Card. Gianfranco Ravasi – Dio parla con «voce di silenzio sottile»

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«La morte è il lato della vita rivolto dall’altra parte rispetto a noi, è il lato non illuminato da noi». Così scriveva il grande poeta austriaco Rainer M. Rilke. Sono parole che acquistano un senso particolare in questo tempo pasquale e che possono essere illustrate con la scena “folgorante” con la quale la Bibbia delinea la fine del profeta Elia, figura libera e potente. Se si va a contemplare la splendida e preziosa porta lignea intagliata attorno al 430 per la basilica romana di Santa Sabina, su un riquadro si scopre una biga infuocata che ascende verso il cielo, mentre da essa Elia viene strappato da un angelo per condurlo a Dio.

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Molti anni fa fui invitato a presentare a Milano con il noto maestro Gianandrea Gavazzeni (1909-1996) un mirabile oratorio composto dal musicista Felix Mendelssohn-Bartholdy, intitolato Elias, eseguito per la prima volta a Birmingham il 26 agosto 1846. Ascoltai, poi, quell’imponente opera nella basilica di Sant’Ambrogio e, attraverso le parole di quel testo tedesco, riuscii a isolare anche questa ascensione del profeta tra le braccia di quel Dio che egli aveva difeso contro le degenerazioni idolatriche del re Acab e della sua implacabile moglie, la principessa fenicia Gezabele.

Ma tra gli altri quadri musicali ce n’era uno nel quale troviamo il rinnovo della vocazione profetica di Elia, proprio dopo essere stato costretto a una fuga precipitosa e fin disperata (egli è tentato di lasciarsi morire nel deserto) per evitare l’arresto da parte di Gezabele, desiderosa di far tacere una voce così disturbante e forte. Elia ascende a fatica, alla fine, sulla vetta del Monte Horeb- Sinai, la culla di Israele come popolo, quasi a voler risalire alle radici di una fede che egli ha sempre vissuto con coraggio e pienezza ma che ora sembra entrata in crisi.

UNA MISSIONE RINNOVATA. È lassù che, in un’epifania, ritorna a risuonare per lui la chiamata divina. All’inizio della sua missione c’era stato solo un ordine secco che aveva staccato Elia dalla sua città, Tisbe in Transgiordania: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente, nasconditi presso il torrente Cherit» (1Re 17,3). Ora, invece, è un evento solenne e maestoso, scandito dalla coreografia delle tradizionali apparizioni del Sinai: fulmini, vento tempestoso, terremoto, fuoco.

Eppure questo apparato che colpisce il corpo del profeta facendolo tremare e sudare non è lo strumento della rivelazione divina, come s’aspettava quest’uomo focoso «la cui parola bruciava come fiaccola» (Siracide 48,1). Il Signore gli si manifesta, invece, in una qol demamah daqqah, espressione che può essere tradotta come «sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,12), ma anche come «voce di silenzio sottile».

Una frase potente nella sua antitesi tra «voce» e «silenzio»: è proprio nel silenzio che Dio si svela e riporta al cuore di Elia il coraggio per la sua missione rinnovata: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco » (1Re 19,15). La nuova vocazione avrà persino un profilo internazionale perché il profeta dovrà consacrare due re, uno nuovo per Israele e uno per la Siria. Nell’alone del silenzio e della solitudine il Signore chiama spesso per dare l’avvio alla rinascita di una vocazione in crisi.

FONTE