Commento al Vangelo del 24 luglio 2016 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 24 luglio 2016 (il brano del Vangelo è a fine articolo) XVII Domenica del Tempo Ordinario, a cura di Paolo Curtaz.

Pregare il Padre

Fa impressione vedere come ci siano delle persone che si dicono credenti, devote, anzi, ultra-devote, e che nel mese sacro del Ramadan, nell’ora della preghiera, si prendano il disturbo di entrare in un locale per sgozzare venti persone, tutti inermi, indifese, fra cui una donna incinta, senza alcuna colpa se non quella, nel loro delirio immaginifico, di impersonare l’avversario, il nemico. E uccidere ottanta persone con un camion, bambini compresi.

E di pensare che questo gesto folle, suicida, incomprensibile, possa rendere gloria al dio. O diffondere l’Islam.

Viene davvero da chiedersi quale idea mostruosa di Dio (e di sé) portino nel cuore.

E ribadisco, ancora una volta: il modo migliore che abbiamo per contrastare questa follia è quella di diventare noi per primi credenti, convertire il nostro cuore al vero volto di Dio perché altri si convertano.

Il modo di contrastare questa paura, questo delirio, non è alzare muri (poi, certo, la sicurezza faccia la sua strada), ma alzare il nostro livello di fede. Pregare, andare a Messa, credere, amare.

E, quasi ad illuminare questi eventi tragici, la Parola di oggi ci aiuta a riflettere sul tema della vera fede, della vera preghiera, del vero Dio.

A metterci in ascolto del rabbì, come ha saputo fare Maria, domenica scorsa.

Per imparare a pregare, come chiedono di fare di discepoli, affascinati dalla preghiera del loro Maestro e Signore.

[ads2]Ti prego!

La preghiera, purtroppo, gode fra noi cattolici di pessima fama.

Come una cosa inutile, che deve lasciare spazio, invece, all’azione.

Dietro questa idea ci sono secoli di inviti alla devozione, alla recita di formule nate splendide e morte distratte, di rosari biascicati pensando ad altro.

La preghiera concepita come uno sfinimento per convincere Dio. Uno sfinimento che porta allo sfinimento, nostro e di Dio. Il termine stesso, preghiera, è diventato sinonimo di recita, di cantilena, di insistenza atta a convincere qualcuno delle nostre buone.

Ti prego, fammi un favore!

È diventato il ritornello del nostro chiedere, della nostra preghiera quotidiana.

Prima di parlare di preghiera, dobbiamo compiere lo sforzo immane di cancellare tutte queste false idee e di metterci in ascolto.

Ascolta

Come Maria la preghiera è, prima di ogni altra cosa, sedersi ad ascoltare.

Ascoltare qualcuno che si ama, che stima, che si ammira.

Quel Gesù che pregava come mai nessuno aveva pregato, che stupiva e affascinava gli apostoli quando, nel cuore della notte, si alzava per parlare in cuor suo al Padre. Uno stile nuovo, diverso dalla preghiera collettiva, al tempio, in sinagoga. Una preghiera intima che gli apostoli intuiscono essere all’origine della serenità e della forza del Signore, del Maestro.

Perciò chiedono al Maestro di insegnar loro a pregare.

E Gesù lo fa, consegnando loro la preghiera per eccellenza, il Padre Nostro che, nella versione di Luca, è ancora più essenziale. E che già ci dice cosa è preghiera: dialogo con Padre, per chiedere, sì, ma anche per agire, per cambiare atteggiamento di vita.

La preghiera è fiducia

Gesù ci svela il volto del Padre: è a lui che rivolgiamo la preghiera. Non a un despota capriccioso, non a un potente da convincere. Siamo diventati figli, ci ha detto san Paolo, Dio ci tratta come tratta il suo figlio beneamato. Un buon Padre sa di cosa ha bisogno il proprio figlio, non lo lascia penare. Molte delle nostre preghiere restano inascoltate perché sbagliano indirizzo del destinatario: non si rivolgono a un padre ma a un patrigno o a un antipatico tutore a cui chiedere qualcosa che, pensiamo, in realtà ci è dovuto.

Vi confido una cosa che ho scoperto nella mia povera vita: ho chiesto e non mi è stato dato. Allora, in quei momenti, mi sono scoraggiato. Oggi, a distanza di anni, so che ho ottenuto tutto ciò di cui avevo bisogno e che, spesso, non era ciò che chiedevo.

La preghiera è amicizia e costanza

Come quel tale che va a chiedere dei pani nel cuore della notte.

Quando preghiamo ci rivolgiamo ad un amico. E lo facciamo per chiedergli qualcosa per sfamare gli ospiti della nostra vita, non per vincere agli Europei di calcio.

Amicizia reciproca, come abbiamo letto nella splendida pagina della Genesi: il rapporto con Abramo si è consolidato e Dio decide di parlargli del proprio progetto di abbandonare Sodoma alla propria malvagità. Abramo ha un tuffo nel cuore: a Sodoma abita Lot, suo nipote, e inizia una serrata contrattazione. Alla fine la spunta Abramo: se Dio troverà a Sodoma anche solo dieci giusti salverà l’intera città. Sodoma sarà distrutta, ribaltando la teoria della solidarietà per cui tutti pagano per colpa di uno. In questo caso tutti saranno salvati per i meriti di dieci.

La preghiera è un colloquio intimo, uno scambio di opinioni, una reciproca intesa.

Non una lista della spesa, non un tentativo di corruzione, non una litania portafortuna.

Concepiamo la preghiera come una serie di formule bene auguranti, ma la preghiera è fatta anzitutto di ascolto, l’ascolto di Dio, e di intercessione, intercessione per il mondo, non per i miei bisogni.

Perché no?

Perché non imparare a pregare?

La preghiera ha bisogno di te, anzitutto: come sei, devoto o ateo, santo o peccatore. Ma un “tu” vero, non finto, non di facciata. La preghiera ha bisogno di un tempo: cinque minuti, per iniziare, il tempo in cui non sei proprio rimbambito o distratto, spegnendo il cellulare e isolandoti. La preghiera ha bisogno di un luogo: la tua camera, la metro, la pausa pranzo. La preghiera ha bisogno di una parola da ascoltare: meglio se il Vangelo del giorno, da leggere con calma e assaporare. La preghiera ha bisogno di una parola da dire: le persone che incontri, le cose che ti angustiano, un “grazie” detto a Dio. La preghiera ha bisogno di una parola da vivere: cosa cambia ora che riprendi la tua attività quotidiana?

Venga lo Spirito promesso dal Signore, amici, lo Spirito che ci permette di vedere con uno sguardo diverso anche le cose che ci sembrano indispensabili alla nostra felicità, capendo, infine, che ciò che riteniamo un ostacolo insuperabile non è poi così importante risolverlo e – forse – non è neppure un ostacolo.

Perché, nella preghiera, scopriremo che nulla ci può impedire di dire con verità: Padre.

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XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Lc 11, 1-13
Dal Vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 24 – 30 Luglio 2016
  • Tempo Ordinario XVII, Colore verde
  • Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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