Commento al Salmo 130 – Canto delle salite

1947

Il Salmo 130, di appena otto versetti, cinquantaquattro parole in tutto in ebraico, è un salmo molto denso che tocca vertici teologici e spirituali. È conosciuto nella tradizione cattolica come De profundis.

Nel salmo si distinguono quattro parti. La prima contiene l’invocazione di apertura (vv.12), che indica i due personaggi del Salmo: l’«io» che grida (l’«io» dell’orante), il «tu» del Signore a cui l’orante chiede ascolto. La seconda parte (vv. 3-4) è una contemplazione del Signore che perdona la colpa. La terza parte (vv. 5-6) riguarda il salmista e la sua speranza che sgorga dalla contemplazione di Dio, nella quarta parte (vv. 7-8) la speranza si allarga a tutto Israele.

Il vocabolario usato dal salmista è vario e amalgama gesti corporei (il grido, la voce, gli orecchi, l’attesa), con simboli che si dispiegano nello spazio e nel tempo (il profondo, l’abisso, il mattino, la notte in cui veglia la sentinella) e con parole tipiche del vocabolario religioso (la preghiera, le colpe, il perdono, il timore, la speranza, l’attesa, la misericordia, la redenzione). Ben otto volte ricorre la parola «Signore» che traduce per cinque volte il nome ineffabile di Dio e per tre volte la parola «Signore» (‘adonay).

L’esperienza spirituale da cui nasce il Salmo 130 è condensata in una parola: «profondo» (v. 1). Questa parola non indica – come nel nostro linguaggio – ciò che si trova nella parte più intima del cuore, né le profondità della psiche, ma ha connotazione negativa. Il «profondo» è ciò che è inaccessibile, incomprensibile, inscrutabile, come le profondità della terra, o delle acque (Sal 69,3.15; Ez 2,7.34) o del mare (Is 51,10); sta ad indicare una situazione disperata, vicina alla morte, come di chi è naufrago o è precipitato nell’abisso. Il «profondo», inoltre, è simbolo della morte e della lontananza da Dio e fa parte del simbolismo con cui nei Salmi si descrive il male, che è una fossa, un vischio, una palude, un abisso che inghiotte.

Da quanto il salmista dice, comprendiamo che il male in questione non è esterno a lui, ma è quello di cui egli stesso è complice e responsabile. Considerando il proprio peccato, egli sitrova avvolto nella tenebra. Un momento simile di oscurità si sperimenta quando ci si accorge di essere veramente responsabili del male, quando si smette di scaricare la colpa sugli altri, quando ci si accorge di ripetere sempre le stesse azioni e di essere incapaci, per quanto lo si desideri, di uscire da tale situazione. Il salmista è arrivato qui dopo un lungo cammino.

Dal profondo senso di colpevolezza in cui si trova, il salmista grida: chiede con insistenza di essere ascoltato (vv. 1-2). Così facendo, indirettamente, confessa le proprie colpe, senza dire di che si tratti, né facendo buoni propositi per l’avvenire, perché sa che qualsiasi tentativo di bilancio o di salvarsi da solo, lo vedrebbe spacciato: si sente profondamente peccatore. In tali momenti, non c’è altra via di uscita che quella della fede, attraverso il riconoscimento che la salvezza è già stata data, in Gesù. Il pensiero del salmista è così solo per Dio, che egli contempla – come le Scritture ci insegnano a fare – come volto che perdona (vv. 3-4).

Dall’esperienza del perdono nasce un’esistenza trasformata, capace di amare, servire, onorare Dio (il «timore», al v.4, più che la paura, è il senso di riverenza). La vita rinasce nella sua capacità di bene: chi sperimenta il perdono scopre che Dio, che ha mandato suo Figlio, è suo alleato, nella ricerca di ciò che autenticamente rende piena e bella la vita.

Dopo aver gridato a Dio, allora, colui che prega attende la Parola del Signore (vv. 5-6). L’attesa della Parola, l’essere proteso verso il Signore, diventa il respiro del salmista: in ebraico la parola tradotta in italiano con «anima» è una parola che significa letteralmente «gola», «respiro», «desiderio». L’attesa della Parola viene paragonata all’attesa della sentinella per lo spuntare del sole, la cui intensità è sottolineata dalla ripetizione.

Alla fine della preghiera tutto Israele è invitato ad unirsi a questa attesa (vv. 7-8). Non è strano che in una preghiera individuale si nomini il popolo: quando si prega si è sempre solidali con tutti i fratelli con i quali si condivide il cammino di ricerca e di incontro con Dio.

Alcune domande:

  • Qual è il mio atteggiamento di fronte al male?
  • Ci sono aspetti, ambiti, episodi della mia vita che mi gettano nello sconforto e nell’oscurità quando li  considero? Ho mai provato a guardarli davanti al Signore Gesù,  che è venuto perché abbiamo vita in abbondanza? Che cosa desidero che il Signore faccia per me?
  • Quali emozioni, sentimenti, pensieri, desideri, decisioni suscita in me la preghiera attraverso questo salmo?

Fonte – Chiesa di Milano

Salmo 130

1 Canto delle salite.
Dal profondo a te grido, o Signore;

2 Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica.

3 Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?

4 Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore.

5 Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.

6 L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora.

Più che le sentinelle l’aurora,
7 Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.

8 Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.