A) Deserto e fiume

Se il deserto è il luogo dell’intimità con Dio, della prova, della purificazione, dell’abbattimento degli idoli, viverne la spiritualità, oggi, deve comportare tante conseguenze: non lasciarci prendere dall’affanno delle cose; non sprofondare nello scoraggiamento quando si sperimenta l’aridità e la fatica nel quotidiano, con tutte le sue tentazioni; abbattere i piccoli idoli che abbiamo eretto, forse anche accanto alla croce, nel santuario della nostra coscienza.

E se il fiume, nella simbologia biblica, indica la salvezza che straripa provocando novità di vita, sarebbe opportuno chiederci se noi da queste acque ci lasciamo appena lambire, rimanendo a mezza costa o sul greto, sedotti magari solo dalla curiosità, oppure ci siamo decisi cordialmente a «entrare nel fiume». 

B) Parola e voce

II Battista, definito semplice voce di colui che verrà dopo e che sarà la Parola, deve provocare, in noi, una conversione all’umiltà, alla coscienza del limite, al rifiuto di ogni arrogante prevaricazione. Noi siamo i servi della Parola. Le prestiamo vibrazioni e risonanze. La portiamo lontano e le    diamo cadenze di attualità. Ma la Parola è Cristo. È lui che giudica e che salva.

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Forse la considerazione della nostra semplice strumentalità, oltre che spingerci all’approfondimento della Parola che poi, come credenti in Gesù, dobbiamo rivestire di voce, potrebbe riscattarci anche da non pochi abusi di potere.

C) Denuncia e proposta

Lo stile di Giovanni che rimprovera gli ebrei e, ricorrendo al vocabolario più duro, ne sferza la cattiva condotta di vita, potrebbe fuorviarci, se non tenessimo presente che, nel suo messaggio, accanto alla denuncia si colloca l’annuncio, con una incredibile forza propositiva. «Razza di vipere», sì. Ma anche: «Convertitevi», «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri: il regno dei cieli è vicino» (Mt3, 3).

Ci sarebbe da chiedersi se anche nelle nostre comunità cristiane lo sbilanciamento sui versanti della denuncia, che per altro non ha molto bisogno di inventiva, non debba essere ricondotto a più maturo equilibrio mediante proposte positive, incoraggianti, che facciano appello alle risorse della speranza. Sarebbe ben triste che scambiassimo la profezia con l’esercizio del brontolare cronico, dimenticando che essa è danza più che lamento.

D) Acqua e fuoco

«Io vi battezzo con acqua… egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3, 11). È molto significativo che già lo Spirito Santo venga insediato al centro dell’economia di salvezza. Non è raro, infatti, che il Natale venga percepito come espressione del protagonismo solo del Padre e del Figlio, rimandando quasi una più seria presa in considerazione dello Spirito Santo al periodo di Pentecoste. Non c’è nulla di più deleterio di questa visione.

Non sarebbe fuori posto oggi buttare lì, come una pietra nello stagno, una domanda a bruciapelo: che cosa significa per noi credenti fermarsi all’acqua di Giovanni?

E) Grano e pula

Non è esercitare forme di ricatto o di terrorismo spirituale, su di sé o sugli altri, se oggi ci chiediamo qual è la percentuale della crusca nel frumento della nostra esistenza. E non è neppure dare sfogo all’ingenuità se ci si esercita in una specie di bilancio di previsione, pensando a quale sarà la crusca della nostra vita che il Signore un giorno brucerà e a quali saranno i chicchi di grano lucente che egli riporrà nei suoi granai. È solo il tentativo di chi vuol tradurre in spessore di concretezza l’invito alla conversione.

Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 61-66