Commento al Vangelo del 18 marzo 2012 – Paolo Curtaz

Quarta domenica di Quaresima

2 Cr 36, 14-16.19-23/ Ef 2,4-10/ Gv 3,14-21

Primavere

Quanto è difficile convertirsi! E credere nel Dio di Gesù!

Quanto è difficile scegliere da che parte stare, nella vita, sempre strattonati tra le troppe cose da fare, inquieti e rassegnati, travolti dalle mille preoccupazioni.

Ci è necessario il deserto, anche se minuscolo, anche se duramente conquistato ritagliando qualche minuto alle nostre giornate. Eppure abbiamo bisogno di tornare all’essenziale, proprio ora che le difficoltà crescono e la tentazione della sfiducia, anche nella Chiesa, diventa incombente.

Tenendo fisso lo sguardo sulla bellezza di Dio, intuita, assaporata, cercata, possiamo ribaltare i banchetti delle nostre approssimative e inconcludenti visioni di Dio per liberare il tempio del nostro cuore (e il tempio che è la Chiesa) da una visione mercanteggiata della fede.

È un percorso lungo, faticoso.

Ne sa qualcosa il libro delle Cronache, ne sa qualcosa Nicodemo.

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Dio giudice

Ci è connaturale un’orribile visione di Dio. La portiamo nel cuore, nell’inconscio, nel vano tentativo di dare una parvenza di giustizia all’illogica dinamica di questo mondo.

Il cammino dell’uomo biblico è irto di difficoltà, di continue conversioni, di ragionamenti che avanzano nelle nebbie. Se Dio è buono, si chiede la Bibbia, da dove deriva il dolore?

In particolare, nel brano di oggi, l’autore ancora cerca una risposta alla brutale distruzione del tempio e alla successiva prigionia in Babilonia. Ed ecco la drammatica risposta: l’esilio è stata una punizione per non avere rispettato il ciclo sabbatico della natura: un anno ogni sette, per lasciare la terra al suo riposo. Dio, giudice giusto, ha ascoltato la lamentela del Creato: i settant’anni di esilio forzato del popolo ha ridato fiato alla natura.

È una visione semplicistica, eppure efficace: Dio punisce il peccato del popolo.

Ma già nell’Antico Testamento si è approfondito il tema capendo che non è Dio a punire, ma il peccato stesso.

Il peccato è male perché ci fa del male, il peccato distrugge, non Dio!

Eppure quanto connaturale ci è una visione così stringente.

Come ho avuto più volte occasione di scrivere, se Dio è una carogna, tutto torna.

Se, invece, è come lo racconta Gesù, le cose si complicano…

Nicodemo

Gesù parla ad un combattuto Nicodemo che lo raggiunge durante la notte, per non farsi vedere. Ha una reputazione da difendere, che diamine!, ma è curioso. Lui è un credente, un membro del Sinedrio, sa bene di Dio e delle sue leggi. Ma non è convinto, cerca un volto di Dio diverso.

Gesù gli rivela qualcosa di inatteso e inaudito, ciò che nessuno mai aveva osato immaginare.

Gesù gli racconta il pensiero di Dio.

Ciò che Dio vuole

Dio non vuole una classe disciplinata di bravi ragazzi che obbediscono sorridendo. Dio vuole persone autentiche che sappiano mettersi in gioco, che accettino di crescere (non sempre questo significa migliorare!), che imparino a distinguere le proprie ombre, da adulti.

Gesù è chiarissimo: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Dio vuole la salvezza, cioè la pienezza di vita per ogni uomo. E, per farlo, per manifestare la serietà del proprio amore, Gesù già parla del dono di sé totale, del mistero della croce. La croce che,  come dice san Massimo il confessore, è il giudizio del giudizio.

Davanti alla possibilità di essere dei capolavori o delle fotocopie sbiadite, l’uomo è libero di scegliere. E sono le nostre scelte a giudicarci, possiamo vivere in un prolungato inverno, ostinandoci a dire che non esiste nessuna bella stagione e che, al massimo, noi sappiamo vestirci meglio degli altri.

Quando tutto è grigio è difficile vedere l’ombra dietro di sé.

Ma vivere una vita grigia è una non scelta di vita.

Dio vuole la nostra salvezza, ad ogni costo.

Nessun giudice, nessun preside, nessun vigile.

Solo un padre tenerissimo.

Ma

Il ragionamento implode. Meglio un Dio che opera la giustizia, altro che. Se Dio è buono perché il dolore innocente? Certo, la sofferenza, spesso, è frutto delle nostre scelte sbagliate o delle nostre fragilità. Ma come può Dio sopportare il dolore del bambino che muore di cancro?

Non può.

Gesù, ad un attonito Nicodemo, indica un simbolo, quel serpente di bronzo innalzato da Mosè per guarire gli ebrei morsi dai serpenti. Anche lui, Gesù, sarà innalzato e salverà che volgerà il proprio sguardo verso di lui.

Gesù già intravvede all’orizzonte la sconfitta del suo ministero, e vuole andare fino in fondo.

Dio è disposto a morire per salvare gli uomini, per salvare me.

Dio porta su di sé il dolore dell’innocente, lo assume, lo redime, lo salva.

Volgiamo lo sguardo alla croce, in questo deserto, alla misura senza misura dell’amore di Dio.

Ecco, questo è il Dio in cui crediamo.

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