Card. Gianfranco Ravasi – Nessuna figura, soltanto una voce

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«I giovani, la fede e il discernimento vocazionale»: anche se è un po’ elaborato, tutti ormai conoscono il titolo e quindi il tema della XV assemblea generale del Sinodo dei vescovi che si terrà a Roma il prossimo anno. I lettori che ci seguono con costanza sanno anche che per tutto l’anno liturgico trascorso – quindi dall’Avvento 2016 fino alla scorsa settimana – abbiamo fatto scorrere davanti ai loro occhi una vera e propria galleria di ritratti di giovani che si affacciano nelle pagine bibliche.

Sono figure spesso drammatiche, a partire dai primi due personaggi, i fratelli Caino e Abele, e questo ci ricorda come la nostra religione supponga una presenza di Dio non isolata, remota o solo sacrale tra gli incensi, i lumi e i canti del tempio, ma una sua vicinanza spalla a spalla con noi, mentre faticosamente ci inoltriamo lungo i sentieri della storia, tra il riso e le lacrime, l’amore e l’odio, la bellezza e la miseria.

Lasciato alle spalle questo itinerario, abbiamo pensato di intraprendere un nuovo cammino nelle Sacre Scritture, cercando di illustrare un’altra componente di quel titolo del Sinodo, ossia il “discernimento vocazionale”, in pratica l’identificazione dei diversi modelli di vocazione che vengono presentati dai vari libri biblici. Non è difficile definire l’esperienza umana esistenziale e spirituale che va sotto il nome di «vocazione». Basta badare alla radice di questo vocabolo che è di matrice latina.

In quella che è la lingua madre dell’italiano, vocare signica semplicemente “chiamare” e suppone una vox, una “voce” che interpella in vari modi una persona. Basti pensare ai diversi termini che sono sbocciati da quella base, parole dai significati molteplici e incisivi: invocare, (ri)evocare, provocare, convocare, avocare. Come è evidente, la “voce” iniziale è decisiva perché dà il via a una serie di reazioni positive ma anche negative. C’è un bellissimo esempio nella Bibbia, destinato a sintetizzare la vocazione dell’intero popolo di Dio, Israele, che “nasce” come tale da una “voce” che scende dal Monte Sinai, simbolo della trascendenza, cioè dell’infinito e dell’eterno divino.

Ecco il passo messo in bocca a Mosè, la grande guida dell’esodo dall’Egitto verso la Terra promessa: «Il Signore vi parlò dal fuoco: voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce» (Deuteronomio 4,12). Dio non è una statua come l’idolo; è una persona che comunica attraverso le parole che, come affermava lo scrittore francese Victor Hugo, sono «creature viventi», perché non è vero che muoiono quando sono pronunciate: esse possono continuare a vivere a lungo. È proprio il caso della “vocazione”: è una voce interiore che forse risuona in un istante o riecheggia ripetutamente e che, alla fine, cambia una vita.

Fermiamoci per ora qui. Ritorneremo sul significato generale della vocazione. Per ora vorremmo concludere con una bella battuta di un famoso regista russo, Konstantin Stanislavskij (1863-1938): «Non ci sono piccoli ruoli, ci sono solo piccoli attori». È ciò che dimostreremo nel nostro lungo viaggio all’interno della Bibbia nella ricerca di tanti volti di “chiamati” da Dio, alcuni celebri, altri minori, eppure tutti appartenenti alla grandiosa storia della salvezza.

Fonte: Famiglia Cristiana