Commento alle letture del Vangelo del 26 giugno 2016 – Carla Sprinzeles

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Oggi la liturgia ci propone la chiamata di Eliseo e la chiamata dei discepoli.
Che cos’è una chiamata di Dio? Un’immaginazione? No, un autentico progetto di vita è apertura alla forza creatrice d’amore, incarnata in ogni storia personale.
Gesù invitando i suoi a seguirlo trasfigura la sua situazione umana, associandoli alla sua missione di salvatore. Da pescatori sul lago, diventeranno pescatori di uomini.
Cristo sa aprire in ciascuno di loro lo spazio che custodisce il senso della loro esistenza.
Se all’inizio uno si è orientato secondo ciò che immaginava come il meglio, ma senza tener conto della situazione reale, non troverà certo la felicità.
Si parte spesso nell’entusiasmo, ma senza lasciare la forza creatrice esprimersi compiutamente come amore.
Chiamata è riconoscere nella propria vita un‘espressione dell’amore creatore, permette a questo amore di portare a compimento quello che è.

1 RE 19, 16. 19-21
La prima lettura ci presenta la figura del profeta Eliseo che, come tanti altri personaggi della Bibbia, viene chiamato mentre sta svolgendo le sue occupazioni quotidiane.
Egli entra al servizio di Elia, diviene suo discepolo per poi prenderne il posto. Il mantello che Elia gli getta addosso è infatti un’azione simbolica: è la stessa missione di Elia che viene posta sulle spalle di Eliseo. Egli, ricco agricoltore, accoglie la chiamata e passa bruscamente dalla sicurezza economica al cammino alquanto incerto della missione profetica.
La sua decisione appare definitiva, di non ritorno: l’aratro viene bruciato, i buoi vengono uccisi e offerti come cibo per il popolo, quasi un sacrificio a conferma del fatto che Eliseo non subisce la chiamata, ma la vive come dono, riconoscendo in essa l’intervento di Dio.
Un altro particolare da notare è l’unzione.
Qual è il simbolo dell’unzione?
Un altare di pietra era appena stato consacrato dal vescovo e il sacrestano si desolava nel vedere le macchie d’olio rimaste sulla superficie.
Alcune settimane dopo, cambiando la tovaglia, grande fu la sorpresa nell’accorgersi che ogni segno d’unguento era scomparso: l’olio era sceso nel duro granito.
Unzione è essere impregnati dello Spirito del Padre.
Essere docili alla Presenza, che fa emergere il nostro vero essere, ecco la vocazione.
Siamo invitati a non lavorare per nostro conto, ma per il bene degli altri, non più per attirare l’affetto o l’onore, ma per servire la vita, il valore reale della persona.

LUCA 9, 51-62
Nel brano del Vangelo secondo Luca, Gesù stringe i denti per salire a Gerusamme. Sa di incamminarsi verso la sua passione.
Il testo greco indica l’indurimento del volto, tipico di chi raccoglie tutte le sue forze per affrontare una dura sfida.
La passione è l’appuntamento tra l’Amore e l’uomo inferocito dal male che si porta dentro.
Nessuno è cattivo se non ha subito cattiverie.
La scommessa della vita umana sta proprio nella capacità di sostituire la vendetta e l’impulso a riprodurre il male patito con la compassione e il perdono.
Cristo si presterà, durante la sua passione, a essere il luogo di sfogo di tutte le vendette.
Se soffrirà nella sua carne un supplizio atroce, soffrirà ancora maggiormente per il dolore, inconscio ma devastante, di chi riverserà su di lui il proprio male.
Chiedendo il perdono del Padre per chi “non sa quello che fa”, raggiungerà anche coloro che nelle generazioni precedenti, hanno segnato i suoi carnefici fino a sfigurare la loro umanità.
Morirà perché il male sia trasformato ormai in perdono, in compassione.
Morirà per tutti, anche per i samaritani che non lo vogliono ricevere.
Considerati infatti “eretici” dai giudei praticanti che salgono a Gerusalemme, oppongono al loro disprezzo il rifiuto di ospitarli.
E pensare che proprio gli apostoli più vicini al cuore del Salvatore vogliono punirli!
Non hanno ancora capito niente, ma come noi quando vogliamo far tacere chi non la pensa come noi, quando rifiutiamo di parlare a chi ci ha fatto un torto, quando non permettiamo agli altri di deluderci o quando la nostra tolleranza non concede all’altro di crescere a suo modo.
Nemmeno noi abbiamo capito il Signore!
Essere discepoli di Cristo è assorbire il male per trasformarlo in un’alchimia il cui crogiuolo è lo Spirito Santo, in un bene più grande: quello della compassione per il dolore che l’altro riversa in molti modi su di noi.
Chi vuole seguire Gesù non può pretendere nulla, non può restare ancora dipendente dai legami più legittimi, perché non sarebbe libero di inventare la sua vita.
Ormai sarà figlio di tutti, senza preferenze, in totale libertà.
“Mia madre e i miei fratelli”, aveva detto Gesù, “sono coloro che fanno la volontà del Padre mio”, che cercano il bene di tutti, a prescindere dai legami naturali e preferenziali.
L’invito di Gesù è quello di non stare seduti nel nostro stile divita, di mettersi in cammino.
Il nostro Dio è un Dio di strada, che va avanti, non è statico.
Ci chiede di abbandonare i nostri preconcetti, di vagliare i nostri valori alla luce della vita che sorge sempre nuova, sempre sorprendente, mai scontata.
Per seguire Cristo occorre essere pronti a camminare verso la luce, a servizio degli uomini e non più dei nostri piccoli comodi.
Seguirlo, richiede disponibilità ad abbandonare benessere e sicurezza “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
Per incontrare Dio, dobbiamo liberarci dagli idoli e da relazioni umane che potrebbero essere idolatriche, questo è il significato di “lasciare che i morti seppelliscano i morti”.
Infine il legame autentico è per sempre, senza “se” e senza “ma”. Se gli mettiamo una scadenza è come un prodotto deperibile, è scadente!
La grandezza di Gesù è stata questa, di essere fedele all’Amore fino alle estreme conseguenze, non è una nostra capacità, ma proprio per questo occorre essere uniti a lui!

Amici, è nella debolezza che si esprime la potenza di Dio, perché sia chiaro che la realizzazione profonda dell’uomo è la disponibilità allo Spirito del Signore, che opera più facilmente nei piccoli, perché non si ritengono autori del loro operare, ma sanno che è dono per il bene di tutti.

A cura di Carla Sprinzeles | via Qumran

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XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Lc 9, 51-62
Dal Vangelo secondo Luca

[ads2]Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 26 Giugno – 02 Luglio 2016
  • Tempo Ordinario XIII, Colore verde
  • Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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