card. Gianfranco Ravasi – Una voce sulle rive del Giordano

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Il nostro itinerario nelle pagine bibliche era iniziato esattamente un anno fa e, seguendo il calendario liturgico, si chiude ora nella solennità di Cristo Re. Abbiamo fatto sfilare davanti agli occhi dei nostri lettori tanti personaggi, abbiamo raccontato varie storie e presentato temi molteplici. C’era, però, un filo conduttore o forse una filigrana che attraversava le pagine selezionate: era la vocazione, spinti in questo dal titolo del Sinodo dei vescovi che si è celebrato a Roma lo scorso mese, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Nel 2017 erano stati i giovani i protagonisti della nostra rubrica; nell’anno che ora sta per avviarsi a conclusione sono state, invece, le diverse chiamate da parte di Dio rivolte alla libertà umana.

A suggello di questo percorso, nella nostra ultima tappa, facciamo salire sulla scena, in pienezza e solitudine, colui che era spesso presente in modo implicito o diretto, Gesù Cristo, il festeggiato per eccellenza dalla comunità dei chiamati cristiani. Sì, perché anche lui ha avuto una sua vocazione da parte del Padre celeste. L’ha detto lui stesso, appena entrato nella maggiore età, dodici anni secondo la tradizione giudaica (ora tredici, con il rito del bar-mizvah): «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?», aveva dichiarato alla madre Maria e al padre legale Giuseppe (Luca 2,49).

L’aveva poi ripetuto da adulto in una notte a un interlocutore di alto livello come Nicodemo, membro del Sinedrio, la massima autorità giuridica giudaica: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito… Non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3,16-17). Ripetutamente aveva ribadito di essere l’Inviato per eccellenza del Padre e di essere impegnato a compiere la volontà del Padre divino. Ma quale è stato il momento ufficiale dello svelamento della sua vocazione e missione davanti all’umanità?

La risposta è una scena che segna l’apertura della missione di Cristo e che vede in azione quel Giovanni Battezzatore e Precursore la cui vocazione abbiamo voluto descrivere la scorsa settimana. Siamo sulla sponda forse orientale del Giordano e Gesù è battezzato da Giovanni. In quel momento egli vive un’esperienza intima che si riverbera in un’epifania pubblica. Si squarciano i cieli e lo Spirito di Dio sotto il simbolo della colomba si rivela agli spettatori della scena. Questo uccello, tra l’altro, era anche il simbolo di Israele (Salmo 68,14; 74,19; Osea 7,11): rappresenta, allora, la nuova comunità fedele che sta per radunarsi attorno al Messia.

Ogni vocazione, come abbiamo spesso ripetuto nelle nostre analisi delle varie chiamate, è legata a una voce. E qui, sulle rive del fiume, davanti a Giovanni e alla folla accorsa, è una voce dal cielo che proclama: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Matteo 3,17). L’atto rituale di purificazione, che il Battista amministrava agli Ebrei, si trasforma nell’investitura solenne messianica di Gesù davanti a tutto Israele. Da quel momento si apre il cammino del Figlio che «sarà innalzato da terra, per attirare tutti a sé» (Giovanni 12,32). Ed egli potrà affermare: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato… Io sono venuto non per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (12,44-45.47).

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