card. Gianfranco Ravasi – Lidia, commerciante di porpora a Filippi

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Nelle nostre memorie scolastiche, la città macedone di Filippi – che portava il nome del suo fondatore, Filippo II, padre di Alessandro Magno (IV sec. a.C.) – è presente per la battaglia risolutiva del 42 a.C. tra Ottaviano e Marco Antonio, da una parte, e Bruto e Cassio, dall’altra, e per quel motto «ci rivedremo a Filippi», tramandato dallo storico greco Plutarco. Per il cristianesimo, invece, la città – che ora è testimoniata da importanti e suggestive rovine archeologiche – è legata alla Lettera che Paolo scrisse ai cristiani filippesi, la comunità a lui più cara con la quale ebbe un vincolo di amicizia, tanto da riconoscere di essere «ricolmo dei vostri doni che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio» (Filippesi 4,18).

Ebbene, nella nostra galleria di ritratti di donne cristiane, disegnato da Luca negli Atti degli Apostoli, dobbiamo riservare uno spazio particolare a un personaggio femminile residente proprio a Filippi. Si tratta di Lidia, una donna d’affari operante in quella città greca. Là, infatti, era nata la prima comunità cristiana europea, dopo che l’apostolo a Troade, sulla costa del Mar Egeo, nell’attuale Turchia, aveva avuto la visione notturna di un uomo macedone che lo supplicava: «Passa in Macedonia, e aiutaci!» (16,9).

Così, salpando da Troade, era approdato a Filippi e, dopo una sosta di alcuni giorni, di sabato si era recato fuori delle porte della città lungo un fiume: là, infatti, si radunavano gli ebrei locali che, non avendo una sinagoga, pregavano sulle rive di quel fiume così da avere a disposizione l’acqua per le abluzioni rituali. Paolo, com’era suo costume, si rivolse proprio a costoro. «C’era ad ascoltare una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiatira, una credente in Dio. Il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (16,14).

Lidia portava un nome comune allora diffuso: era quello di una regione dell’Asia Minore, famosa per la sua prosperità (suo re era stato Creso!). Era una convertita all’ebraismo dal paganesimo: tale, infatti, è il valore della formula usata da Luca «credente in Dio». Era originaria di una città dell’Asia Minore, Tiatira, situata sul fiume Lico, famosa per le sue industrie di trattamento e tintura della porpora: la corporazione dei tintori di quel centro è attestata da molte iscrizioni venute alla luce durante gli scavi archeologici di quella che ora è la città turca di Akhisar. Alla comunità cristiana di Tiatira sarà indirizzata una delle sette lettere dell’Apocalisse (2,18-29).

Anche Lidia apparteneva a quella corporazione di operatori commerciali che trattavano la porpora rossa e viola, ma si era trasferita poi a Filippi. La sua vita fu mutata proprio da quell’incontro. Scrive Luca negli Atti: «Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa. E ci costrinse ad accettare» (16,15). Anche dopo la carcerazione che Paolo con il suo collaboratore Sila dovette subire a Filippi per un’imputazione che tra poco spiegheremo, la casa di Lidia rimase sempre aperta, divenendo una sorta di chiesa domestica dove i cristiani filippesi, tanto cari all’apostolo si riunivano in fraternità e in preghiera (16,40).

A margine ricordiamo una scenetta che si svolge a Filippi e che ha per protagonista una schiava di professione indovina, sfruttata per questo dai suoi padroni. Essa aveva riconosciuto in Paolo una straordinaria presenza di Dio e l’apostolo l’aveva liberata da quella possessione, creando, però, una reazione da parte dei suoi padroni che denunciarono l’apostolo e lo fecero incarcerare. Ma un misterioso terremoto lo libererà dalle catene (16,16-40).

Fonte: Famiglia Cristiana