card. Gianfranco Ravasi – Le briciole di pane date ai cagnolini

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André Gide è stato un importante scrittore francese, nato a Parigi nel 1869 e morto nel 1951, Nobel nel 1947. La sua era una famiglia protestante calvinista e, quindi, rigida e puritana. Il figlio ruppe radicalmente con l’educazione ricevuta e divenne agnostico. Tuttavia un fondo cristiano rimase sempre in lui e, nell’opera autobiografica intitolata Namquid et tu?, confessava: «Penso che non si tratti di credere alle parole di Cristo perché Figlio di Dio, quanto di capire che egli è Figlio di Dio perché la sua parola è divina e infinitamente più alta di tutto ciò che l’arte e la saggezza umana possono proporci. Signore, non perché mi è stato detto che tu eri il Figlio di Dio ascolto la tua parola; ma la tua parola è bella sopra ogni parola umana, e da questo riconosco che sei Figlio di Dio».

Certo è che il Vangelo ha una forza talmente dirompente da aver attraversato i secoli, stimolato l’arte, la letteratura, la cultura, il pensiero, sconvolto coscienze, consolato e inquietato infinite anime. Bisogna riconoscere anche che la sua parola è talora simile a una spada che taglia i nodi dell’egoismo, che infrange le protezioni dell’ipocrisia, che crea persino sconcerto. È ciò che scopriamo ora nel nostro viaggio all’interno del Vangelo di Luca, alla ricerca della presenza delle figure femminili. Questa volta si tratta solo di poche frasi che anche Matteo riferisce e che sembrano scandalizzanti.

Ascoltiamole: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Luca 12,51-53).

Il contrasto è forte: non pace, ma divisione (Matteo parla, invece, di “spada”). Nel greco di Luca si ha un vocabolo che ricorre solo qui in tutto il Nuovo Testamento, diamerismós (“divisione”), che letteralmente vuole indicare un “fare a pezzi” e che raffigura potentemente l’irruzione di Cristo e della sua parola. Questo intervento “divisivo” di Cristo è rappresentato fortemente attraverso la frantumazione delle relazioni familiari e sociali. La sua parola e le scelte conseguenti non sono inoffensive; esigono una decisione radicale (si pensi solo al Discorso della montagna). Gesù, riguardo alle tensioni che possono instaurarsi all’interno della famiglia, ricorre a una sequenza che vede in azione anche le relazioni femminili.

Sono due coppie classiche: madre-figlia e suocera-nuora. Se la prima rimanda allo scontro generazionale, la seconda fa parte anche di uno stereotipo, per cui le due figure, pur appartenendo alla stessa nuova famiglia, rivelano la matrice diversa da cui provengono. Gesù per formulare le esigenze radicali della sua sequela – un tema che riprenderemo in futuro sempre secondo la prospettiva femminile (Luca 14,26) – ricorre allusivamente a un passo del profeta Michea (VIII sec. a.C.) che, però, si muoveva in altra direzione: «Il figlio insulta suo padre, la figlia si rivolta contro la madre, la nuora contro la suocera e i nemici dell’uomo sono quelli di casa sua» (7,6). Cristo non rimanda alla drammatica esperienza delle liti familiari, ma mostra solo che il cristianesimo non è una religiosità tradizionale poco impegnativa, ma una scelta profonda e sofferta anche nelle relazioni umane femminili.

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