation for ‘gunai’. And he translates: “Do not try to direct me. It is not yet time for me to act”. H. M. Buck (BT 7 [1956] 149-50) suggests that it be translated, “Madam, why is that our concern?”. Here is a list of a few different translations from various versions: Latin Vulgate: quid mihi et tibi est mulier?; Luther Unrevidierte (1545) (German): Weib, was habe ich mit dir zu schaffen?; King James Version (1611): Woman, what have I to do with thee?; Peshitta – James Murdock Translation (1852): What is [in common] to me and thee?; Young’s Literal Translation (1862/1898): What to me and to thee, woman?; The Douay-Rheims American Edition (1899): Woman, what is that to me and to thee?; The New American Bible: Woman, how does your concern affect me?; Revised Standard Version (1951): O woman, what have you to do with me?; The Bible in Basic English (1949/64): Woman, this is not your business?; New King James Version (1982): Woman, what does your concern have to do with Me?; New International Version (1984) (US): Dear woman, why do you involve me?; Revidierte Lutherbibel (1984) (German): Was geht’s dich an, Frau, was ich tue? La Biblia de Las Americas (1986): Mujer, ¿qué nos va a ti y a mí en esto?; Reina-Valera Actualizada (1989): ¿Qué tiene que ver eso conmigo y contigo, mujer?; New American Standard Bible (1995): Woman, what does that have to do with us?; Spanish Reina-Valera Update (1995): ¿Qué tiene que ver esto con nosotros, mujer?; NVB San Paolo Edizione (1995) (Italian): Che vuoi da me, o donna?; French Bible en français courant (1997): Mère, est-ce à toi de me dire ce que j’ai à faire?; Münchener NT (1998) with Strong’s: Was (ist zwischen) mir und dir, Frau?; English Standard Version (2001): Woman, what does this have to do with me?; New Living Translation: How does that concern you and me?; New Revised standard Version: Woman, what concern is that to you and to me?; For further details regarding the translation of this verse, see C. P. CEROKE, “The problem of Ambiguity in John 2.4”, CBQ 21 (1959) 316-40; J. MICHL, “Bemerkungen zu Jo. 2.4”, Bib 36 (1955) 492-509; J. C. QUIRANT, “Las Bodas de Canà: La respuesta de Cristo e su Madre: Jn 2.4”, Mar 20 (1958) 157-58; J. N. RHODES, “What do you want from me? (John 2.4)”, BT 52 (2001) 445-47; A. VANHOYE, “Interrogation johannique et exègése de Cana (Jn 2,4)”, Bib 55 (1974) 157-67.
E. ZOLLI, “Quid mihi et tibi, mulier?” Mar 8 (1946) 3-15”.

17 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 55.

18 Per un ulteriore approfondimento, cfr. A. Serra, Maria a Cana e presso la croce, 56ss.

19 I. DE LA POTTERIE, “La Madre di Gesù e il mistero di Cana”, in La Civiltà Cattolica, 130/4 (1979) 431.

20 T. STRAMARE, “La risposta di Gesù a Maria alle nozze di Cana. Il test della ragionevolezza”, in Biblica et Orientalia 44 (2002) 179-192

21 G. ZEVINI, op. cit., 107, nota 46.

22 T. STRAMARE, art. cit., 44 (2002) 179-192.

23 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 61.

24 I. DE LA POTTERIE, art. cit., 433.

25 D. COLETTI, art. cit., 3.

26 A. SERRA, “Vi erano là sei giare…’ in IDEM, Nato da donna…, Roma 1992, 141-188.

27 D. COLETTI, art. cit., 3-4.

28 G. ZEVINI, op. cit., 111.

29 Si veda a tal riguardo, DENIS S. KULANDAISAMY, art. cit., 73-75.

30 G. ZEVINI, op. cit., 113.

31 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 66.

32 G. MLAKUZHYIL, The Christocentric Literary Structure of the Fourth Gospel, Roma 1987, 288.

33 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 70.

34 Ibid., 71.

35 SEVERINO POLETTO, “Sintesi della Lettera enciclica di Benedetto XVI presentata all’Arcidiocesi di Torino come Messaggio per la Quaresima 2006”, in http://www.diocesi.torino.it/archivio2006/poletto_messaggio_quaresima.htm (13 dic 2006)