Card. Gianfranco Ravasi – Il nostro credito nei confronti di Dio

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Chi ha approfondito lo studio della Bibbia sa che nelle pagine della Genesi sono presenti varie «tradizioni» storico-letterarie. Per usare un’immagine, sono come inchiostri e mani differenti che narrano le vicende dei vari personaggi con tratti propri. I redattori finali del libro, che ora abbiamo tra le mani, talvolta hanno semplicemente appaiato racconti diversi su contenuti analoghi. La scorsa settimana abbiamo evocato la chiamata di Abramo secondo una di queste tradizioni, quella che gli esegeti usano denominare “Jahvista”, a causa del nome sacro Jahweh presente in quelle pagine.

Ora presentiamo un altro racconto della vocazione di Abramo, dovuto a una nuova tradizione defi…nita “Elohista” per l’uso del nome divino ’Elohîm, “Dio”. Essa si svolge secondo il tipico contrappunto tra chiamata e risposta. La voce divina risuona improvvisa e offre al chiamato il sostegno per la sua missione: «Non temere, Abram, io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande» (Genesi 15,1). La risposta umana del patriarca biblico non è più così netta come quella che abbiamo visto la scorsa volta leggendo il capitolo 12 secondo la tradizione “Jahvista”, ove si aveva un imperativo divino: «Vattene!» e una pronta risposta umana: «Abram andò».

In questa narrazione Abramo oppone un’obiezione: «Signore Dio, che cosa mai mi darai? Io me ne vado senza …figli… A me non hai dato discendenza, e un mio domestico, Eliezer di Damasco, sarà mio erede» (15,2-3). Secondo il diritto semitico, in caso di assenza di eredi diretti, cioè i fi…gli o i nipoti, il patrimonio passava al maggiordomo, il capo dei servi. L’obiezione è chiara: quale promessa egli avrà se il futuro della storia che Dio gli prospetta non sarà legato alla persona dell’eletto?

Dio, però, come accadrà a Mosè e a Geremia, spazza via l’obiezione e, con un gesto simbolico poetico e suggestivo, conferma ad Abramo la vocazione e la promessa: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle… Tale sarà la tua discendenza» (15,5). A questo punto scatta nel chiamato l’obbedienza espressa con una frase cara a san Paolo, che la commenterà nel capitolo 4 della Lettera ai Romani e in Galati 3,6-7. Eccola: «Egli credette al Signore che glielo accreditò come giustizia» (15,6).

Tre sono i termini da considerare. Innanzitutto il verbo “credere”, che in ebraico è in pratica il nostro amen e letteralmente signi…ca “fondarsi” sulla parola divina, basarsi sulla roccia stabile della …fiducia in una persona che non ti inganna. Segue un altro verbo, “accreditare”, che di per sé è usato per designare la validità di un sacri…ficio, compiuto secondo norme rituali e quindi messo in conto al fedele perché il Signore lo ricompensi. Ora, invece, il vero sacri…ficio che Dio gradisce – come ribadiranno i profeti – è l’atteggiamento di fede che coinvolge non un sacrificio animale ma tutta la vita. È questo il nostro “credito” nei confronti di Dio.

Infi…ne, Abramo è presentato come uomo della “giustizia” che, nel linguaggio biblico, è prima di tutto la fedeltà totale e generosa. Dio è “giusto” non solo quando giudica, ma soprattutto quando salva. L’uomo “giusto” è colui che aderisce a Dio in pienezza di fede e di amore. Abramo diventa “giusto” non perché moltiplica riti sacri…ficali, ma per il sacrifi…cio perfetto della sua vita. A lui possiamo assegnare la frase del profeta Abacuc cara a Paolo: «Il giusto per fede vivrà!» (2,4; cfr. Romani 1,17; Galati 3,11).

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