Papa Francesco – Udienza ai partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata

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GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA

GIUBILEO DELLA VITA CONSACRATA

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Aula Paolo VI
Lunedì, 1° febbraio 2016

Discorso che il Papa ha rivolto a braccio ai consacrati presenti all’incontro.

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Discorso consegnato dal Santo Padre:

Cari fratelli e sorelle,

sono contento di incontrarmi con voi al termine di questo Anno dedicato alla vita consacrata.

Un giorno, Gesù, nella sua infinita misericordia, si è rivolto a ciascuna e ciascuno di noi e ci ha chiesto, personalmente: «Vieni! Seguimi!» (Mc 10,21). Se siamo qui è perché gli abbiamo risposto “sì”. A volte si è trattato di un’adesione piena di entusiasmo e di gioia, a volte più sofferta, forse incerta. Lo abbiamo comunque seguito, con generosità, lasciandoci guidare per vie che non avremmo neppure immaginato. Abbiamo condiviso con Lui momenti di intimità: «Venite in disparte […] e riposatevi un po’» (Mc 6,31); momenti di servizio e di missione: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13); perfino la sua croce: «Se qualcuno vuol venire dietro a me […] prenda la sua croce» (Lc 9,23). Ci ha introdotti nel suo stesso rapporto con il Padre, ci ha donato il suo Spirito, ha dilatato il nostro cuore sulla misura del suo, insegnandoci ad amare i poveri e i peccatori. Lo abbiamo seguito insieme, imparando da Lui il servizio, l’accoglienza, il perdono, la carità fraterna. La nostra vita consacrata ha senso perché rimanere con Lui e andare sulle strade del mondo portando Lui, ci conforma a Lui, ci fa essere Chiesa, dono per l’umanità.

[ads2]L’Anno che stiamo concludendo ha contribuito a far risplendere di più nella Chiesa la bellezza e la santità della vita consacrata, intensificando nei consacrati la gratitudine per la chiamata e la gioia della risposta. Ogni consacrato e consacrata ha avuto la possibilità di avere una più chiara percezione della propria identità, e così proiettarsi nel futuro con rinnovato ardore apostolico per scrivere nuove pagine di bene, sulla scia del carisma dei Fondatori. Siamo riconoscenti al Signore per quanto ci ha dato di vivere in questo Anno così ricco di iniziative. E ringrazio la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che ha preparato e realizzato i grandi eventi qui a Roma e nel mondo.

L’Anno si conclude, ma continua il nostro impegno a rimanere fedeli alla chiamata ricevuta e a crescere nell’amore, nel dono, nella creatività. Per questo vorrei lasciarvi tre parole.

La prima è profezia. E’ il vostro specifico. Ma quale profezia attendono da voi la Chiesa e il mondo? Siete anzitutto chiamati a proclamare, con la vostra vita prima ancora che con le parole, la realtà di Dio: dire Dio. Se a volte Egli viene rifiutato o emarginato o ignorato, dobbiamo chiederci se forse non siamo stati abbastanza trasparenti al suo Volto, mostrando piuttosto il nostro. Il volto di Dio è quello di un Padre «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (Sal 103,8). Per farlo conoscere occorre avere con Lui un rapporto personale; e per questo ci vuole la capacità di adorarLo, di coltivare giorno dopo giorno l’amicizia con Lui, mediante il colloquio cuore a cuore nella preghiera, specialmente nell’adorazione silenziosa.

La seconda parola che vi consegno è prossimità. Dio, in Gesù, si è fatto vicino ad ogni uomo e ogni donna: ha condiviso la gioia degli sposi a Cana di Galilea e l’angoscia della vedova di Nain; è entrato nella casa di Giairo toccata dalla morte e nella casa di Betania profumata di nardo; si è caricato delle malattie e delle sofferenze, fino a dare la sua vita in riscatto di tutti. Seguire Cristo vuol dire andare là dove Egli è andato; caricare su di sé, come buon Samaritano, il ferito che incontriamo lungo la strada; andare in cerca della pecora smarrita. Essere, come Gesù, vicini alla gente; condividere le loro gioie e i loro dolori; mostrare, con il nostro amore, il volto paterno di Dio e la carezza materna della Chiesa. Che nessuno mai vi senta lontani, distaccati, chiusi e perciò sterili. Ognuno di voi è chiamato a servire i fratelli, seguendo il proprio carisma: chi con la preghiera, chi con la catechesi, chi con l’insegnamento, chi con la cura dei malati o dei poveri, chi annunciando il Vangelo, chi compiendo le diverse opere di misericordia. Importante è non vivere per sé stessi, come Gesù non ha vissuto per Sé stesso, ma per il Padre e per noi.

Arriviamo così alla terza parola: speranza. Testimoniando Dio e il suo amore misericordioso, con la grazia di Cristo potete infondere speranza in questa nostra umanità segnata da diversi motivi di ansia e di timore e tentata a volte di scoraggiamento. Potete far sentire la forza rinnovatrice delle beatitudini, dell’onestà, della compassione; il valore della bontà, della vita semplice, essenziale, piena di significato. E potete alimentare la speranza anche nella Chiesa. Penso, ad esempio, al dialogo ecumenico. L’incontro di un anno fa tra consacrati delle diverse confessioni cristiane è stata una bella novità, che merita di essere portata avanti. La testimonianza carismatica e profetica della vita dei consacrati, nella varietà delle sue forme, può aiutare a riconoscerci tutti più uniti e favorire la piena comunione.

Cari fratelli e sorelle, nel vostro apostolato quotidiano, non lasciatevi condizionare dall’età o dal numero. Ciò che più conta è la capacità di ripetere il “sì” iniziale alla chiamata di Gesù che continua a farsi sentire, in maniera sempre nuova, in ogni stagione della vita. La sua chiamata e la nostra risposta mantengono viva la nostra speranza. Profezia, prossimità, speranza. Vivendo così, avrete nel cuore la gioia, segno distintivo dei seguaci di Gesù e a maggior ragione dei consacrati. E la vostra vita sarà attraente per tante e tanti, a gloria di Dio e per la bellezza della Sposa di Cristo, la Chiesa.

Cari fratelli e sorelle, ringrazio il Signore per quello che siete e fate nella Chiesa e nel mondo. Vi benedico e vi affido alla nostra Madre. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

 

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