card. Gianfranco Ravasi – Una giovane serva e lo sguardo di Cristo

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È sceso ormai su Gerusalemme il sudario della notte. Gesù, in stato di arresto, è condotto nel palazzo del sommo sacerdote. Luca non lo nomina, ma si tratta di Caifa, il cui primo nome era Giuseppe e che restò in carica dal 18 al 36 d.C., esercitando la sua funzione – che era anche quella di capo del Sinedrio, l’assemblea di 70 membri destinata a gestire le questioni socio-religiose del popolo giudaico, sotto l’egida suprema dell’Impero romano – in modo scaltro e ferreo. Siamo introdotti nel cortile della sua residenza ove s’accalca una piccola folla, controllata dalle guardie del Sinedrio.

In questo spazio, con malcelata indifferenza, s’insinua anche l’apostolo Pietro. Lasciamo la parola all’evangelista Luca, il cui racconto accompagnerà le ormai prossime celebrazioni liturgiche della passione e morte di Cristo. «Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: “Anche costui era con lui”. Ma egli negò dicendo: “O donna, non lo conosco!”» (22, 55-57). A prima vista, questa presenza femminile è provocatrice, e sembra corrispondere ai vari stereotipi sulla curiosità o malizia femminile, come scriveva il poeta francese ottocentesco Alfred de Vigny, alludendo alla triste fine di Sansone tradito da Dalila: «Più o meno, la donna è sempre Dalila».

In realtà, a smascherare Pietro si impegnano subito dopo anche due uomini là presenti, generando la reazione stizzita e ipocrita dell’apostolo: «O uomo, non sai quello che dici!». Ma quella «giovane serva», in verità, per prima aveva squarciato il velo della meschinità di Pietro. Infatti, come si è letto, lei aveva puntato dritto i suoi occhi in quelli del discepolo «guardandolo attentamente». Luca usa il verbo greco piuttosto raro atenízein, “fissare gli occhi intensamente”, un verbo adottato anche nel caso della folla di Nazaret che, nella sinagoga, aspettava le parole di Gesù: «Gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (4,20).

Nella finale del racconto di questo episodio notturno c’è un altro intreccio di sguardi che lacera completamente l’ipocrisia dell’apostolo. Mentre è trasferito sotto scorta, Gesù «si voltò e fissò lo sguardo su Pietro» (22,61). Il verbo ora scelto dall’evangelista è enéblepsen, ossia uno sguardo che “penetra in profondità” e che sconvolge il discepolo, mentre anche il suo orecchio è squarciato dal canto ammonitore di un gallo. La conclusione, come è noto, è af™fidata a due sole parole: l’apostolo «pianse amaramente» (22,62).

Una donna aveva in un certo senso aperto la storia del tradimento di Pietro, in un gioco di sguardi. Alla fi™ne è ancora un incrocio degli occhi tra lui e Gesù a far sì che scorrano le lacrime del pentimento. Un altro scrittore francese dell’Ottocento, René de Chateaubriand, descriverà anch’egli con due parole la sua conversione: J’ai pleuré et j’ai cru, «Ho pianto e ho creduto».

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